"Lassù sui monti...",

di padre Pietro Lavini

 - Capitolo III -

Il Monte Vettore

Ai confini delle regioni Umbria e marche si ergono quattro grandi colossi che, con la loro altezza e con la loro bellezza sembra che vogliano sfidare il cielo. Sono come quattro gioielli incastonati nel cuore dell'Appennino.

Attraverso i secoli hanno lavorato attorno ad essi, in perfetta armonia, la realtà e la fantasia, il presente ed il passato, creandone un'atmosfera mitica e leggendaria. Essi rappresentano un mondo essenzialmente pastorale. La morfologia è ricca di superfici orizzontali, ripiani e conche carsiche rivestite di erba per cui la vegetazione è più ricca di prati che di boschi. Paesaggi di alta montagna, panorami che si perdono nell'infinito; aspri contrasti, fenomeni carsici, geologia, la presenza inoltre di molte specie floreali e perfino la presenza di stelle alpine, fanno dei monti Sibillini un piccolo angolo di paradiso. Vette che si confondono in un unico abbraccio nell'azzurro; guglie che si stagliano nel cielo simili alle torri di antichi castelli; pareti impervie, gole strettissime, vallate protette da creste affilate, piccoli laghi che non hanno nulla da invidiare, nella loro superba bellezza, a tanti altri decantati paesaggi. "Quassù - ha scritto Achille Voluzzi, membro di alcune spedizioni alpinistiche nei gruppi più famosi del mondo - ho scoperto uno dei posti più belli della terra. Ho girato in lungo ed in largo tutti i continenti, ho visto tante montagne nei gruppi più famosi; ma posso sostenere che nessun luogo può essere definito superiore in bellezza". "Rimpiango soltanto - mi ha lasciato scritto un amico - gli anni sprecati sulle Alpi, quando qui avevo delle bellezze superiori".

Uomini di ogni età e condizione hanno potuto visitarli ed ammirarne la suggestiva bellezza e sentirne una potente attrattiva: poeti, eroi, scrittori, studiosi, escursionisti, esperti conoscitori della montagna, come pure gente che l'ha dovuta frequentare per motivi di lavoro, ne hanno sentito il potente fascino. Anche Giacomo leopardi, il grande poeta recanatese, ammirandoli dal colle dell'Infinito, li vedeva come immersi in un colore azzurro e per questo non esitava a chiamarli: "monti azzurri".

Primo fra tutti, sia per importanza e sia per altitudine, è il monte Vettore. Dal latino "Victor" cioè che supera tutti, raggiunge i 2476 metri di altezza. Intorno alla cima più alta, formando come una specie di ferro di cavallo, giostrano tanti altri colossi non meno belli, non meno importanti. A destra il più importante è il monte Torrone; mentre a sinistra la punta di Pratopulito, la cima del Redentore (chiamata così, forse per addolcire le asperità del luogo) ed infine il pizzo del Diavolo che, con le sue pareti formate da altissime muraglie, si affaccia a strapiombo sul lago di Pilato, uno dei laghetti di montagna più pittoreschi e più suggestivi del nostro paese.

"In questo stupisce il mondo - scrisse un monaco benedettino del seicento - come abbia potuto la natura nella sommità di un monte sì alto farvi ricetto d'acqua, in due grossi laghi". Le sue acque sono dovute allo scioglimento di un nevaio perenne che non scompare neanche nei mesi più caldi di estate ed ospitano una biologia molto interessante, per alcuni aspetti unica, come la presenza di un piccolo crostaceo, che vive esclusivamente nelle acque di questo lago, ma sempre più minacciata dalla disattenzione di molti escursionisti che fanno la fatica di arrivare fin lassù per depositarvi rifiuti.

Storie e leggende, attraverso i secoli, si sono intrecciate attorno ad esso, dando così origine ad una cultura popolare che collega la presenza, nelle sue acque tormentate dai venti e dalle bufere, di demoni sotto forma di pesci, e la famosa leggenda di Pilato. Reo di avere lasciato mettere a morte il Cristo, egli fu con-dannato alla pena capitale. Il suo corpo fu poi deposto su di un carro trainato da due tori che, fuggendo all'impazzata, lo trascinarono fin sul monte Vettore e lo scaraventarono nel lago maledetto che poi da lui prese il nome.

Data la sua inaccessibilità ed essendo un luogo molto solitario e molto adatto all'esercizio di pratiche magiche, ben presto divenne notissimo. Vi arriveranno negromanti da ogni parte per consacrare "i libri del comando", i quali raccoglievano formule spaventose che giungevano perfino ad insegnare cosa fare per stipulare un patto con il demonio, e comunicare con lui. Fra i tanti personaggi che vi si recarono nel passato ricordiamo il notissimo F.Stabili l'autore dell'"Acerba" ed acerrimo avversario e denigratore di Dante: medico, astrologo, alchimista e laureato, conosciuto comunemente con il nome di "Cecco d'Ascoli".

Il lago era circondato da mura sorvegliate da custodi che ne vietavano l'accesso. Chi osava violarlo, veniva rapito dai demoni almeno che non fosse stato un negromante. Dopo di avere fatto tre cerchi in terra il negromante si poneva nel terzo e chiamava il demone con cui desiderava venire a patti. La sua passione e la sua ostinazione con cui voleva appagare le sue brame, servivano da attrazione degli spiriti infernali; in tal modo riusciva ad attirarli e a comunicare con loro. Il demone si impegnava a prestare la sua opera malvagia, mentre lui doveva donare, in cambio, la propria anima.

Sul posto erano state erette anche delle forche per i trasgressori ed, ogni anno, la città di Norcia sceglieva un delinquente e lo faceva gettare nel lago come tributo ai demoni contro le tempeste.

 Il lago di Pilato: uno dei laghetti di montagna più pittoreschi e più suggestivi del nostro paese

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