Il Brigantaggio in Calabria nel periodo borbonico e Giosafatte Talarico. Di Salvatore Piccoli
La ragione essenziale che stava alla base del brigantaggio era la terra! I briganti altri non erano che braccianti che chiedevano solo terra da coltivare per sopravvivere! Il problema delle terre in Calabria, segnatamente in Sila, era un problema antico e neanche la società moderna riesce a scuoterne l'essenza feudale! Esempio di ciò fu una banda di Gimigliano che durante il periodo francese s'accanì contro i filogiacobini e che al ritorno dei Borboni saccheggiò Gimigliano stessa assassinando quattro persone tra cui il sindaco voluto da Ferdinando e la sua testa fu issata al posto della bandiera borbonica. Ferdinando fu costretto a formare con decreto del 22 Aprile 1816 una commissione incaricata di compilare liste di individui che scorrevano armati le campagne di Calabria in aperta e violenta resistenza alla forza pubblica. Ciò rappresentò l'implicita ammissione che le ribellioni non erano finite! Nella prima lista pubblicata figuravano, tra gli altri, i nomi di Vito Caligiuri di Soveria Mannelli, Carlo Cironte e Nicola Mazza di Pittarella (Scigliano), Vincenzo e Carmine Villella, Antonio Renzo, Pietro Genovese e saverio Colacino di Motta Santa Lucia. Nel 1824 il governo borbonico inviò in Calabria il colonnello Del Carretto per arginare il fenomeno brigantesco, soprattutto contro la banda di Ippolito Crocco di Spezzano e quella di Giovanni Roma di Caloveto. Sia il Crocco che il Roma finirono uccisi a tradimento da un infiltrato con l'aiuto di un componente della banda: Pietro Morrone di Pedace. Nella provincia di Catanzaro era attivissima la banda di Giovanni Gullo di San Pietro a Maida e nella provincia di Reggio operavano soprattutto comitive di Maropati e Gioiosa. Nel 1831 Ferdinando II, considerata l'incapacità fino ad allora mostrata di contrastare efficacemente il fenomeno, nominò un commissario ad hoc nella persona di Giuseppe De Liguoro, intendente della Calabria. Dai rapporti di polizia emerge che nel biennio 1831 - 1832, in tutta la Calabria, furono arrestati 123 briganti e 12 ne furono uccisi. Dopo il 1843 le terre silane furono sconvolte da una particolare recrudescenza brigantesca dovuta alle nuove disposizioni legislative borboniche sui demani. Da ricordare Rosario Rotella detto "Terremoto" Da San Giovanni in Fiore e le bande di Lappano, Trenta, Celico, San Benedetto Ullano. La caratteristica delle bande fu che, anche se decimate, in poco tempo si ricostituivano perché le condizioni di vita erano talmente misere che per sopravvivere finiva per essere necessario rubare! In realtà le comitive brigantesche del periodo, pur essendo costituite da braccianti e contadini, una volta che avevano preso la macchia, esercitavano la loro ferocia e il loro arbitrio anche contro i propri simili dimostrando di non possedere la minima coscienza sociale! Questo appare ulteriormente testimoniato dal fatto che nessun brigante sia stato mitizzato dal popolo come difensore delle classi povere. Nessuno tranne Giosafatte Talarico! Giosafatte vive ancor oggi nella memoria collettiva del suo paese, Panettieri, e dei paesi vicini, come il vendicatore dei torti, il romantico difensore dei deboli! Giosafatte fu un brigante solitario e particolare: uccideva solo per vendetta o per ridare ai poveri quello che l'arroganza dei baroni aveva loro tolto! La sua abilità nel travestimento, la sua cultura e soprattutto l'accortezza di non legarsi per troppo tempo a bande numerose, ma avere solo due amici fedeli: Felice Cimicata di Taverna e Benedetto Sacco di Castagna, fecero di lui un imprendibile fantasma, una leggenda vivente! Solo un patto con il monarca borbonico lo stanò dalle selve silane. Nel 1845 il re Ferdinando II, desideroso di dare all'Europa un'immagine pulita del suo regno, constatato che con la repressione non riusciva a venire a capo del fenomeno e insensibile alle tematiche sociali, vero scoglio insito nella sua mente e insuperabile dalla sua mentalità, propose a Giosafatte e ad altri briganti di arrendersi in cambio di una nuova e libera vita lontano dalla Sila. Giosafatte così venne esiliato nell'isola di Ischia dove ebbe casa e stipendio. Aveva allora 40 anni e altri 40 visse in completa tranquillità davanti al mare! Dopo l'unità il deputato nepoletano Mariani con un'interrogazione parlamentare chiese se fosse giusto mantenere a spese dello stato un brigante graziato dai Borboni. Non ebbe risposta. Non fu solo quello il
progetto borbonico che i Savoia perpetuarono nella bella Calabria! Da una comunity di Cosenza: Ieri sera ho finito di
leggere il libro, La leggenda di Giosafatte brigante di Panettieri
scritto e regalatomi da Salvatore Piccoli, utente conosciuto qui a Cosenza
in rete, non solo per le sue discussioni nei forum, ma credo anche e
soprattutto per le sue opere. Questa sfiducia in ogni
forma di protesta e di lotta organizzata fu il nucleo della vera
"Questione meridionale". L'esteso fenomeno del brigantaggio ne fu solo una
drammatica conseguenza. Ma ritornando a Giosafatte, l'autore ce lo
descrive come un uomo solitario, inquieto, di vasta cultura, ma anche come
una persona dall'animo sensibile e generoso, forte e capace di
accoltellare un uomo, ma anche mite e sorpreso davanti al miracolo
dell'alba mattutina. E' ambientato nella nostra bella terra, dai boschi
silani alle pianure catanzaresi e in ultimo alle calde spiagge siciliane.
Come una magica macchina del tempo, il romanzo ci fa incontrare la storia
(fatta di solidarietà e senso di giustizia tra poveri) e i personaggi che
l'hanno fatta: da Garibaldi, ai fratelli Bandiera, fino a noti briganti
come il Boia, Felice Cimicata e Benedetto Sacco. http://www.cosenzainrete.it/user.php?op=userinfo&uname=COCCINELLA *** |