ROMA, 18 gennaio 2005 – Ha
fatto molto rumore, in Italia e in altri paesi, un documento del 1946
della nunziatura vaticana a Parigi, all’epoca retta da Angelo Giuseppe
Roncalli, il futuro Giovanni XXIII.
Il documento – anticipato monco e mal interpretato dallo storico Alberto
Melloni sul “Corriere della Sera” del 28 dicembre 2004, e poi scoperto e
pubblicato nella sua integrità da Andrea Tornielli e Matteo Luigi
Napolitano su “il Giornale” dell’11 gennaio – riprende un’istruzione del
Vaticano approvata da Pio XII e trasmessa da Roncalli ai vescovi francesi.
Esso mette in guardia la Chiesa dal riconsegnare i bambini ebrei da essa
ospitati durante la guerra alle istituzioni ebraiche che in quel 1946
operavano a Parigi e in tutta Europa per trasferire quei piccoli in
Palestina in vista della fondazione del nuovo stato d'Israele. Ma “altra
cosa” – precisa – “sarebbe se i bambini fossero richiesti dai parenti”.
Il documento ha dato spunto a un’ennesima grandinata di accuse contro Pio
XII. Daniel Jonah Goldhagen, professore a Harvard, l’ha accusato di “aver
dato l’ordine di portar via i bambini [ebrei] ai loro genitori", e ha
invocato una giuria internazionale che lo processi e condanni.
Altre voci si sono levate contro la beatificazione di Pio XII, di cui è in
corso il processo. E altri ancora hanno reclamato dal Vaticano il
“coraggio” di fare il “gran gesto” di aprire i suoi archivi. A
quest’ultima contestazione ha replicato il prefetto dell’Archivio Segreto
Vaticano, Sergio Pagano, in un’intervista esclusiva al quotidiano della
conferenza episcopale italiana, “Avvenire”, il 14 gennaio.
Ecco qui di seguito l’intervista integrale. È stata raccolta da Gian Maria
Vian, storico della Chiesa e professore ordinario di filologia patristica
all’Università “La Sapienza” di Roma.
***
”Tanti
gridano per entrare in questa fortezza segreta, e poi, quando è aperta,
spariscono”
Intervista con Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano
D. – Ha sentito delle ultime richieste di apertura degli archivi vaticani?
Che ne pensa?
R. – “Ho letto sulla stampa le ultime invocazioni di una lunga litania che
dura da decenni: il Vaticano deve aprire i suoi archivi, bisogna conoscere
la verità su Pio XII (come se non siano esistiti altri papi) e sulla sua
posizione nell’ultima guerra. Gli studiosi, anzi, l’intera Europa – si è
scritto – hanno grande ‘sete’ di conoscere questo recente tragico passato,
come se la pacificazione di una bruciante coscienza dei popoli d’Europa,
almeno quanto al secondo conflitto mondiale, possa aver luogo in sede
storiografica soltanto con l’apertura degli archivi vaticani, mentre tanta
poca parte si riserva al cristianesimo – non dico al papato – nella
costituzione europea. È un fenomeno ben strano. E mi chiedo se la
richiesta continua di aprire gli archivi della Santa Sede sia mossa
davvero da genuine e pacate valutazioni storiografiche oppure da altre
cause”.
D. – Ma le aperture?
R. – “C’è il problema di preparare il materiale archivistico, come sanno
bene gli studiosi più seri, aggravato nel nostro caso dal fatto che, per
consuetudine e per necessità di coerenza scientifica, quando si procede a
un’apertura non si agisce, come altrove, secondo periodi stabiliti per
legge, ma per interi pontificati. E nel caso di Pio XI e Pio XII – ma c’è
già chi chiede l’apertura di Giovanni XXIII e Paolo VI – siamo di fronte a
pontificati quasi ventennali. Preparare, inventariare, numerare e timbrare
un così grande numero di carte per disporle alla consultazione comporta,
come capiscono tutti, un lavoro di anni e un numero di forze umane, serie
e qualificate, ragguardevole. Negli archivi vaticani poi vige la regola
del controllo della documentazione prima dell’apertura. Si verificano le
posizioni e i protocolli, si accerta la completezza o meno di una busta o
di una serie di scritture, si seguono le pratiche. Insomma, si predispone
la documentazione, per quanto è possibile, nella sua genuina e originaria
natura e coesione, anche per evitare la nascita di ‘gialli’, sparizioni o
sottrazioni misteriose – misteriose, s’intende, solo per chi non sappia
fare ricerca seria d’archivio – di cui ogni tanto si legge. È un lavoro
minuzioso, non facile, lungo. Qui, e solo qui, sta il motivo dell’attesa
nelle aperture della documentazione vaticana”.
D. – E tutte le pressioni per le aperture?
R. – “Non è vero che tutti gli storici premano per aperture sempre più
ravvicinate degli archivi. Qualcuno dovrebbe pur ricordare quel che
scrisse Jacques Freymond nel 1981: i governi vagliano i documenti da porre
a disposizione degli storici, separando quelli che per varie ragioni non
saranno consultabili, mentre la pressione per aperture rapide rischierebbe
di minare queste equilibrate operazioni. E il perché lo ha spiegato un
grande archivista italiano, Elio Lodolini: ‘Noi siamo contrari ad una
consultabilità a data troppo ravvicinata, in quanto essa provoca la
volontaria distruzione dei documenti od il loro inquinamento. Ove manchi
la più assoluta e tassativa garanzia della segretezza per un ragionevole
periodo di tempo, vengono meno le caratteristiche della veridicità e della
imparzialità delle carte’”.
D. – Chi stabilisce l’apertura progressiva dei documenti dell’archivio?
R. – “L’Archivio Segreto Vaticano si chiama così perché è l’archivio
privato del pontefice. A lui solo appartiene e risponde. Ne consegue che
solo il papa ha il governo dell’archivio, ne stabilisce regolamento e
norme, decidendo anche le sue progressive aperture”.
D. – Nel 1880 Leone XIII aprì gli archivi agli studiosi. Con quale
portata?
R. – “Il gesto compiuto da Leone XIII nei primi mesi del 1881 (e nel 1880
annunciato) fu certamente un gesto di lungimiranza politica e scientifica;
su questo argomento molto si è scritto e si scriverà. Tuttavia va tenuto
presente che l’apertura riguardava soltanto i fondi allora presenti nel
vecchio archivio di Paolo V (1605-1621), cioè un numero limitato di
‘armaria’ e di ‘miscellanee’, per quanto preziose e importanti. Non
c’erano poi strumenti aggiornati di ricerca ma soltanto gli indici del
Seicento – i grandi schedari e inventari verranno dopo – sicché molti
restarono delusi. Da Leone XIII a oggi l’Archivio Segreto Vaticano è
aumentato a dismisura, almeno di quindici volte. Per fare un esempio,
c’erano allora gli archivi soltanto di quattro nunziature (tre in antichi
stati italiani e a Varsavia), mentre oggi ne abbiamo più di 75. Dai circa
5 chilometri lineari di documentazione del 1881 siamo passati ai più di 80
attuali. Senza tener conto che l’archivio non è morto, ma vivo, perché
periodicamente riceve documenti dagli organismi curiali e dalle
rappresentanze pontificie nel mondo. Tralasciando schedari e indici,
l’archivio si è ampliato negli ultimi sei anni di oltre 10.000 unità
archivistiche. E ciascuna unità ha in media 500 fogli: un totale di 5
milioni di fogli, cioè 10 milioni di pagine da scorrere e ordinare”.
D. – E gli altri papi?
R. – “I successori di Leone XIII – che poi aprì l’archivio vaticano fino
al 1815, anno del congresso di Vienna – ne seguirono la strada. Pio XI nel
1924 aprì i documenti fino al 1846 (morte di Gregorio XVI); Pio XII
preparò l’apertura di Pio IX (1846-1878), effettuata nel 1966 sotto Paolo
VI. E Giovanni Paolo II ha sorpassato tutti nell’apertura dell’archivio:
nel 1978 aprì il pontificato di Leone XIII (1878-1903) e nel 1985 quelli
di Pio X (1903-1914) e Benedetto XV (1914-1922). E nei primi mesi del 2006
sarà aperto il pontificato di Pio XI (1922-1939)”.
D. – Nell’apertura come si trova oggi l’Archivio Segreto Vaticano rispetto
ad altri archivi?
R. – “Direi a un ottimo punto, perché nelle varie legislazioni si procede
a diversi periodi di apertura, a seconda della tipologia dei documenti.
Generalmente si va da un minimo di 50 anni, andando a ritroso, fino a un
massimo di 100 anni per i documenti più delicati o riservati. L’Italia
apre i suoi archivi relativi alla politica estera o interna 50 anni dopo
la loro data, ma quelli riservati relativi a situazioni private di
persone, o i documenti dei processi penali, dopo 70 anni. Fra un anno gli
archivi vaticani saranno aperti fino al 1939. La successiva apertura,
quella del pontificato di Pio XII, ci porterà al 1958. Il personale
limitato e il lungo lavoro non consentono di pensare come vicina
l’apertura dei documenti di Pio XII, per i quali, come per tutti gli altri
già aperti, non si ha alcun timore di rovesciamenti storiografici,
assoluzioni o condanne (che poi non spettano agli storici). Aggiungo che
per rendere possibile tra un anno l’apertura del pontificato di Pio XI un
gruppo di venti persone, fra addetti e archivisti, sta lavorando da circa
quattro anni e la Santa Sede per questo ha aumentato l’organico
dell’archivio di ben undici unità. Una volta aperto il pontificato di Pio
XI, si passerà a preparare quello di Pio XII”.
D. – Ci sono state aperture parziali per il pontificato di Pio XII?
R. – “Da diversi mesi è aperto il fondo ‘Ufficio Informazioni Vaticano per
i prigionieri di guerra’, che comprende documenti dal 1939 al 1947. Ben
oltre, dunque, il limite del 1922. Si tratta infatti di un fondo omogeneo
e in certo modo slegato da altri. Per ordinare le oltre 2.500 scatole che
compongono il fondo e per trasferire su dvd il suo schedario (circa 3
milioni di schede) sette persone hanno lavorato per tre anni. Così, dal
maggio 2004 questo fondo è aperto, ma fino a oggi soltanto dieci
ricercatori in tutta Europa ne hanno approfittato. A volte si ha
l’impressione che certi studiosi, le cui voci sono forse troppo
amplificate dalla stampa, gridino all’apertura degli archivi vaticani
quasi per entrare in una fortezza segreta vincendo immaginarie resistenze;
ma quando la porta si apre e i documenti sono consultabili, quelli che
sembravano andare all’arrembaggio non si presentano o fanno una visita
quasi turistica. Da più di un anno poi sono aperti gli archivi delle
nunziature di Monaco e di Berlino fino al 1939; dopo un primo afflusso da
parte di un discreto numero di ricercatori, sono rimasti sul campo i più
seri e metodici, ben pochi. La maggioranza dei curiosi si è dileguata.
Strano. Come se, non potendo trovare conferma a tesi precostituite ma non
documentabili, gli archivi potessero essere dimenticati. John Cornwell,
per esempio, che tanto acremente ha giudicato Pio XII, non ha mai messo
piede nell’Archivio Segreto Vaticano (se non altro per studiare il periodo
del nunzio Pacelli); lo stesso potrei dire di storici anche italiani”.
D. – Perché occorre tanto tempo per procedere all’apertura dei documenti
di un papa?
R. – “Per sistemare, verificare, inventariare e numerare le carte.
L’archivio vaticano, infatti, riceve i versamenti dai vari dicasteri della
curia romana nell’ordine e nella sistemazione materiale che i documenti
hanno all’origine. Ma in archivio va poi fatto, in vista dell’apertura, il
riscontro fra la documentazione – contenuta in buste, faldoni, fascicoli,
volumi, raccoglitori vari – e i relativi schedari o indici contestualmente
versati. Quindi il materiale va preparato, qualche volta spolverato, e
diviso in fascicoli maneggevoli; in questa fase si verificano le sequenze
delle pratiche e la corrispondenza dei titoli e dei protocolli. Si passa
poi alla legatura, o alla sistemazione in buste, delle carte e quindi alla
loro numerazione. Tutte queste operazioni, compiute su migliaia e migliaia
di unità, spiegano il protrarsi del lavoro negli anni. A ciò si aggiunga
che diversi archivi di rappresentanze pontificie, per vicissitudini
storiche, giungono in completo disordine. È il caso, per esempio, delle
rappresentanze nei paesi occupati in guerra (Polonia, Lettonia, Lituania,
Estonia) o di quelle sedi dell’Europa orientale e centrale che durante la
guerra fredda non ebbero certo vita facile: i rappresentanti del papa
vennero cacciati dai governi comunisti da un giorno all’altro e costretti
a scappare, portando con sé, stipate alla meglio in valigie, le carte dei
loro archivi (come in Bulgaria, Cecoslovacchia, Iugoslavia, Romania, e in
altri paesi). Tutto questo materiale va pazientemente rivisto, ordinato e
inventariato. Nessuno studioso, infatti, senza questo lavoro preliminare,
potrebbe poi compiervi ricerche”.
D. – Ma quanto è grande l’Archivio Segreto Vaticano?
R. – “Abbiamo più di 80 chilometri lineari di documentazione – proprio di
recente si è provveduto a misurare i singoli palchetti e gli scaffali –
che va dall’XI secolo (rari sono i documenti precedenti) fino al
brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I nel 1978. Insomma, circa 40.000
pergamene, una cospicua documentazione dei secoli XII-XIV, una assai più
consistente tra Quattrocento e Settecento, e poi la smisurata mole di
documentazione dell’Ottocento e del Novecento. Un totale di oltre due
milioni di unità”.
D. – Quali documenti sono più studiati oggi?
R. – “Con buona pace degli storici contemporanei, la maggioranza degli
studiosi che frequentano l’archivio si occupa di storia medievale e
moderna. E lo testimoniano importanti collane di pubblicazioni di vari
paesi europei (Germania, Francia, Austria, Italia, Spagna, Polonia,
Belgio, Svizzera, Portogallo, Olanda, Norvegia, Finlandia, Svezia,
Irlanda, Danimarca, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e
altri). Anche questi studiosi hanno tutto il diritto di godere di
strumenti adatti alle loro ricerche, e ciò impone che un certo numero di
officiali dell’archivio lavori per anni su documenti medievali e moderni.
Si pensi che alcuni fondi diplomatici dei secoli XIV-XVI non hanno ancora
un inventario”.
D. – Quanti studiosi frequentano l’archivio?
R. – “Dai 27 studiosi ammessi nel 1882, subito dopo l’apertura voluta da
Leone XIII, si è passati ai 400-500 studiosi annui nel periodo 1958-1967;
nei tre ultimi decenni del Novecento si è giunti a una media di 1300
studiosi all’anno, con 40-50 presenze al giorno e picchi di 60-80 in
alcuni mesi. La punta massima si ebbe nel 1999, quando si raggiuse il
numero di 1444 ricercatori”.
D. – Vi sono accessi privilegiati?
R. – “Bisogna di nuovo chiarire questo punto. Posso attestare in
coscienza, da quando sono prefetto, cioè dal 1997 – ma questo valeva
naturalmente anche prima – che nessun privilegio, riguardo o favoritismo
viene riservato ad alcuno studioso, ecclesiastico o laico: tutti sono
soggetti alle medesime regole. Nessuno potrà mai dire di avere avuto da me
alcun permesso speciale (del resto questo spetterebbe alla Segreteria di
Stato). Soltanto i postulatori per le cause dei santi, com’è ovvio, hanno
il permesso di consultare documenti del periodo chiuso, previo consenso
della Segreteria di Stato, e devono mantenere il segreto sui documenti
loro concessi, sia durante i processi canonici sia dopo”.
D. – Cosa porterà di nuovo la prossima apertura del pontificato di Pio XI?
R. – “L’intero pontificato di Pio XI (1922-1939) si aprirà nei primi mesi
del 2006 e con questo un vasto campo d’indagine storica. Fra le rovine del
primo conflitto mondiale e le minacce del secondo, papa Ratti dovette
assistere all’avvento al potere di quattro dittatori (Mussolini, Hitler,
Stalin e Franco), alla grande crisi del 1929, alle guerre coloniali, a
quelle del Messico e della Spagna, alla promulgazione delle terribili
leggi razziali tedesche e italiane e ai prodromi della seconda guerra
mondiale. Pio XI risolse la questione romana con i Patti Lateranensi
(1929), protesse e incrementò l’Azione Cattolica, celebrò il giubileo del
1925 e quello straordinario nel 1933-1934, disegnò un vasto progetto
missionario che giunse fino alla Cina, volse la sua azione verso l’Oriente
(con speciale attenzione alla Russia), guardò con occhio nuovo alla
scienza, stabilì relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e diversi paesi
del mondo. Tutto questo e molto altro riflettono i documenti del suo
pontificato che saranno posti al libero vaglio degli storici”.
D. – E Pio XII?
R. – “Già nel 2002 è stato ufficialmente comunicato che dopo l’apertura
del pontificato di Pio XI si lavorerà per rendere accessibili, con
precedenza, le fonti documentarie vaticano-tedesche relative al
pontificato di Pio XII (1939-1958), in parte già pubblicate per volontà di
Paolo VI nei 12 volumi (1965-1981) degli ‘Actes et documents du
Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale’. Ma è già aperto, come
ho detto, tutto il fondo ‘Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri
di guerra’, che ha documenti dal 1939 al 1947”.
di Sandro Magister
Fonte: "L'Espresso",
18/01/2005