PRIMA DI SQUARTARE UN EMBRIONE PERCHE'
NON PIACE... |
Signori scienziati, ricordatevi di Michel
Petrucciani
«Sometimes I think someone upstairs
saved me from being ordinary». («Talvolta penso che qualcuno, lassù,
mi abbia preservato dall'essere uno qualunque, una persona ordinaria»).
C'è un nonsoché di trascendente in quel vocabolo così ordinario "upstairs",
che vuol dire "al piano di sopra, in fondo alla scala" quando si scopre
che a dire questa frase è stato Michel Petrucciani, uno dei più rinomati
ed amati jazzisti moderni, morto nel 1999 a 37 anni. Alto circa un metro,
per 30 chili di peso, doveva camminare sempre con le stampelle e per
suonare il pianoforte doveva applicare una protesi ai pedali, per poterci
arrivare.
Ricordo con tenerezza quella testa sproporzionata, quelle braccia così
corte, quelle mani così forti e precise, quelle acrobazie per andare da
una parte all'altra degli 88 tasti, che più di una volta hanno tenuto col
fiato sospeso (oddio, cade!) gli spettatori dei suoi concerti. Eppure
aveva un tocco personalissimo, una perfezione melodica che molti pianisti
"sani" gli invidiano tutt'ora, un senso ritmico non comune e un sorriso
assolutamente disarmante.
Insomma, poteva essere un fenomeno da baraccone, e invece non è mai stato
"un handicappato che suona il pianoforte": è stato un uomo vero, uno che
ha sgobbato per poter vivere della musica che aveva imparato in casa, uno
che ha capito il suo limite e dopo averlo riconosciuto, lo ha superato
impegnando oltre misura tutti i talenti che un destino impietoso aveva
racchiuso in quel suo corpo deforme. Di sé diceva di essere un uomo
realizzato, perché era riuscito a non permettere ad alcunché di impedirgli
di fare ciò che voleva fare.
Il mio ricordo emozionato lo vede, come se fosse ora, suonare ispirato di
fronte alla folla del grande concerto di Bologna, alla presenza del Papa,
alla chiusura del Congresso Eucaristico del 1997. Lo vede scendere dal
seggiolino con fatica e accogliere l'applauso della gente aggrappato al
pianoforte.
Lo vede prendere le stampelle per andare a rendere omaggio al Papa,
sollevato, sostenuto, quasi trascinato dall'ovazione di quei trecentomila
che l'avevano appena ascoltato. Lo vede fermarsi ai piedi di una impietosa
scala, troppo ripida e lunga, al di sopra della quale, "upstairs" stava il
Papa plaudente. Lo vede rinunciare alla salita, e nello stesso tempo,
abbandonate per un attimo le stampelle, indicare il suo cuore che batte e
fare l'eloquente gesto di un abbraccio. Lo vede riabbracciato con il
medesimo gesto dal Papa, che in cima alla scala lo benedice. Lo dico
sinceramente: quei passi claudicanti, quel corpo sfigurato, quell'abbraccio
a distanza sono l'immagine che più spesso ricorre alla mia mente quando
prego con la frase di Sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo vivente».
Oggi, prima di scrivere questo testo, la scoperta su un sito Internet di
quella sua frase: «Talvolta penso che qualcuno, lassù, mi abbia preservato
dall'essere uno qualunque, una persona ordinaria». Di fronte alla
meraviglia di ciò che riesce a tirare fuori da se stesso, pur in
condizioni che razionalmente sarebbe esatto definire beffarde, all'uomo
non importa di misconoscere i propri meriti accreditandoli al Cielo.
Un Cielo che in quelle condizioni è semplicemente "upstairs", il piano di
sopra. Che tristezza, che meschinità, che squallore se penso che in questo
momento, prima che un'avventura umana magari simile a questa possa fiorire
e dare i suoi meravigliosi frutti, c'è uno scienziato qualunque che in un
laboratorio qualunque sta strappando cellule ad un embrione e se la
diagnosi preimpianto decreterà che il soggetto sarà nano, gobbo e deforme,
non ci penserà su nemmeno un attimo, e butterà via tutto, l'uomo, l'anima,
il talento, la fatica, la conquista, l'amore, l'emozione, la dignità, la
vita e la gloria di Dio, nel lavandino del sottoscala. In inglese,
downstairs.
Fonte: © Editoriale di Avvenire - Maggio 2005
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Michel Petrucciani, morto prematuramente il 6 gennaio 1999
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