Nel nome di Kiko. La carica dei
Neocatecumenali
Si sono moltiplicati in pochi anni.
Circondati da misteri come una setta. Producono vocazioni a tutto
spiano. E figli. Wojtyla li ama. E li ha fondati... |
di Sandro Magister
(Da "L´Espresso" n. 24 del 13 giugno 1996)
Non è il mercato del tempio ma quello del Testaccio, il più popolare di
Roma. Eppure quei due tipi sono lì in mezzo che predicano il Vangelo a gran
voce, tra pesce di paranza e cicorione. Non sono testimoni di Geova, nè
avventisti, nè bambini di Dio. sono cattolici neocatecumenali.
Ma mica ve lo dicono. Se volete saperne di più, segnatevi la parrocchia che
vi indicano e andateci. Troverete all'ingresso un vistoso manifesto con
scritto «Catechesi per adulti», e gli orari, e l'icona di una Madonna
dipinta da uno spagnolo di nome Francisco Argüello, per gli amici Kiko, che
dei neocatecumenali è il fondatore. Ma neppure questo piccolo segreto ve lo
riveleranno subito. Prima dovrete andare alle catechesi, due sere alla
settimana per sette settimana di fila, con in cattedra i due del Testaccio
più un prete con la barba che però sta quasi sempre zitto. Vietato fare
domande. Il velo vi sarà tolto solo alla fine, alla «convivenza» di tre
giorni che corona il corso, in un luogo appartato fuori città. Alla fine?
Macchè questo è solo il prologo. Per saperne davvero di più dovrete «fare
comunità» e intraprendere con i vostri compagni di viaggio un «cammino»
d'iniziazione che può durare anche vent'anni. Di cui per ora continuano a
dirvi poco. Ma che di sicuro «rivoluzionerà la nostra vita di peccatori».
Cammina cammina i neocatecumenali ne hanno fatta di strada, dal 1968 che è
la loro data di nascita. Sono ormai una potenza e hanno imparato dall'Opus
Dei a vendere bene le statistiche dei loro successi. Le ultime quotazioni
parlano di «oltre 13 mila comunità in 786 diocesi di 96 nazioni». In soli
nove anni, dal 1987 ad oggi, hanno eretto in quattro continenti 28 seminari Redemptoris Mater, il primo a Roma in zona Aurelia,
con già più di mille candidati al sacerdozio usciti dalle loro file. Hanno
200 famiglie in missione nelle zone più remote del mondo. In Italia le
comunità sono tremila in mille piccole parrocchie di 185 diocesi. Nella sola
Roma hanno conquistato una parrocchia su tre. Ma soprattutto hanno dalla loro il papa.
La cofondatrice dei neocatecumenali, Carmen Hernández, anch'essa spagnola,
ha libero accesso a Giovanni Paolo II a qualsiasi ora, anche dopo cena
quando in Vaticano è sacro silenzio. Se l'ora si fa tarda pernotta nel soffittone, la mansarda che sovrasta l'appartamento pontificio.
I due, Kiko e Carmen, si conobbero nel 1964 tra i baraccati di Palomeras
Altas, periferia di Madrid. Entrambi avevano alle spalle una giovinezza
turbolenta. Kiko, che oggi ha 57 anni, era stato miscredente, poi s'era
convertito e s'era cacciato tra i poveracci, «ladri e assassini», per
convertire anche loro, «soltanto con una Bibbia e una chitarra». Racconta
che davanti alla sua predicazione quelli «crollarono» di schianto. Ma erano
gente grezza, peccatori coi fiocchi, che «non avevano niente da difendere» e
quindi «credevano a tutto ciò che dicevamo, credevano al vangelo alla
lettera». Quando Kiko e Carmen tentarono di far crollare anche i
parrocchiani di due vicine chiese di Madrid, il miracolo non si ripetè.
«Questi altri erano gente per bene, erano vaccinati. Era necessario un lungo
cammino perché anche loro si riconoscessero peccatori».
Mollarono Madrid e nel 1968 si trasferirono a Roma, al Borghetto latino, lui
in un «pollaio», lei in una «baracca». Carmen aveva messo piede in convento
e studiato un po' di teologia. I suoi autori preferiti erano il teologo Louis Bouyer, il liturgista e patrologo Bernard Botte, il biblista Xavier
Léon-Dufour. Il modello che sognavano era quello dei primi secoli cristiani,
quando si era battezzati adulti dopo una severa iniziazione chiamata
catecumenato: come sant'Ambrogio, come sant'Agostino, quest'ultimo gran
specialista in "catechizandis rudibus", nel predicare la fede ai
principianti.
Ma oggi che nella Chiesa, da molti secoli, il battesimo lo si dà ai bambini?
Fa niente, rispondono Kiko e Carmen. Ripristiniamo ugualmente il
catecumenato, riprendiamo i battezzati anagrafici e portiamoli a diventare
cristiani veri. Kiko e Carmen convincono una parrocchia di Roma, quella dei
Martiri Canadesi al Nomentano, a dare il via al sacro esperimento. L'anno dopo, nel 1969, tocca ad altre tre parrocchie
romane. Anche lì funziona. La chiesa della Natività in via Gallia adegua
persino la sua architettura al modello neocatecumenale inventato da Kiko e
Carmen. La navata simboleggia il corpo di una gestante, gravida dei suoi
figli rinati. Il vecchio altare sparisce e al suo posto c'è «la bocca»,
l'ambone con la Bibbia. Più giù c'è «lo stomaco», una grande tavolata
quadrata su cui si dice messa e si fa la comunione con focacce non lievitate
e gran numero di calici di vino. E più giù ancora «l'utero», la vasca
scavata nel pavimento, dove il battezzato si immerge per uscirne fatto uomo
nuovo.
Il colpo di genio di Kiko e Carmen è d'offrire alla Chiesa questa loro
invenzione in un momento di nuova e crescente domanda. Oggi nelle
cristianità del vecchio mondo il battesimo ai bambini non è più così
generalizzato come in passato: anche nella cattolica Italia un numero
crescente di coppie, ormai una su trenta, non battezza più i propri nati.
Torna quindi d'attualità il battesimo degli adulti per chi, cresciuto,
intenda farsi cristiano per sua scelta. Oggi, di questi moderni catecumeni,
a Roma c'è nè circa 300, a Milano 150. Per regolare la loro preparazione al
sacramento, il Vaticano ha pubblicato nel 1972 un rituale guida, che
ripristina le tappe essenziali del catecumenato della Chiesa antica.
Ma Kiko e Carmen offrono molto di più e di diverso: un progetto
neocatecumenale brevettato, coperto da copy-right esclusivissimo, con
proprio personale anch'esso fornito chiavi in mano, di pronto impiego per
qualsiasi parrocchia, valido per i non battezzati ma soprattutto per gli
altri, per l'intera «massa dannata» dei cattolici solo di nome.
Prendere o lasciare, a scatola chiusa, dagli inizi sono passati quasi trent'anni,
ma i voluminosi manuali guida predisposti da Kiko e Carmen per i loro
catechisti restano segreto di stato. Neanche i membri delle loro comunità
possono gettarvi lo sguardo, figurarsi gli infedeli. Persino i cardinali del
Vaticano e il Sant'Offizio hanno dovuto sudare le sette camicie per averli
in visione, quando cominciarono a volare le prime accuse d'eresia contro la
strana, confusionaria teologia dei due autodidatti spagnoli.
Quello che accade dentro le comunità è anch'esso del tutto vietato a occhi
esterni. Ciascun nucleo è composto d'una trentina di persone e in molte
parrocchie di nuclei ce n'è più d'uno, ciascuno al suo stadio del
lunghissimo tragitto. Nella parrocchia dei Martiri Canadesi, ad esempio,
oggi le comunità sono 25. E ciascuna fa da sè. Anche le messe settimanali
sono separate: tot comunità, tot messe su misura ogni sabato sera, ciascuna
nella sua bella stanza chiusa a chiave. Solo a Pasqua le comunità di una
stessa parrocchia celebrano messa assieme, ma sempre al riparo da presenze
estranee. Cominciano la veglia pasquale a notte fonda e finiscono a sole
alto, mangiando anche un agnello arrostito, come nell'Antico Testamento.
Si capisce che tanti vescovi e parroci, quando si imbattono nei catecumenali,
vogliono fare come l'apostolo Tommaso, che non si fidava finché non aveva
visto e toccato. E difatti qua e là Kiko e Carmen e i loro ferventi seguaci
si sono visti rifiutare il visto d'ingresso. Ma nella maggior parte dei casi
hanno carta bianca. Il segreto del loro successo è nei «frutti» che
producono. Che sono così mirabolanti da spazzar via ogni titubanza.
I frutti sono il gran numero di convertiti. Il moltiplicarsi esponenziale
delle comunità e dei catechisti itineranti. L'altissimo numero di figli
messi al mondo dalle coppie neocatecumenali. Il «perseverare» di queste
figliolanze nel cammino già intrapreso dai genitori. Le miriadi di vocazioni
al sacerdozio e alla vita religiosa. Lo stupefacente numero di famiglie che
abbandonano tutto e partono per missioni remote. Insomma, tutto l'opposto di
quello che avviene tra i cattolici comuni e nella Chiesa ordinaria, che i neocatecumenali si sentono in dovere di giudicare fiacca, smorta e di poca
fede, se non peggio, fatta di tanti Giuda.
Ma c'è di più. Taluni di questi frutti sbocciano in pubblico, sotto gli
occhi degli astanti estasiati. L'astante numero uno è da molti anni papa Karol Wojtyla. Un'adunanza tipo è quella che vede riuniti davanti a lui
migliaia di giovani neocatecumenali, con Kiko che predica con vigore e all'improvviso
chiede: «C´è qualcuno di voi che vuole portare l'acqua delle fede nel
deserto del mondo? Chi lo vuole si alzi». E come per incanto si alzano a
decine, a centinaia, ragazzi e ragazze che all'istante si offrono a fare il
prete o la suora a servizio del cammino.
La scorsa estate, a Loreto, si alzarono addirittura in tremila. E il papa a
esclamare: «Se questo accade così, spontaneamente, sotto la forza dello
Spirito, è la prova che Dio vi chiama». Idem con le famiglie che vogliono
andare in missione. Nel 1991, nel meeting estivo internazionale tenuto dai
neocatecumenali nelle Marche, a Porto San Giorgio, si alzarono 400 coppie.
Il successivo 29 dicembre si ritrovarono in Vaticano, davanti al papa. E le
100 prescelte furono estratte pubblicamente a sorte, in un diluvio di
emozioni. E' il papa, ogni anno, a mandare queste famiglie al fronte.
Partono con la loro frotta di figli per la Siberia, per la Terra del Fuoco,
per il Bronx, per il Giappone. Non importa che non abbiano un lavoro nè
sappiano una parola della lingua del posto. «Dio provvede».
E nel chiuso dei gruppi che fanno cammino, sotto segreto? Anche lì è la
temperie comunitaria che avvolge ed esalta ogni decisione del singolo,
passata al setaccio di tappa in tappa, di scrutinio in scrutinio. Guai a non
riconoscersi peccatori e confessare davanti a tutti le proprie colpe passate
e presenti, anche le più turpi e segrete, anche quelle sconosciute al
proprio coniuge o figlio, magari anche quelle mai compiute ma che fanno
tanto conversione. Guai non rinunciare a tutto quello che si ha, e deporre
casa e risparmi nel nero sacco della spazzatura che simboleggia il distacco
da Mammona, a pro della comunità e dei poveri. Guai a non anteporre la
comunità agli affetti «mortiferi» della sposa, dei figli, dei genitori. Guai
a non accettare i nati che Dio manda, tanti quanti fertilità consente. Per
chi «non abbandona gli idoli» c´è pianto e stridor di denti. Rivela d'essere
tra i non eletti da Dio. Tra i non predestinati alla salvezza.
«Essere cristiani sul serio, applicare il Vangelo alla lettera. Il cammino è
tutto qui», dice Giuseppe Butturini, professore di storia della Chiesa all'università
di Padova, otto figli, neocatecumenale di spicco e loro voce autorizzata.
«Se crisi personali accadono è perché il Vangelo cala come una spada, cui
non si può sfuggire».
Infatti. Tra i neocatecumenali fioriscono felicità, amore, dedizione. Anche
fino a sacrificio della vita per la fede, come raccontano le storie
recentissime di alcuni loro martiri ruandesi. Ma nello stesso tempo, anche
quanta infelicità, quante vite devastate, quante famiglie spezzate. Se di
due coniugi uno è fuori e l'altro è dentro, questi non avrà pace fino a che
non avrà portato in comunità anche il riluttante. E se dopo anni non vi
riesce? Fuori anche lui, tra gli infedeli. A meno che non si separi. Sì, per
«salvare la fede» del coniuge buono, Kiko e Carmen hanno introdotto tra i
loro catecumeni anche la prassi della separazione dal coniuge cattivo,
ripescando una soluzione che san Paolo applicava al matrimonio con i pagani.
Per i neocatecumenali continua a valere il vecchio detto: non c'è salvezza
fuori della Chiesa. La loro Chiesa.
***
Ma qui non passeranno
Cardinali e vescovi che bocciano le comunità neocatecumenali
A Roma, diocesi del papa, i neocatecumenali trionfano. Ma a Milano, dove
comanda il cardinale Carlo Maria Martini, non riescono a metter piede. A
Firenze il cardinale Silvano Piovanelli gli ha intimato l'alt. A Torino il
cardinale Giovanni Saldarini li ha messi in riga. E a Palermo, come ultimo
atto di governo prima del suo ritiro, il cardinale Salvatore Pappalardo ha
promulgato un editto contro di loro.
I quattro cardinali, evidentemente, sui neocatecumenali non la pensano come
l'entusiasta Giovanni Paolo II. Martini ha definito «anomalo» il loro far
comunità «in alternativa e in antagonismo» con la Chiesa. Saldarini gli ha
vietato di continuare a dir messe di gruppo a porte chiuse. Pappalardo gli
ha proibito anche di celebrare la veglia pasquale isolati dal resto dei
fedeli. E sia a Milano che a Torino che a Palermo non potranno più
intrufolarsi nelle parrocchie se non con il previo permesso della curia.
A Firenze, il cardinale Piovanelli è ancor più esplicito. In un suo
documento d'un anno fa ha messo per iscritto una filza di critiche: «si
credono migliori degli altri», «impongono a tutti la loro esperienza come
l'unica strada per vivificare la Chiesa», «dividono le comunità parrocchiali
con rigidità e chiusure, incomprensioni e sospetti».
Dieci anni fa, il vescovo di Brescia, Bruno Foresti, non è stato da meno.
Nei neocatecumenali vedeva serpeggiare «spirito di setta», «soggezione
psicologica», «dipendenza affettiva ed effettiva dai leader», «visione
pessimistica dell'uomo», «sottofondo quasi magico» nella lettura delle Sacre
Scritture. Proibì «fino a contr'ordine» la nascita di nuove comunità neocatecumenali nella sua diocesi. Dal 1990 ha mitigato il bando, ma senza
allentare il controllo.
Altri vescovi che hanno stretto il freno, in Italia, sono quelli di Novara,
di Trieste, di Foligno. I neocatecumenali, nel loro gergo, chiamano i
cardinali e i vescovi ostili "i Faraoni". E quando nel 1988 il vescovo di
Perugia, Cesare Pagani, morì d'infarto dopo burrascosi colloqui con i capi
di questo popolo eletto, tra loro ci fu chi vi vide la mano punitrice di
Dio.
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