Di Franco Cardini Inutile, non ci si salva più. E' proprio vero che al peggio non c'è fondo. Il Codice da Vinci di Dan Brown arriva sotto l'albero di Natale degli italiani, la maggior parte di loro entra in librerie solo una volta all'anno, quando c'entra, appunto per regalar qualcosa. E che cos'altro, anche per curiosità, se non il best seller dell'anno? Tanto più che nel frattempo sono in arrivo altre bufale. Intanto un'edizione del Codice formato lusso con illustrazioni, ovvio specchietto natalizio per allodole italiote: venghino venghino, e verranno. Poi un altro romanzaccio del Brown, Angeli e demoni, uscito negli Stati Uniti nel 2000 e ora prontamente riciclato sull'onda del successo. Inoltre Mondadori si appresta a far uscire, nel gennaio prossimo, un libro che si presenta come la chiave esegetica del Codice, vale a dire La verità sul Codice da Vinci di Bart Ehrman, che aggiungerà equivoco ad equivoco, falsificazione a falsificazione, confusione a confusione. E poi, ciliegina su questa poco appetibile torta, il Misterissimo ci aspetta in agguato nelle sale cinematografiche, dove l'aspirante esoterista italiota si sciroppa beato Il mistero dei Templari. Ma
andiamo per ordine. Angeli e demoni è un thriller giallo-nero
che ci porta in giro per la Roma barocca: eroi di esso sono gli adepti
della sètta degli "Illuminati", un Ordine massonico che si
riuniva nella Roma del Rinascimento per distruggere la Chiesa cattolica,
considerata la nemica del genere umano. Nella trama entrano un libro di
Galileo custodito nell'Archivio Segreto Vaticano e altri ingredienti
che, intendiamoci, sarebbero del tutto innocui se proposti a un pubblico
abbastanza colto da poterli metabolizzare: e, in questo caso, perché
non divertirsi? In fondo, qui c'è un po' di Giordano Bruno, un po' di
Athanasius Kircher, parecchio Bernini, una spruzzata di Roger Peyrefitte
e un po' di "Roma magica", quella del marchese di Palombar a e
della "Porta magica" di Piazza Vittorio. Un discreto cocktail. E la
cultura gnostica è il ventre sempre fecondo delle eresie cristiane,
della "laicizzazione" moderna, dell'ermetismo con i suoi
Misteri, della ricerca scientifica libera dalle "p astoie"
ecclesiali e del pensiero magico-esoterico. Potevano mai mancare, in tutto ciò, i Templari? Naturalmente no: da quando nel XVIII secolo il cavaliere Ramsay, uno scozzese fedele alla dinastia Stuart esule in Francia, s'inventò una connessione fra l'Ordine religioso soppresso all'inizio del XIV secolo e la massoneria, essi ci perseguitano. Sull'esile base di un'indicazione del poeta duecentesco tedesco Wolfram von Eschenbach, a partire dall'Ottocento si è cominciato a indicare nei poveri frati-cavalieri perseguitati da Filippo IV di Francia anche i detentori del "segreto del Santo Graal", e da allora non ci si è più salvati. Questa paccottiglia fantaculturale, bisogna intenderci, sarebbe divertente e anche non privo d'interesse a ricostruirsi nelle sue vere linee: e ciò è del resto stato già fatto. Vi sono al riguardo intere e serissime biblioteche, inconsultate da chi preferisce correre dietro a Dan Brown. Ma oggi non serve affaticarsi studiando e riflettendo: si legge un libercolo e si diventa immediatamente dei Cavalieri dell'Ignoto. Tutti insieme, esotericamente. Il film Il mistero dei Templari, diretto da Jon Turteltaub e interpretato da Nicolas Cage, ha già sbancato in America e sta sbancando da noi. Qui però c'è la variante americo-massonico-patriottica. Il tesoro dei Templari, sfuggito alla rapacità del re di Francia e del papa, sarebbe finito nelle mani dei Padri fondatori degli Stati Uniti - date un'occhiata, sui biglietti di banca di quel paese, al Great Seal elaborato nel 1935, con Occhio e Piramide: tanto per saper di chi stiamo parlando - e la mappa relativa si troverebbe nientemeno che sul retro della Dichiarazione d'Indipendenza. Alla fine dell'Ottocento, alcuni esoteristi giacobini sostenevano che i Templari erano alla radice della Rivoluzione francese; apprendiamo ora, grazie a questo film, ch'essi sono anche all'origine di quella americana. God bless America. Fonte: "Avvenire", 19 dicembre 2004 |