Saidnaya ha avuto un'immensa popolarità durante tutto il Medioevo, svolgendo un ruolo di primaria importanza nella pietà popolare, sia in Oriente che in Occidente, alla stregua di Lourdes e di Fatima nei tempi moderni La Siria, Paese di antica cristianità, ha sviluppato un esteso culto mariano che ha lasciato tracce in molti campi dell’arte, dell’architettura, della teologia e della liturgia. Il Paese è costellato di Chiese, di Monasteri e di Santuari mariani piccoli e grandi, molti dei quali hanno subìto non pochi danni per le numerose invasioni che hanno afflitto la Siria durante la sua lunga storia, riducendo ora la presenza cristiana al 10% circa della popolazione del Paese. Tra i Santuari mariani sopravvissuti a traversie e distruzioni, il maggiore è quello di Saidnaya, nome di un villaggio sito ad una ventina di chilometri dalla capitale Damasco, il cui Monastero custodisce una preziosa icona mariana attribuita al pennello di San Luca, che richiama ancora fiumane di Pellegrini provenienti da tutti gli angoli della Siria e da altri Paesi vicini e lontani. Il Monastero – che somiglia ad una piazzaforte costruita su un grande sperone cinto da alte mura – appartiene al Patriarcato ortodosso di Antiochia, che ha sede a Damasco; lo officia e ne prende cura una numerosa Comunità di Monache di rito bizantino e di lingua araba, sotto la guida di un’igumena, o badessa, che vigila sul Monastero e accoglie i numerosi Pellegrini ortodossi, cattolici e musulmani, guidando tutti a pregare davanti all’icona della Madonna.
Le origini del Santuario si perdono nella notte dei tempi. Alcuni fanno risalire la fondazione all'imperatrice Eudossia (+ 460), donna di grande cultura, che avrebbe trovato a Gerusalemme il ritratto della Madonna dipinto da San Luca; ma più probabilmente il Santuario è da far risalire al VI secolo, ad opera dell’imperatore Giustiniano I (+ 565). Secondo una graziosa leggenda, questi, impegnato in una campagna contro la Persia, durante una battuta di caccia in Siria, smarrì la strada nelle vicinanze di Damasco, rischiando di morire di sete. Intravide allora una gazzella che, dopo averlo guidato ad una sorgente d'acqua, sparì com'era apparsa. Giustiniano riconobbe in lei la Vergine, e ordinò di costruire sul luogo un Santuario in suo onore. Lo affidò a Monache che fecero giungere da Gerusalemme un’immagine della Madonna attribuita, appunto, al pennello di San Luca. Il nome Saidnaya significa in lingua siriaca "Signora della caccia", in ricordo della suddetta partita di caccia dell’Imperatore. L’immagine, oltre alla sua origine lucana, era anche molto nota per i miracoli che le venivano attribuiti. Il pellegrino che oggi entra nel sacrario per visitare la Madonna [chiamata comunemente Chagoura: parola siriaca che significa celebre, illustre, famosa], è invitato a togliersi le scarpe prima di accedere all’edicola contenente, dietro una grata di ferro, la sacra immagine, come si legge in una iscrizione scolpita all’ingresso, tratta dal Libro dell’ Esodo 3, 5: "Togli le scarpe dai piedi, poiché il luogo in cui tu ti trovi è terra santa".
L’immagine stessa è di piccolo formato e nascosta sotto una profusione di argenti, ori e gemme varie; vi è raffigurata, secondo tradizioni antiche, la Madonna con Bambino, del tipo della Galaktotrofousa, o Allattante. Tra i prodigi più insigni dell’immagine vi è l’essudazione di un liquido oleoso e profumato che si raccoglie sotto l’immagine e che le Monache distribuiscono ai Pellegrini per la santificazione loro e la guarigione dei malati. Popolarità del Santuario, anche presso i Musulmani La Madonna di Saidnaya ha avuto un’immensa popolarità durante tutto il Medioevo e ha svolto un ruolo di primaria importanza nella pietà popolare, sia in Oriente che in Occidente, alla stregua di Lourdes e di Fatima nei tempi moderni. Attirava masse enormi di fedeli, calcolate talvolta a 50mila persone, nonostante l’insicurezza e le difficoltà del viaggio. Durante il Medioevo, il Santuario era una meta obbligata nell’itinerario seguito dai Pellegrini che si recavano in Terra Santa. Interessante è notare che la venerazione della Madonna di Saidnaya non si limitava ai soli Cristiani. Anche i Musulmani e gli Ebrei accorrevano numerosi ai piedi della Vergine, implorando grazie ed aiuto; e Maria prodigava i suoi favori a tutti. La cronaca di Thietmar riferisce, tra l’altro, il seguente episodio che accadde nel 1203 circa: "Un sultano di Damasco, sul punto di perdere la vista, andò a visitare "Nostra Signora di Sardan" e, benché pagano, non esitò a recarsi al Santuario. Lì cadde a terra e pregò; alzandosi poi, egli poté vedere la lampada che ardeva davanti alla santa immagine. Vedendosi guarito, rese gloria a Dio insieme a tutti i presenti; e fissando di nuovo la luce della lampada, egli promise una rendita di 50 misure di olio perché la stessa continuasse ad ardere in perpetuo. La quantità d’olio promessa fu regolarmente consegnata fino al tempo di Nour-ed-Din". [La tradizionale offerta durò fino alla deposizione del sultano turco Abdel Hamid, nel 1909].
Un altro principe musulmano, Malek al-Adel Seif-ed-Din, fratello di Saladino e pretendente alla mano della sorella di Riccardo ‘Cuor di Leone’, era afflitto da una strana malattia olfattiva: perdeva i sensi non appena odorava una rosa e questo proprio nel Paese delle rose, nel regno dell’immortale essenza delle rose. Dopo aver provato invano tutte le medicine, decise di andare in pellegrinaggio presso la Madonna di Saidnaya. Fu miracolosamente guarito e, tornato a Damasco, fece fare una rosa d’oro, tempestata di gemme, che emanava aromi così soavi – aggiungono le cronache – da profumare tutto il deserto della Siria; e ne fece omaggio alla Madonna. Alcuni hanno voluto individuare in questo racconto l’origine del nome attribuito a Maria di ‘Rosa mistica’ nelle Litanie mariane. Tali racconti, accolti con calda e sincera devozione durante tutto il Medioevo, hanno contribuito a dare lustro a questo Santuario mariano e a sviluppare l’amore verso Maria non solo in Siria ma anche nei Paesi confinanti. La festa si celebra a tutt’oggi l’8 Settembre, giorno della Natività di Maria. Per l’occasione i fedeli, accorsi già il giorno precedente, assistono alla Messa e vanno in processione verso l’icona; le Monache li ungono con l’olio profumato che emana dall’icona; molti poi trascorrono uno o più giorni nella foresteria del Monastero, contenti di stare sotto l’occhio vigile e benevolo della Madre di Dio, prima di ritornare nelle loro case.
La ‘variante etiopica’ in una leggenda edificante È da ricordare, infine, che la Madonna di Saidnaya ha riscosso i favori della Chiesa etiopica di Abissinia, la quale celebra una festa in suo onore il 10 del mese di maskaram, corrispondente al nostro 7 Settembre: ciò trova forse origine nei tempi in cui tutte le Comunità cristiane chiedevano di avere un proprio altare a Saidnaya, esattamente come avveniva per il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il "Libro etiopico dei miracoli di Maria" riporta, in proprio, la seguente versione dell’origine dell’immagine della Madonna di Saidnaya: "C’era una vedova, nel paese di Saidnaya, di nome Marta. Essa amava Nostra Signora, la santa doppiamente Vergine Maria, Madre di Dio, dal profondo del cuore e la serviva con ogni sua possibilità. Aveva fatto della sua casa un ospizio per forestieri. Un giorno fu da lei ospite un santo monaco di nome Teodoro, che essa ricevette con gioia. All’indomani, mentre lo congedava, gli chiese: ‘Dove vai, padre?’ – Egli rispose: ‘Vado a venerare il tempio di Gerusalemme’. Disse lei: ‘Prendi da me un po’ di oro e comprami una effigie di Nostra Signora, la doppiamente Vergine Maria, Madre di Dio, che mi porterai al tuo ritorno’. Rispose [Teodoro]: ‘Te la comprerò col mio denaro e te la porterò’. Quindi andò e giunse a Gerusalemme. Venerò i Luoghi Santi e tornò per la sua via senza comprare l’effigie. Allora udì una voce che gli diceva: ‘Perché hai dimenticato di comprare l’effigie?’. Spaventato, ritornò ed andò al mercato e trovò una effigie di Nostra Signora, la santa doppiamente Vergine Maria, Madre di Dio, di venusto aspetto e soave bellezza. Quindi la comprò e l’avvolse nel cotone e in panni puliti. E mentre andava per la via, in una paurosa solitudine, lo assalirono i briganti e tentò di fuggire. Ma uscì da quella effigie una voce che diceva: ‘Continua per la tua strada’. E andò per la sua strada, senza che alcuno gli si avvicinasse. Poi lo assalì un terrificante leone che voleva sbranarlo. Allora uscì da quella stessa effigie una voce terrificante che fece scappare il leone.
Essa lo fece entrare in casa e scostò il mantello che nascondeva l’icona, che allora vide trasudare. Per troppa gioia baciò le mani ed i piedi del monaco e portò l’icona nella sua Cappella e la pose con grande onore sopra una finestra. Fece fare un cancello di ferro dietro il quale porla, perché non la toccasse alcuno. Pose innanzi ad essa una lampada che restava accesa giorno e notte; e, davanti alla lampada, stese una cortina di seta. Sotto l’icona pose un piatto di marmo, nel quale si raccogliessero le stille di sudore che grondavano dall’icona. Il monaco Teodoro rimase con lei a servire l’icona di Nostra Signora, la doppiamente Vergine Maria, Madre di Dio, fino a quando entrambi morirono. Quando il Metropolita intese la storia di questa icona, venne col Vescovo, il Clero e tutto il popolo. Trovarono quella icona che era come rivestita di carne. Ed avendola vista, si meravigliarono di quest’opera divina. Allora attinsero quel sudore dal piatto e se lo ripartirono in segno di benedizione. Ma il piatto si riempiva sempre nuovamente. Poi volle il Metropolita trasferirla in un altro luogo; ma venne un gran terremoto che lo impedì […]. E si vede sino ad oggi che questa icona fa miracoli e prodigi. La preghiera e benedizione di lei permangono con noi nei secoli dei secoli. Amen!". Il racconto edificante – anche se piuttosto fantasioso – si conclude con la seguente invocazione: "Ecco, è passato sopra di me l’inverno del dolore;/ ed è sbocciato nel mio cuore il fiore della tua lode, la gioia./ Che dalla tua icona, o Vergine, tu faccia trasudare dell’olio:/ questo miracolo tuo, di cui ho sentito parlare, e che è scritto sul legno,/ in Etiopia l’ho meglio potuto conoscere". George Gharib Fonte: rivista "Madre di Dio", febbraio 2005 |