San
Cristoforo Martire:
alla ricerca dell'Uomo più
forte...! |
|
Cristoforo era un Cananeo, un gigante
dotato di grande forza e imponenza fisica. Era un guerriero ed aveva anche
un volto che incuteva terrore in tutti (cinocefalia). Aveva un grande
desiderio: quello di mettersi al servizio dell’uomo più forte. E si mise
alla ricerca. Trovò dapprima un re potente e, ben contento, si mise al suo
servizio.
Ma un giorno in presenza di un giocoliere che cantava una canzone nella
quale si nominava il diavolo, vide che il re, tutte le volte che lo si
nominava, si faceva il segno della croce. Cristoforo, dubbioso e inquieto,
chiese al re la spiegazione del suo comportamento. Visto che questi
tentennava, minacciò di andarsene. Allora finalmente gli confidò:
“Quando
sento nominare il diavolo, mi faccio il segno della croce per togliergli
ogni possibilità di nuocermi”.
Cristoforo logicamente concluse che il
diavolo era più forte del re. Lo lasciò, e si mise alla ricerca... del
diavolo, per mettersi al suo servizio. Vista l’ubiquità del soggetto, non
dovette faticare molto in questa ricerca. Infatti percorrendo una landa
deserta vide venirgli incontro un personaggio dall’aspetto terribile che
gli chiese: “Dove vai e chi cerchi?”.
Cristoforo gli rispose:
“Sto
cercando il signor Diavolo perché ho sentito dire che è il più forte”.
E
il diavolo, antico Maestro di menzogna, gli rispose:
“Sono io quello che
cerchi”. Ed ecco Cristoforo mettersi al suo servizio: lo seguiva e gli
obbediva docilmente. Un vero discepolo.
Ma un giorno incontrarono una Croce e il diavolo cambiò precipitosamente
strada.
La cosa non gli sfuggì:
“Che significa questo? Perché eviti la
Croce?”. Il diavolo fece finta di non capire e non rispose. Ma l’altro
continuò: “Si direbbe che tu ne abbia paura”. Di nuovo silenzio. Poi alla
minaccia di abbandonarlo per sempre, il diavolo si vide costretto a
“confessare” quell’unica debolezza di aver paura davanti alla Croce da
quando un certo Gesù Cristo vi era morto sopra... Cristoforo logicamente
concluse: “Allora se hai paura vuol dire che non sei tu il più forte.
Addio, camminerò fino a trovare questo Gesù Cristo”.
E abbandonò il
diavolo al suo destino.
Di nuovo in cammino, di nuovo alla
ricerca del più forte.
“Dov’è Gesù Cristo?”, chiese alla gente.
Gli dissero:
“Vai da quell’eremita laggiù. Ti mostrerà Gesù Cristo”.
Andò e lo trovò:
era un povero eremita tutto capanna, penitenza e preghiera.
“Che cosa devo
fare per vedere Gesù Cristo?”, gli chiese subito. |
|
Che domanda. Il povero eremita era sì un
santo ma non era esperto nel discernimento dello spirito, non aveva avuto
tempo di aggiornarsi. Ed inoltre non conosceva il proverbio che dice che
prima di conoscere una persona bisogna consumare un paio di scarpe
camminando insieme.
“Digiunare”. Lo
guardò perplesso: “Digiunare? Non sono capace. Insegnami un altro
mezzo”. Rispose: “Per vedere Gesù Cristo bisogna pregare molto”.
Cristoforo rispose: “È un’altra cosa che non posso fare perché non so
cosa significhi pregare”. L’eremita allora gli indicò il fiume
dicendogli: “Nessuno può attraversarlo senza pericolo di morte.
Ebbene, mettiti sulla sua riva: la tua enorme statura e la tua
prodigiosa forza ti serviranno a trasportare da una riva all’altra i
viaggiatori. Faresti un servizio che a Cristo sarebbe molto gradito.
Allora potrai vederlo”.
Soddisfatto
finalmente gli rispose: “Questa è una cosa che posso fare e, per
servire Cristo, la farò”. E fece proprio così con impegno, giorno e
notte, verso tutti senza discriminazione. Ed era anche contento. Ma
quando avrebbe visto Gesù Cristo?
Una notte sentì la voce di un bambino
che lo chiamava: “Cristoforo, vieni, aiutami ad attraversare il fiume”.
Cristoforo uscì dalla sua capanna ma non vide nessuno. E così fu una
seconda volta. Nessuno. Alla terza volta finalmente vide un bambino che lo
pregava di aiutarlo: “Vieni e trasportami all’altra riva”. Cristoforo si
caricò il bambino sulle spalle e cominciò la traversata. Doveva essere una
traversata molto semplice invece tutto a poco a poco si complicò.
Il peso sulle spalle aumentava sempre di più, l’acqua saliva sempre di
più: e lui, il gigante, per la prima volta, credette di non farcela. Ma ci
riuscì anche questa volta. Allora gli disse: “Bambino mio, Tu mi hai messo
in un bel pericolo. Pesavi così tanto come se avessi avuto il mondo intero
sulle mie spalle”. E il bambino: “Non meravigliarti, Cristoforo, tu hai
portato sulle tue spalle non solo il mondo intero, ma anche Colui che lo
ha creato. Io sono Gesù Cristo, il padrone che tu servi. In segno della
verità delle mie parole, pianta il tuo bastone, vicino alla tua capanna:
domattina, lo vedrai carico di fiori e di frutti”. E il bambino
sparì.
E l’indomani il suo bastone era una
palma carica di datteri...
(Dalla "legenda Aurea" di Jacopo da
Varazze)
***
***
Come si vede è una storia (con elementi
di varie culture e influssi anche di stampo mitologico) molto edificante
che si presta ad innumerevoli applicazioni, filosofiche, spirituali,
catechistiche ed esistenziali.
Così commenta
Ernest Hello:
“Cristoforo è un
nome terribile. Fare il PortaCristo è qualcosa fuori del comune; forse
il mistero del nome contiene il mistero della storia, in ciò che c’è
di più nascosto”.
E ha ragione.
Il racconto appena riportato è
certamente una bella storia creata da Jacopo da Varazze per giustificare
il nome del martire Cristoforo del III secolo (derivatio nominis)
ma ha un enorme significato simbolico anche per noi moderni.
Penso che si possa interpretare la vita di ogni uomo su questa terra come
un dovere di traghettare, di trasportare gli altri da una riva all’altra,
superando un qualche “fiume” pericoloso.
I genitori che
decidono una nuova vita, non fanno che traghettare il loro bambino dal
regno del non essere a quello dell’essere, della vita. Poi saranno
ancora loro che lo traghetteranno dalla riva dell’infanzia a quella
della fanciullezza, e poi ancora essi a traghettare, in mille modi, il
loro figlio o figlia all’altra riva dell’adolescenza. Un
traghettamento quanto mai difficile quello del fiume “adolescenza” per
definizione rischioso, turbolento, difficile e talvolta deviante.
I figli a loro volta sono chiamati a
traghettare, col proprio amore e assistenza, i propri genitori
all’“altra riva” della loro vita. Accompagnarli insomma fino al
“passaggio” decisivo, a Dio. E noi insegnanti che cosa facciamo
quotidianamente se non cercare di traghettare gli allievi all’altra
riva della conoscenza, aiutandoli a superare il fiume pericoloso
dell’ignoranza? O la categoria dei dottori, infermieri: non fanno lo
stesso? Anche chi guida un autobus, un treno, un taxi, un aereo... o
il cameriere in un ristorante non fa che trasportare altre persone ad
un’altra “riva” quella desiderata come bene per loro. E così si può
dire per tutte le professioni utili alla società.
Tutti insomma siamo chiamati ad essere
dei traghettatori del prossimo. E se questo viene fatto con lo stesso
spirito di Cristoforo, con dedizione e con amore, come un servizio a Gesù
Cristo, allora ciascuno avrà trovato la strada della propria
santificazione: originale, diversa e preziosa come lo è ogni singolo fiore
del nostro giardino.
Di don Mario Scudu, rivista
"Maria Ausiliatrice", luglio 2005
www.donbosco-torino.it
INDIETRO |