ROMA – C’è una
parola che sia il papa sia il suo giornale, “L’Osservatore Romano”,
evitano con cura di pronunciare o di scrivere. È la parola “islamico”
applicata al terrorismo di tale matrice. Giovanni Paolo II non l’ha usata
nemmeno nel terzo anniversario dell’11 settembre 2001, parlando a un
gruppo di vescovi degli Stati Uniti.
C’è una tragica linea
ideale che l’11 settembre 2001 parte da New York e il 1° settembre 2004
giunge a Beslan, nell’Ossezia del Nord. È la linea del terrorismo di
matrice islamica, che in tre anni ha seminato la morte in molti punti del
pianeta: 2.823 morti a New York e Washington (11 settembre 2001), 202 morti
a Bali (Indonesia, 12 ottobre 2002), 21 morti a Jerba (Tunisia, 11 aprile
2002), 31 morti in Pakistan (marzo-giugno 2002), 45 morti in Marocco (16
maggio 2003), 52 morti a Riyadh (Arabia Saudita, 12 maggio e 8 novembre
2003), 63 morti in Turchia (15-20 novembre), 175 morti nel teatro Dubrovka e
39 nella metropolitana di Mosca (6 febbraio 2004), 191 morti a Madrid
(Spagna, 11 marzo 2004). La serie si chiude per ora con i 400 morti – tra
cui 156 bambini – della scuola di Beslan (1-3 settembre 2004). In questo
elenco non sono compresi gli innumerevoli attentati che quasi ogni giorno
insanguinano, da una parte, la Palestina e, dall’altra, l’Iraq, le cui
vittime ormai non si contano più. In realtà, il terrorismo islamico non è cambiato nei suoi fini che persegue fin dalla sua nascita ad opera di Osama bin Laden: combattere i giudei e i "crociati" (i cristiani, visti come i nemici da sempre dell’islam); combattere contro il mondo occidentale – in primo luogo gli Stati Uniti – che cerca di dominare i popoli islamici e di derubarli delle loro ricchezze e che, d’altra parte, per il suo ateismo e per la sua corruzione, costituisce un grave pericolo per la fede islamica; vendicare le offese e i danni che il colonialismo occidentale ha arrecato sia alla dignità dei popoli islamici, sia alla loro cultura e al loro sviluppo economico; privare del potere quei governi dei paesi a maggioranza islamica che si sono alleati con l’Occidente e hanno permesso che militari americani calpestassero il suolo sacro di un paese musulmano e se ne servissero come base logistica e militare per combattere contro altri paesi musulmani e depredarli del petrolio, la grande ricchezza che Allah ha dato ai "credenti", negandola agli "infedeli". Se questi fini del terrorismo islamico restano immutabili, sono cambiate almeno in parte le strategie. Anzitutto si sono moltiplicate le sigle, anche allo scopo di confondere gli avversari, i quali non sanno se i gruppi che agiscono sotto nomi nuovi siano formazioni veramente nuove oppure siano formazioni vecchie con nomi nuovi. Così tutte le analisi, che si compiono sui gruppi terroristici allo scopo di individuarli, risultano spesso carenti e servono poco allo scopo che ci si prefigge nel redigerle: quello di conoscere i movimenti dei gruppi terroristici e i legami che stringono tra loro. È poi probabile che i gravi colpi ricevuti in questi anni da al-Qaeda ne abbiano incrinato l’unità della direzione, anche se l’egiziano Ayman al-Zawahiri, autore nel 2001 del pamphlet “Knights under the Prophet’s Banner” (Cavalieri sotto la bandiera del Profeta [Maometto]), ideologo del Jihad islamico e progettista, insieme con Osama bin Laden, dell’attentato dell’11 settembre 2001, parlando recentemente dal video di al-Jazira, ha proferito gravi minacce contro l’Occidente come vice di Osama bin Laden nella direzione di al-Qaeda. Quello che è certo è che al-Qaeda si muove sotto la direzione di capi locali che, mentre intrattengono stretti contatti con il centro direttivo, hanno il vantaggio di conoscere le situazioni locali e quindi di colpire con maggiore precisione ed efficacia. Ad ogni modo, si deve rilevare che né il terrorismo né gli Stati Uniti sono riusciti in questi tre anni a raggiungere i loro scopi. Infatti il terrorismo ha arrecato gravi danni agli Stati Uniti e ai loro interessi economici nel mondo, ma non ne ha scalfito la potenza; soprattutto, non è riuscito a mobilitare le masse musulmane e a prendere il potere in nessuno stato a maggioranza islamica; anzi, ha perduto la roccaforte afghana e ha perduto l’appoggio di molti musulmani residenti in Europa. Da parte loro, gli Stati Uniti non sono riusciti a battere il terrorismo; anzi, con la guerra contro l’Iraq, lo hanno fatto nascere e crescere in un paese – l’Iraq – dove prima della guerra non esisteva. Il mutamento più grave avvenuto nel terrorismo è il superamento del senso, sia pure minimo, di umanità. A Beslan i terroristi – e tra essi c’erano anche donne – hanno preso in ostaggio donne e bambini, li hanno malmenati, se ne sono fatti scudo e poi hanno sparato contro di essi, uccidendone un gran numero. In Iraq i terroristi non solo hanno compiuto sanguinosi attentati contro gli stessi iracheni, ma con estrema ferocia hanno catturato e sgozzato persone innocenti, facendone poi trasmettere dalla compiacente al-Jazira le immagini filmate dello sgozzamento. In tal modo il terrorismo ha voluto mostrare che non si fermerà neppure dinanzi agli atti di più orrenda ferocia, pur di raggiungere i propri obiettivi. Tanto più che si tratta di colpire i nemici di Allah e dei "credenti", che non solo sono "infedeli" e "corrotti", ma bestemmiano contro il Profeta, negano che egli sia l’Inviato di Allah, negano l’unicità di Allah associandogli altre divinità, rigettano la Rivelazione contenuta nel "glorioso Corano", e soprattutto cercano di insidiare la fede dei credenti col loro razionalismo e il loro laicismo e di corromperne i costumi con la loro civiltà atea e materialista. I terroristi di oggi desiderano creare nel mondo spavento e paura e in tal modo indebolire i loro avversari, costringendoli a spendere somme enormi per difendersi dagli attentati, a restringere gli spazi di libertà e di movimento dei loro cittadini, ad essere sempre in ansia e in allarme, sapendo che il terrorismo è oggi internazionale e può colpire in qualsiasi luogo e in ogni momento. Di qui il ricorso che esso fa ai mezzi di comunicazione. Purtroppo i media occidentali, concedendo un grande spazio alle imprese dei terroristi – uno spazio, si noti, tanto più grande quanto più è spaventosa la loro ferocia –, rendono al terrorismo un grande servizio, che mai esso avrebbe potuto sperare di ottenere con i propri mezzi. Un fatto per certi aspetti nuovo nella storia del terrorismo è il legame che esso oggi stabilisce col nazionalismo: in Russia col nazionalismo ceceno e caucasico; in Iraq col nazionalismo iracheno. In tal modo il terrorismo dà alle sue imprese più orribili, come l’eccidio di donne e bambini perpetrato a Beslan, un alone di legittimità e di grandezza che certamente non merita. Le azioni terroristiche, cioè, anche le più orrende e crudeli, ricevono un’apparente legittimazione per il fatto che aiutano un popolo a conquistare la propria indipendenza, e sono azioni ritenute eroiche perché il terrorista sacrifica la propria vita per la liberazione di un popolo dal dominio straniero. Così, per quanto riguarda la tragedia di Beslan, si deve ricordare che essa è stata compiuta da un commando terrorista di 33 persone, organizzato da Shamil Salmanovic Basaiev, un ceceno che da molti anni combatte per l’indipendenza della Cecenia dalla Russia, come egli stesso ha raccontato sul sito internet degli indipendentisti ceceni (kavkazcenter.com), facendo sapere, fra l’altro, che la strage, da lui attribuita all’intervento dei militari russi, è costata 8.000 euro. L’azione era diretta – dice Basaiev – non a uccidere i bambini (la strage sarebbe stata compiuta dalle forze speciali russe per ordine di Putin), ma a ottenere l’indipendenza della Cecenia: "indipendenza in cambio di sicurezza". La stessa cosa è avvenuta in Iraq: terroristi sono giunti da ogni parte per combattere per l’indipendenza dell’Iraq, che è oggi un paese "occupato" militarmente dagli americani, e dalle altre forze della coalizione, e governato politicamente da iracheni "traditori", imposti dall’America e ligi ai suoi interessi in campo petrolifero. Di qui gli attentati terroristici contro i membri del governo provvisorio e contro gli iracheni che vogliono arruolarsi nella polizia o nell’esercito; di qui i rapimenti di persone che appartengono a nazioni che hanno militari in Iraq (ma non solo quelle) e che vengono usate come arma di ricatto per costringere tali nazioni a ritirare le loro truppe di "occupazione". Non conta nulla per i terroristi il fatto che si tratti di persone che sono in Iraq per ragioni di lavoro o per motivi umanitari, com’è il caso di due giovani italiane, Simona Pari e Simona Torretta, che da molto tempo lavoravano a Baghdad nell’organizzazione umanitaria "Un ponte per...", per ripristinare e migliorare l’attività scolastica con il programma Farah (speranza) per l’educazione in Iraq. Quello che conta, per i terroristi, è che sono "italiane", per di più "donne" e dunque possono servire per ricattare il governo italiano e costringerlo a ritirare i militari italiani che "occupano" Nassiriya. Purtroppo i terroristi iracheni sono capaci di compiere atti di orrenda ferocia e di ostentarli in televisione o nei loro siti web, mostrando lo sgozzamento o il taglio della testa delle loro vittime. Questo fatto – tristissimo – non fa presagire nulla di buono per coloro che sono in mano ai rapitori iracheni. Motivo ulteriore di angosciosa preoccupazione è il fatto che i rapitori mantengono un lungo e assoluto silenzio sul destino delle persone rapite, allo scopo evidentemente di accrescere l’angoscia della gente e spingerla a far pressione sui propri governi, perché ritirino i militari dall’Iraq, e di tenere sulla corda i governi interessati. [...] Il link alla rivista dei gesuiti di Roma i cui articoli sono rivisti e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana: > “La Civiltà Cattolica” ”Apocalypse Now” islamica. Un commento
di Pietro De Marco |