Benvenuto embrione.

Al referendum Ruini vince e detta legge

Il cardinale aveva chiesto di non votare e tre italiani su quattro hanno fatto come ha detto lui. La Chiesa italiana marca una prima vittoria nella battaglia di Benedetto XVI a tutela della vita e dell’uomo

ROMA, 16 giugno 2005 – Otto milioni nelle cabine elettorali, sedici milioni a messa. Già la sera di domenica 12 giugno la partita era chiusa. Nell’intera giornata, i sostenitori dei quattro sì ai referendum per la manipolazione degli embrioni e la fecondazione eterologa erano riusciti a portare al voto un numero di uomini e donne che erano solo la metà di quelli che ogni domenica riempiono le chiese in Italia.

Tra questi ultimi, alcuni hanno anche votato, e votato sì, ma la forza della Chiesa italiana è proprio nel suo essere Chiesa popolare, di massa, terreno fertile per chi lo sa ben seminare. E questa volta la semina c’è stata, irresistibile. Martedì 14 giugno il quotidiano della conferenza episcopale, “Avvenire”, ha aperto con un numero a caratteri cubitali, in rosso: 74,1. Perché questa è stata la percentuale schiacciante raggiunta dal non voto, il “doppio no” predicato fin da gennaio dal cardinale Camillo Ruini.

A vittoria conseguita Ruini si schermisce: “Ho cercato solo di fare il mio dovere di vescovo, di cristiano, di cittadino”. Ma di certo egli non smobiliterà, da qui in avanti, la macchina con cui ha sbaragliato il campo. Il suo programma d’azione l’ha già scritto e gli ha dato un titolo ostico: “questione antropologica”. Ma i punti critici sono chiari: sono i nuovi “modelli di vita” con le conseguenti “scelte legislative, amministrative e giudiziarie negli ambiti della tutela della vita umana, della famiglia, della procreazione”. Quindi le coppie di fatto, i matrimoni gay, i divorzi rapidi, l’aborto, l’eutanasia. Su ciascuno di questi terreni Ruini ha in agenda le sue future battaglie. Anche in positivo, naturalmente: a favore della scuola libera, in aiuto delle coppie giovani, a sostegno di una politica fiscale che incoraggi a far figli.

All’approssimarsi del 12 giugno, il presidente della CEI era sicuro che avrebbe vinto il non voto. Da settimane l’IPSOS, l’istituto di ricerca diretto da Nando Pagnoncelli, gli forniva in via riservata dati confortanti, con i voti potenziali mai al di sopra del 40 per cento. E negli ultimi giorni, più cresceva tra i cittadini la conoscenza delle cose sottoposte a referendum, più aumentava tra loro la decisione di non votare.

Ma sei mesi fa, all’inizio dell’inverno, i pronostici erano molto più incerti e l’avversario molto più temibile. Il 14 gennaio, tre giorni prima che Ruini si pronunciasse per la prima volta contro i referendum, il “Corriere della Sera” – giornale simbolo dell’Italia laica e illuminata, presto imitato dalla quasi totalità della stampa nazionale – aveva già preso posizione ufficiale: “vinca il sì” e “siano scongiurati tutti i tentativi di evitare il pronunciamento popolare con provvedimenti che aumenterebbero solo la confusione”.

A quella data, per Ruini la strada era tutta in salita. Anche dentro la Chiesa. Il presidente della Cei era convinto, e l’aveva detto più volte, che “l’Italia è una delle nazioni europee in cui la Chiesa è più viva e meglio attrezzata per la nuova evangelizzazione”. Ma su temi come la fecondazione artificiale e il destino degli embrioni in provetta la trovava fiacca, timida, disinformata, sia tra i vescovi che nel clero e nelle associazioni cattoliche. Per risvegliare la sua Chiesa Ruini decise di mettersi lui alla testa di tutti, di dettare lui subito obiettivo e modalità: l’invalidazione dei quattro referendum tramite il non voto.

E la Chiesa l’ha seguito con una compattezza che non ha precedenti nell’ultimo mezzo secolo. Non perché ubbidiente, ma perché convinta. È avvenuto così tra i 250 vescovi in carica, da gennaio in poi costantemente concordi con il loro presidente.

È avvenuto così nel grosso dei fedeli. A maggio, un’indagine Demos-Eurisko per il quotidiano “la Repubblica” ha accertato che solo uno su dieci dei cattolici italiani che vanno a messa la domenica ritenevano obbliganti le indicazioni della Chiesa su come votare o no ai referendum; la gran parte, sette su dieci, pensavano che “ognuno alla fine deve decidere secondo coscienza”, ma in ogni caso “è giusto che la Chiesa dia delle indicazioni”.

E a mezza strada tra i vescovi e i fedeli, per risvegliare e illuminare le coscienze di tutti, Ruini ha scommesso sul mobilitarsi del mondo cattolico: preti e parrocchie, associazioni e movimenti.

Il motore della campagna per il “doppio no” al referendum e ai suoi contenuti è stato il comitato Scienza & Vita, coordinato dai professori Bruno Dallapiccola e Paola Binetti, creato ad hoc in febbraio sul modello di quel Forum delle Associazioni Familiari presieduto da Luisa Santolini che era stato a sua volta il vero promotore della legge 40 sulla procreazione artificiale, approvata nel febbraio 2004 da quasi due terzi dei parlamentari di destra e di sinistra: una legge che vieta la produzione di embrioni in soprannumero, la loro selezione, il loro utilizzo ed eliminazione, il ricorso alla fecondazione esterna alla coppia.

A Scienza & Vita hanno aderito i capi di tutte le principali componenti del mondo cattolico associato, dall’Azione Cattolica alle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, da Comunione e Liberazione ai Focolarini. E queste a loro volta si sono attivate in proprio, con i loro gruppi dirigenti al completo. I rari dissidenti dalla linea Ruini bisognava tutti cercarli tra gli ex membri di tali associazioni, in molti casi usciti da esse non anni ma decenni fa.

Di questa mobilitazione capillare del mondo cattolico pochissimo è stato riferito sui media nazionali, eppure è ad essa che si deve gran parte del risultato del 12-13 giugno.

Radio Maria diretta da padre Lino Fanzaga, ad esempio, con i suoi sei milioni di ascoltatori fedelissimi, ha promosso il non voto fin dallo scorso novembre, con un crescendo formidabile nelle ultime settimane. Ha invitato a digiunare a pane e acqua il mercoledì e il venerdì prima del 12 giugno in nome della difesa della vita nascente, e nella domenica del voto ha suggerito a ciascuno di andare in pellegrinaggio in uno dei cinquemila santuari mariani d’Italia.

I duecentomila carismatici del Rinnovamento nello Spirito si sono dati appuntamento nelle chiese la sera precedente il voto per un’intera notte di preghiera. E nella stessa notte sessantacinquemila pellegrini, in buona parte di Comunione e Liberazione, hanno camminato da Macerata al santuario di Loreto, con in testa il patriarca di Venezia, Angelo Scola.

Sui temi ardui che erano oggetto dei referendum, il mondo cattolico è stato sottoposto per mesi a un’alfabetizzazione massiccia, teologica, filosofica, scientifica, fatta di migliaia di incontri nelle parrocchie, per iniziativa di persone e gruppi preesistenti o di nuova nascita, d’età media decisamente giovane.

Alcuni oratori, in precedenza quasi sconosciuti, hanno riscosso un successo strepitoso e battuto l’Italia a tappeto: ad esempio il domenicano Giorgio Maria Carbone, teologo e bioeticista, Francesco Agnoli, professore di storia a Trento, Mario Palmaro, giurista, con il suo comitato Verità e Vita.

Un’associazione fino a ieri a margine come il Movimento per la Vita presieduto da Carlo Casini ha conquistato un ruolo molto più centrale, con i suoi 30 mila volontari attivi in 272 centri di aiuto alle gestanti in difficoltà. A questi pensava il cardinale Ruini quando ha detto il 13 giugno: “Noi certamente siamo contro l’aborto ma non vogliamo modificare la legge 194 [che lo regola]. Auspichiamo soltanto che nella sua applicazione si tenga conto il più possibile dell’importanza di favorire la vita”. In 27 anni i Centri di Aiuto alla Vita del MPV hanno fatto nascere in Italia 65 mila bambini altrimenti in pericolo d’essere abortiti. Delle gestanti propense all’aborto che si rivolgono ai centri, tre su quattro partoriscono semplicemente perché sostenute e aiutate anche dopo la maternità. Ma solo il 5 per cento di queste donne vi arrivano mandate dai consultori pubblici, nonostante la finalità dichiarata della legge 194/1978 sull’interruzione di gravidanza sia proprio quella di aiutare a far nascere. Due su tre delle madri assistite dai centri, oggi, sono immigrate da paesi poveri.

In questa alfabetizzazione del mondo cattolico sui temi dei referendum, il quotidiano della CEI “Avvenire” ha svolto un ruolo primario, soprattutto con un suo inserto speciale dal titolo “È vita”, cinquanta edizioni a partire dal 10 febbraio, per complessive duecento pagine di grande formato, densissime di articoli, interviste, notizie.

Altre iniziative più mirate si sono mosse tra gli specialisti delle bioscienze e del diritto. In gennaio, quando la corte costituzionale doveva ancora pronunciarsi sull’ammissibilità dei referendum, una dozzina di giuristi cattolici (quasi tutti politicamente orientati a sinistra) si sono riuniti in comitato e hanno presentato alla corte la richiesta di inammissibilità di quattro dei cinque referendum allora in predicato, ottenendo l’annullamento di quello proposto dai radicali di abrogazione totale della legge 40. Marco Olivetti, uno di questi giuristi, professore di diritto costituzionale all’Università di Foggia, è stato il più pugnace, fino alla vigilia del 12 giugno, nel difendere la giustezza della linea pro-astensione di Ruini dagli attacchi di cui era fatta segno. Anche grazie a lui, il 6 giugno, più di cento giuristi, cattolici e non, hanno reso pubblico un manifesto di adesione alla linea del non voto: tra essi quattro ex presidenti e vicepresidenti della corte costituzionale, e molti cattedratici di gran nome.

Un elemento chiave dell’opposizione della Chiesa ai referendum del 12 giugno è che essa ha proposto a tutti argomenti di ragione, non di fede: con ciò guadagnando il consenso di intelligenze laiche come Giuliano Ferrara e Oriana Fallaci, di scienziati agnostici come Angelo Vescovi, di femministe come Eugenia Roccella e Paola Tavella, di ebrei come Giorgio Israel.

Un altro elemento distintivo è stato il suo puntare a vincere la sfida con il mezzo legittimo più efficace – l’astensione dal voto – non solo a testimoniare simbolicamente il suo dissenso. In questo Ruini ha avuto la copertura totale del papa, perché per entrambi la posta in gioco era così decisiva da esigere risposte all’altezza. Benedetto XVI l’ha detto chiaro, il 30 maggio, ai vescovi italiani riuniti. Per Joseph Ratzinger la battaglia combattuta in Italia il 12 giugno è parte di un confronto epocale che ha per teatro il mondo intero: il confronto tra la Chiesa e “quella forma di cultura, basata su una razionalità puramente funzionale, che contraddice e tende a escludere il cristianesimo e in genere le tradizioni religiose e morali dell’umanità”.

Ma proprio l’Italia, ha aggiunto il papa, è la prova che “l’egemonia di tale cultura non è affatto totale e tanto meno incontrastata”. In Italia vi sono molti che la rifiutano, “anche tra quanti non condividono o non praticano la fede”. E “soprattutto in Italia la Chiesa conserva una presenza capillare, in mezzo alla gente di ogni età e condizione, e può quindi proporre nelle più diverse situazioni il messaggio di salvezza che Gesù le ha affidato”.

Benedetto XVI ha avvertito e il suo vicario Ruini è pronto. A difesa della “dignità inalienabile di ogni essere umano dal suo concepimento alla sua morte naturale” la battaglia della Chiesa continua.

E dopo l’Italia, la Spagna

La lezione del cardinale Camillo Ruini fa già scuola in Spagna. Sabato 18 giugno, a Madrid, mezzo milione di persone scenderanno in piazza a contestare il matrimonio tra coppie omosessuali e l’adozione di bambini da parte di queste coppie: norme in procinto d’essere votate il 21 giugno con l’appoggio del governo di Josè Luis Zapatero.

A organizzare la manifestazione è il Foro della famiglia, un’associazione civica che unisce 4 milioni di famiglie. Ma la novità è che alla protesta ha aderito ufficialmente la conferenza episcopale spagnola, che dal 1983 non scendeva in piazza contro il governo. L’ha fatto con un comunicato del suo esecutivo, emesso il 9 giugno: “Ci troviamo di fronte a una questione della più grande importanza morale e sociale, che esige dai cittadini, in particolare dai cattolici, una risposta chiara e incisiva attraverso tutti i mezzi legittimi”.

Il 30 maggio Benedetto XVI ha detto ai vescovi italiani riuniti:

“Ciò che fa la Chiesa in Italia giustifica l’attenzione e le attese che hanno verso di essa molte Chiese sorelle in Europa e nel mondo”.

La Spagna è il prossimo banco di prova.

Di Sandro Magister

INDIETRO