L’Europa
è cristiana:
ma
nel suo cielo brilla la mezzaluna turca
Si discute ai
vertici della Chiesa se sia giusto o no considerare la Turchia
musulmana parte dell’Europa. Ratzinger dice no. Ma i sì sono
sempre più numerosi. E convincenti. |
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ROMA – Sul preliminare via libera dato il 6 ottobre dalla Commissione Europea ai negoziati per il possibile ingresso della Turchia nell’Unione, il Vaticano si è per ora astenuto da ogni commento pubblico ufficiale.
Ai diplomatici che riservatamente l’interpellano, la segreteria di stato risponde che non ha ragioni pregiudiziali per opporsi a una decisione dell’UE che ammettesse la Turchia, a condizione che questa rispetti gli standard di democraticità richiesti e garantisca le libertà religiose più di quanto non faccia oggi, in particolare per le minoranze cristiane.
Al di fuori dell’ufficialità, i pareri sono però più netti. Alcuni sono contro e altri, in misura crescente, a favore.
IL NO DI RATZINGER
Tra i contrari c’è un dirigente vaticano molto autorevole: il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede.
Ratzinger ha detto il suo no in due occasioni recenti: in un’intervista a “Le Figaro Magazine” del 13 agosto e in un discorso del 18 settembre agli operatori pastorali della diocesi di Velletri, di cui è titolare, riportato dal quotidiano cattolico di Lugano, in Svizzera, “Il Giornale del Popolo”.
In entrambi i casi ha precisato di esprimere un’opinione non della Santa Sede ma sua personale.
A “Le Figaro Magazine”, intervistato da Sophie de Ravinel, Ratzinger ha detto:
“L'Europa è un continente culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona una identità comune. Le radici che hanno formato e permesso la formazione di questo continente sono quelle del cristianesimo. [...] In questo senso, la Turchia ha sempre rappresentato nel corso della storia un altro continente, in permanente contrasto con l'Europa. Ci sono state le guerre con l'impero bizantino, la caduta di Constantinopoli, le guerre balcaniche e la minaccia per Vienna e l'Austria. Penso quindi questo: sarebbe un errore identificare i due continenti. Significherebbe una perdita di ricchezza la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo economico. La Turchia, che si considera uno stato laico, ma fondato sull'islam, potrebbe tentare di dar vita a un continente culturale con alcuni paesi arabi vicini e divenire così la protagonista di una cultura che possieda la propria identità, ma che sia in comunione con i grandi valori umanisti che noi tutti dovremmo riconoscere. Questa idea non si oppone a forme di associazione e di collaborazione stretta e amichevole con l'Europa e permetterebbe il sorgere di una forza comune che si opponga a qualsiasi forma di fondamentalismo”.
E ha ribadito nel successivo discorso a Velletri, secondo quanto riferito da “Il Giornale del Popolo” e da un dispaccio dell’Ansa del 20 settembre:
“Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione Europea. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da ponte tra Europa e mondo arabo oppure formasse un suo continente culturale insieme con esso. L'Europa non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l'impero ottomano è sempre stato in contrapposizione con l'Europa. Anche se Kemal Ataturk negli anni Venti ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell'antico impero ottomano, ha un fondamento islamico e quindi è molto diversa dall'Europa che pure è un insieme di stati laici ma con fondamento cristiano, anche se oggi sembrano ingiustificatamente negarlo. Perciò l'ingresso della Turchia nell’UE sarebbe antistorico”.
DA TAURAN A RUINI, A TUCCI
Quand’era ministro degli esteri della Santa Sede anche l’arcivescovo Jean-Louis Tauran aveva formulato riserve sull’ingresso nell’Unione della Turchia, a suo parere esterna all’Europa per geografia, religione e cultura. In un’intervista al “Corriere della sera” del 25 maggio 2003, Tauran aveva suggerito piuttosto di includere “paesi come la Moldavia e l’Ucraina”, entrambi europei e cristiani.
E alla proposta di dar la precedenza a Moldavia e Ucraina si era associato, in quello stesso mese di maggio 2003, il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per la diocesi di Roma e presidente della conferenza episcopale italiana. Nella conferenza stampa a conclusione di un’assemblea della Cei, Ruini aveva invitato a “ponderare bene” la questione, perché da un lato c’è “l’interesse dei cristiani di Turchia” a entrare in Europa, ma dall’altro c’è che “la Turchia, pur avendo una costituzione laica, è una nazione nei fatti fortemente islamica, molto popolosa e con una dinamica demografica molto positiva”.
Oggi però, un anno e mezzo dopo, l’opinione di Ruini sembra essersi evoluta in termini più favorevoli all’ammissione della Turchia, stando a quanto scrivono il quotidiano “Avvenire” e l’agenzia SIR, l’uno e l’altra di proprietà della Cei.
Un altro cardinale che di recente si è espresso a sostegno dell’ingresso della Turchia nell’UE è Roberto Tucci, gesuita, per molti anni organizzatore dei viaggi di Giovanni Paolo II. L’ha fatto in un’intervista alla Radio Vaticana. Il principale argomento che ha addotto è di geopolitica religiosa: l’ancoraggio di un grande paese islamico autenticamente “moderato” alla democrazia europea.
I VESCOVI DI TURCHIA E GLI ORTODOSSI
Inoltre, come prevedibile, sono decisamente favorevoli all’ingresso nell’Unione i vescovi e la minuscola comunità cattolica di Turchia. Lo scorso 21 giugno i vescovi sono stati ricevuti per la prima volta, ad Ankara, dal primo ministro Tayyip Erdogan, al quale hanno espresso il loro sostegno e insieme la richiesta di un riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e delle sue proprietà, al pari di quanto il governo turco sta già deliberando per ebrei, armeni e greci.
In due successive interviste all’agenzia SIR il portavoce della conferenza episcopale turca, monsignor Georges Marovitch, ha sottolineato che “tra i paesi islamici la Turchia ha una secolare esperienza di coabitazione tra le differenti religioni”; “è un ponte tra Occidente e Oriente”; “potrebbe facilitare le relazioni tra islam e cristianesimo”; “in Europa già vivono 15 milioni di musulmani dei quali ben 5 milioni sono turchi”; e “negando l’ingresso alla Turchia si correrebbe il rischio di farla cadere nelle mani degli integralisti e fondamentalisti islamici”.
Favorevoli a una Turchia nell’UE sono anche il patriarcato ortodosso di Costantinopoli e, in genere, le Chiese cristiane di tutte le confessioni riunite nella KEK, la Conferenza delle Chiese Europee. Quest’ultima, in un comunicato diffuso il 6 ottobre, giorno del via libera preliminare ai negoziati dato da Bruxelles, ha però messo in evidenza gli ostacoli che il governo turco dovrebbe eliminare per meritarsi l’ingresso in Europa: dalla tortura nelle prigioni alle oppressioni contro le minoranze.
Tra le grandi Chiese non cattoliche, la più decisa ad opporsi all’ingresso della Turchia nell’Unione è la russa ortodossa. Una nota emessa in luglio dal dipartimento per le relazioni estere del patriarcato di Mosca rimarca che l’80 per cento del territorio turco si trova in Asia e paventa che “un’entrata della Turchia nell’UE porterà inevitabilmente anche gli altri stati che si affacciano sul Mediterraneo a reclamare un’identità europea e ad anelare ad entrare”.
Fin qui le voci istituzionali. Passando in rassegna gli intellettuali cattolici che si sono espressi sul tema, è utile segnalarne tre.
VITTORIO E. PARSI
Il primo è Vittorio E. Parsi, professore di relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano ed editorialista di “Avvenire”. Parsi è decisamente a favore dell’ingresso della Turchia nella UE, naturalmente a condizione che il governo di Ankara compia i passi necessari. E il rilievo dato dal quotidiano della CEI ai suoi editoriali sul tema indica che la sua posizione ha un crescente consenso anche ai vertici della Chiesa.
In un commento pubblicato su “Avvenire” del 22 settembre, Parsi così esordisce:
“L'idea di Europa, o meglio, l'identità dell'Unione Europea è fin dalle origini legata alla questione dei confini. Il progetto di unificazione europea nasce, com'è noto, allo scopo di sanare il più sanguinoso confine della storia europea, cioè il confine franco-tedesco. Per nulla paradossalmente, l'Europa che nasce così intrinsecamente abbarbicata ai suoi confini interni, oggi si ritrova a discutere e a dividersi ancora intorno a un confine, questa volta esterno: dove deve fermarsi la nuova Europa? Quello che siamo e che vogliamo divenire, la nostra identità europea, non è forse anche influenzata dalla decisione di chi ricomprendere dentro il ‘limes’ europeo e di chi escludere? La questione turca è un bell'esempio della relazione problematica tra confini, identità e idea di nuova Europa”.
Quel confine d’Europa che il cardinale Ratzinger circoscrive con decisione, escludendo la Turchia, Parsi lo problematizza. È un confine geografico, storico, culturale, religioso.
PIETRO DE MARCO
E su questo stesso confine ha scritto cose di grande interesse un altro studioso cattolico, Pietro De Marco, esperto di geopolitica religiosa e professore alla Facoltà Teologica di Firenze e dell’Italia Centrale, anch’egli contrarissimo ad amputare la Turchia dall’Europa.
De Marco rivaluta con forza la figura d’Europa antecedente la spaccatura tra Maometto e Carlo Magno: l’Europa che tra il V e il VI secolo si estende “dalle isole britanniche alla penisola arabica, dalla pianura sarmatica alle coste africane, governata da una costellazione di poteri romano-cristiano-germanici, su cui si innesterà l'islam”.
Anche oggi, a parere di De Marco, l’Europa è questa “complexio” estesa a Oriente fino alla Persia e a Nord fino a comprendere la Terza Roma, Mosca, e la Russia:
“È una ‘complexio’ articolata in un'area occidentale cristiana, cristianocentrica, e in un’area islamica in quella che fu già bizantina. Il fulcro imperiale cristiano è dunque ad un tempo la determinazione prima e più complessa dell'Europa e la premessa dell'appartenenza all’Europa della civiltà araba e islamica. Il riconoscimento dell’Europa cristiana diviene la condizione logica del riconoscimento dell'inerenza all’Europa dell'islam”.
De Marco ha argomentato questa sua tesi in un saggio nel volume “I confini del Mediterraneo”, Titivillus Edizioni, che raccoglie gli atti della X International Summer School on Religions in Europe tenuta a San Gimignano nell’agosto del 2003.
MASSIMO INTROVIGNE
Infine, terzo studioso qui richiamato, Massimo Introvigne.
In qualità di direttore del CESNUR, Center for Studies on New Religions, Introvigne ha tenuto a metà settembre una conferenza sulla situazione politico-religiosa in Turchia alla University of Utah di Salt Lake City, che ospita uno dei più noti centri per lo studio del mondo islamico degli Stati Uniti.
Del no del cardinale Ratzinger all’ingresso della Turchia in Europa Introvigne dà una particolare esegesi. Ratzinger, a suo avviso, più che denunciare l’estraneità della Turchia accusa l’Europa di rinnegare la propria identità fondante, cristiana e culturale. Abbandonata la prospettiva del “continente culturale”, resterebbe spazio, dunque, solo al “continente economico e politico”: di esso la Turchia fa già parte e un’Europa senza più identità culturale avrebbe poche ragioni per escluderla, a dispetto dei veti francesi.
Sull’evoluzione in corso in Turchia, Introvigne mette in evidenza il ruolo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, AKP, attualmente al governo con primo ministro Tayyip Erdogan.
L’AKP s’è separato dal fondamentalismo islamico e dai Fratelli Musulmani per approdare a una “democrazia conservatrice” d’impronta islamica moderata. “Quello che succede in Turchia è importante perché per la prima volta in un paese musulmano un partito di origine fondamentalista si sposta verso il centro conservatore, mantiene buoni rapporti con gli Stati Uniti, con l’Europa e con Israele, rafforza le istituzioni democratiche e isola gli estremisti islamici”.
Il tanto invocato islam “moderato” è questo. E può affermarsi solo attraverso la democrazia, sistema moderato per eccellenza. La Turchia è la promessa migliore di una democratizzazione del mondo musulmano, condizione decisiva per sconfiggere l'estremismo jihadista puntato anche sull’Europa.
di Sandro Magister (fonte:
"L'Espresso") 15/10/2004
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