Terrorismo islamista:

ciò che in Vaticano pensano per davvero

Quello che il papa e le autorità della Santa Sede non dicono, lo scrive – autorizzata – “La Civiltà Cattolica”. Un editoriale choc su tre anni di guerra all’Occidente e ai “crociati”, in nome dell’islam

ROMA – C’è una parola che sia il papa sia il suo giornale, “L’Osservatore Romano”, evitano con cura di pronunciare o di scrivere. È la parola “islamico” applicata al terrorismo di tale matrice. Giovanni Paolo II non l’ha usata nemmeno nel terzo anniversario dell’11 settembre 2001, parlando a un gruppo di vescovi degli Stati Uniti.

E men che meno “L’Osservatore Romano”. Non passa giorno che non registri “attentati”, “assalti”, “sequestri”, “violenze”, “assassinii” ad opera di musulmani. Ma non c’è una volta che applichi tale qualifica agli autori degli atti terroristici. Un’altro silenzio assordante dell’”Osservatore Romano” è sulla qualità del terrorismo islamista: l’assenza di limiti con cui esso opera, in particolare quando fa strage deliberata di bambini. Le autobombe fatte esplodere a Baghdad lo scorso 30 settembre in mezzo a decine di bambini iracheni in festa per l’inaugurazione di nuove condotte dell’acqua, uccidendone 37, sono state archiviate dal quotidiano ufficiale della Santa Sede sotto la voce: “un’altra giornata di ordinaria violenza”.

C’è una ragione di Realpolitik in questo understatement delle autorità vaticane e del loro giornale: il silenzio sulla matrice islamica dell’offensiva terroristica è il prezzo versato per proteggere da più gravi pericoli i cristiani, e in particolare quelli che vivono nei paesi musulmani. Nello stesso tempo, però, in Vaticano si è consapevoli che l’attuale “quarta guerra mondiale” (parole del cardinale Renato Martino, al solito imprudente) contro l’Occidente, la cristianità, l’ebraismo e i musulmani “apostati” non è prodotta da un terrorismo generico, ma da un terrorismo, per l’appunto, islamista.

Dà prova di questa consapevolezza l’editoriale dell’ultimo numero della rivista dei gesuiti di Roma “La Civiltà Cattolica”. “La Civiltà Cattolica” è una rivista molto speciale. È per statuto al servizio del papa e della Santa Sede. Ogni suo articolo è esaminato dalla segreteria di stato vaticana prima di essere dato alle stampe. Un editoriale della “Civiltà Cattolica”, ha quindi un’alta autorevolezza. Riflette il punto di vista delle massime autorità vaticane e in definitiva del papa. Nello stesso tempo, però, “La Civiltà Cattolica” è anche espressione dei gesuiti che la scrivono. E quindi può dire di più di quanto direbbero in prima persona le singole autorità della Santa Sede.

Ebbene, sul suo ultimo numero, “La Civiltà Cattolica” dedica il suo editoriale di apertura, non firmato, proprio al “terrorismo di matrice islamica”, chiamato così fin dalle primissime righe. Eccone qui di seguito l’intera prima parte, che fa un bilancio degli ultimi tre anni e analizza del terrorismo islamico i fini e le modalità: in particolare il suo “superamento del senso, sia pure minimo, di umanità”. La seconda parte dell’editoriale, qui non riportata, esamina un recente documento contro il terrorismo firmato da 26 personalità musulmane che vivono in Italia: documento apprezzabile ma, secondo la rivista, poco rappresentativo, ininfluente sulla gran parte dei gruppi islamici che controllano le moschee, legati al Fratelli Musulmani.

Tre anni di lotta al terrorismo

Da “La Civiltà Cattolica” n. 3703 del 2 ottobre 2004

C’è una tragica linea ideale che l’11 settembre 2001 parte da New York e il 1° settembre 2004 giunge a Beslan, nell’Ossezia del Nord. È la linea del terrorismo di matrice islamica, che in tre anni ha seminato la morte in molti punti del pianeta: 2.823 morti a New York e Washington (11 settembre 2001), 202 morti a Bali (Indonesia, 12 ottobre 2002), 21 morti a Jerba (Tunisia, 11 aprile 2002), 31 morti in Pakistan (marzo-giugno 2002), 45 morti in Marocco (16 maggio 2003), 52 morti a Riyadh (Arabia Saudita, 12 maggio e 8 novembre 2003), 63 morti in Turchia (15-20 novembre), 175 morti nel teatro Dubrovka e 39 nella metropolitana di Mosca (6 febbraio 2004), 191 morti a Madrid (Spagna, 11 marzo 2004). La serie si chiude per ora con i 400 morti – tra cui 156 bambini – della scuola di Beslan (1-3 settembre 2004). In questo elenco non sono compresi gli innumerevoli attentati che quasi ogni giorno insanguinano, da una parte, la Palestina e, dall’altra, l’Iraq, le cui vittime ormai non si contano più.

Questo per dire che tre anni di lotta al terrorismo islamico hanno conseguito scarsi risultati. Non solo non sono stati catturati i capi di al-Qaeda, ma essi possono fare da al-Jazira – l’emittente televisiva del Qatar, che sta rendendo al terrorismo islamico un grande e prezioso servizio – proclami minacciosi; e, se parecchi terroristi, in genere di livello medio-basso, sono stati uccisi o catturati, un numero probabilmente maggiore ne ha preso il posto. E ciò nonostante due guerre (Afghanistan e Iraq) da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati e una (Cecenia) da parte della Russia; e benché gli Stati Uniti abbiano speso – a quanto si dice – ben 144 miliardi di dollari per combattere il terrorismo.

Così oggi il mondo si trova sotto attacco da parte di un terrorismo che in pochi anni è molto cambiato – purtroppo in peggio – rispetto al passato anche recente.

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In realtà, il terrorismo islamico non è cambiato nei suoi fini che persegue fin dalla sua nascita ad opera di Osama bin Laden: combattere i giudei e i "crociati" (i cristiani, visti come i nemici da sempre dell’islam); combattere contro il mondo occidentale – in primo luogo gli Stati Uniti – che cerca di dominare i popoli islamici e di derubarli delle loro ricchezze e che, d’altra parte, per il suo ateismo e per la sua corruzione, costituisce un grave pericolo per la fede islamica; vendicare le offese e i danni che il colonialismo occidentale ha arrecato sia alla dignità dei popoli islamici, sia alla loro cultura e al loro sviluppo economico; privare del potere quei governi dei paesi a maggioranza islamica che si sono alleati con l’Occidente e hanno permesso che militari americani calpestassero il suolo sacro di un paese musulmano e se ne servissero come base logistica e militare per combattere contro altri paesi musulmani e depredarli del petrolio, la grande ricchezza che Allah ha dato ai "credenti", negandola agli "infedeli".

Se questi fini del terrorismo islamico restano immutabili, sono cambiate almeno in parte le strategie.

Anzitutto si sono moltiplicate le sigle, anche allo scopo di confondere gli avversari, i quali non sanno se i gruppi che agiscono sotto nomi nuovi siano formazioni veramente nuove oppure siano formazioni vecchie con nomi nuovi. Così tutte le analisi, che si compiono sui gruppi terroristici allo scopo di individuarli, risultano spesso carenti e servono poco allo scopo che ci si prefigge nel redigerle: quello di conoscere i movimenti dei gruppi terroristici e i legami che stringono tra loro.

È poi probabile che i gravi colpi ricevuti in questi anni da al-Qaeda ne abbiano incrinato l’unità della direzione, anche se l’egiziano Ayman al-Zawahiri, autore nel 2001 del pamphlet “Knights under the Prophet’s Banner” (Cavalieri sotto la bandiera del Profeta [Maometto]), ideologo del Jihad islamico e progettista, insieme con Osama bin Laden, dell’attentato dell’11 settembre 2001, parlando recentemente dal video di al-Jazira, ha proferito gravi minacce contro l’Occidente come vice di Osama bin Laden nella direzione di al-Qaeda. Quello che è certo è che al-Qaeda si muove sotto la direzione di capi locali che, mentre intrattengono stretti contatti con il centro direttivo, hanno il vantaggio di conoscere le situazioni locali e quindi di colpire con maggiore precisione ed efficacia.

Ad ogni modo, si deve rilevare che né il terrorismo né gli Stati Uniti sono riusciti in questi tre anni a raggiungere i loro scopi.

Infatti il terrorismo ha arrecato gravi danni agli Stati Uniti e ai loro interessi economici nel mondo, ma non ne ha scalfito la potenza; soprattutto, non è riuscito a mobilitare le masse musulmane e a prendere il potere in nessuno stato a maggioranza islamica; anzi, ha perduto la roccaforte afghana e ha perduto l’appoggio di molti musulmani residenti in Europa.

Da parte loro, gli Stati Uniti non sono riusciti a battere il terrorismo; anzi, con la guerra contro l’Iraq, lo hanno fatto nascere e crescere in un paese – l’Iraq – dove prima della guerra non esisteva.

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Il mutamento più grave avvenuto nel terrorismo è il superamento del senso, sia pure minimo, di umanità. A Beslan i terroristi – e tra essi c’erano anche donne – hanno preso in ostaggio donne e bambini, li hanno malmenati, se ne sono fatti scudo e poi hanno sparato contro di essi, uccidendone un gran numero.

In Iraq i terroristi non solo hanno compiuto sanguinosi attentati contro gli stessi iracheni, ma con estrema ferocia hanno catturato e sgozzato persone innocenti, facendone poi trasmettere dalla compiacente al-Jazira le immagini filmate dello sgozzamento. In tal modo il terrorismo ha voluto mostrare che non si fermerà neppure dinanzi agli atti di più orrenda ferocia, pur di raggiungere i propri obiettivi. Tanto più che si tratta di colpire i nemici di Allah e dei "credenti", che non solo sono "infedeli" e "corrotti", ma bestemmiano contro il Profeta, negano che egli sia l’Inviato di Allah, negano l’unicità di Allah associandogli altre divinità, rigettano la Rivelazione contenuta nel "glorioso Corano", e soprattutto cercano di insidiare la fede dei credenti col loro razionalismo e il loro laicismo e di corromperne i costumi con la loro civiltà atea e materialista.

I terroristi di oggi desiderano creare nel mondo spavento e paura e in tal modo indebolire i loro avversari, costringendoli a spendere somme enormi per difendersi dagli attentati, a restringere gli spazi di libertà e di movimento dei loro cittadini, ad essere sempre in ansia e in allarme, sapendo che il terrorismo è oggi internazionale e può colpire in qualsiasi luogo e in ogni momento. Di qui il ricorso che esso fa ai mezzi di comunicazione. Purtroppo i media occidentali, concedendo un grande spazio alle imprese dei terroristi – uno spazio, si noti, tanto più grande quanto più è spaventosa la loro ferocia –, rendono al terrorismo un grande servizio, che mai esso avrebbe potuto sperare di ottenere con i propri mezzi.

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Un fatto per certi aspetti nuovo nella storia del terrorismo è il legame che esso oggi stabilisce col nazionalismo: in Russia col nazionalismo ceceno e caucasico; in Iraq col nazionalismo iracheno.

In tal modo il terrorismo dà alle sue imprese più orribili, come l’eccidio di donne e bambini perpetrato a Beslan, un alone di legittimità e di grandezza che certamente non merita. Le azioni terroristiche, cioè, anche le più orrende e crudeli, ricevono un’apparente legittimazione per il fatto che aiutano un popolo a conquistare la propria indipendenza, e sono azioni ritenute eroiche perché il terrorista sacrifica la propria vita per la liberazione di un popolo dal dominio straniero.

Così, per quanto riguarda la tragedia di Beslan, si deve ricordare che essa è stata compiuta da un commando terrorista di 33 persone, organizzato da Shamil Salmanovic Basaiev, un ceceno che da molti anni combatte per l’indipendenza della Cecenia dalla Russia, come egli stesso ha raccontato sul sito internet degli indipendentisti ceceni (kavkazcenter.com), facendo sapere, fra l’altro, che la strage, da lui attribuita all’intervento dei militari russi, è costata 8.000 euro. L’azione era diretta – dice Basaiev – non a uccidere i bambini (la strage sarebbe stata compiuta dalle forze speciali russe per ordine di Putin), ma a ottenere l’indipendenza della Cecenia: "indipendenza in cambio di sicurezza".

La stessa cosa è avvenuta in Iraq: terroristi sono giunti da ogni parte per combattere per l’indipendenza dell’Iraq, che è oggi un paese "occupato" militarmente dagli americani, e dalle altre forze della coalizione, e governato politicamente da iracheni "traditori", imposti dall’America e ligi ai suoi interessi in campo petrolifero. Di qui gli attentati terroristici contro i membri del governo provvisorio e contro gli iracheni che vogliono arruolarsi nella polizia o nell’esercito; di qui i rapimenti di persone che appartengono a nazioni che hanno militari in Iraq (ma non solo quelle) e che vengono usate come arma di ricatto per costringere tali nazioni a ritirare le loro truppe di "occupazione".

Non conta nulla per i terroristi il fatto che si tratti di persone che sono in Iraq per ragioni di lavoro o per motivi umanitari, com’è il caso di due giovani italiane, Simona Pari e Simona Torretta, che da molto tempo lavoravano a Baghdad nell’organizzazione umanitaria "Un ponte per...", per ripristinare e migliorare l’attività scolastica con il programma Farah (speranza) per l’educazione in Iraq. Quello che conta, per i terroristi, è che sono "italiane", per di più "donne" e dunque possono servire per ricattare il governo italiano e costringerlo a ritirare i militari italiani che "occupano" Nassiriya.

Purtroppo i terroristi iracheni sono capaci di compiere atti di orrenda ferocia e di ostentarli in televisione o nei loro siti web, mostrando lo sgozzamento o il taglio della testa delle loro vittime. Questo fatto – tristissimo – non fa presagire nulla di buono per coloro che sono in mano ai rapitori iracheni. Motivo ulteriore di angosciosa preoccupazione è il fatto che i rapitori mantengono un lungo e assoluto silenzio sul destino delle persone rapite, allo scopo evidentemente di accrescere l’angoscia della gente e spingerla a far pressione sui propri governi, perché ritirino i militari dall’Iraq, e di tenere sulla corda i governi interessati. [...]


Il link alla rivista dei gesuiti di Roma i cui articoli sono rivisti e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana:

> “La Civiltà Cattolica”


”Apocalypse Now” islamica.

Un commento di Pietro De Marco


A commento del “mutamento più grave” avvenuto secondo “La Civiltà Cattolica” nel terrorismo islamico dell’ultima fase – ossia il suo colpire gli operatori umanitari e il suo uccidere i bambini – il professor Pietro De Marco, esperto di geopolitica religiosa e professore alla Facoltà Teologica di Firenze e dell’Italia Centrale, ci ha trasmesso una nota.

In essa egli osserva che se “il terrorismo colpisce un Occidente solidale, fatto di persone vicine alle sofferenze delle popolazioni”, è perché “per gli integralisti islamici tale Occidente non esiste, non deve esistere”. Essi vogliono “dimostrare che c'è un solo Occidente, quello che deve essere combattuto”. Ma oltre a questo, i terroristi vogliono anche “occultare le molte facce dell’Occidente, in Iraq e altrove, e specialmente il legame positivo, anzi necessario (che sfugge allo stesso volontariato pacifista) tra la presenza attiva dell'Occidente armato e quella dell'Occidente solidale e imprenditivo, alla base della costruzione di un paese nuovo”.

Quanto all’uccisione deliberata dei bambini, De Marco richiama una scena del film “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola. Il colonnello Walter Kurtz interpretato da Marlon Brando, eroe di guerra trasformatosi in capo di un sanguinario esercito irregolare contro i Vietcong, rivela un episodio del conflitto del Vietnam che è il perno etico dell'intera azione drammatica:

"Ricordo quand'ero nelle forze speciali. Andammo in un campo a vaccinare dei bambini contro la polio. Lasciato il campo fummo raggiunti da un vecchio in lacrime, cieco. Dopo la nostra partenza erano venuti i Vietcong e avevano tagliato ogni braccio vaccinato. Le piccole braccia erano lì, in un mucchio".

Dice ancora Kurtz: "Mi ricordo che ho pianto come una madre. Poi, improvvisamente, ho capito, come fossi stato colpito da una pallottola di diamante in piena fronte: erano quadri addestrati, non erano dei mostri; che genio, che volontà, e che moralità c'era in quella volontà. Per questo loro erano più forti di noi. Ci servono uomini con senso morale e che, allo stesso tempo, siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere senza discernimento. È il voler giudicare che ci sconfigge".

De Marco osserva: “Il terrorismo sposato dal purismo islamico, non meno che da sue contraffazioni, sembra aver visto ‘Apocalypse Now’ e voler imitare i Vietcong del racconto, per sperimentare due esiti radicali”.

Il primo esito è “quello, appunto, della ‘moralità’ di una lotta che non deve permettere che il nemico sia buono”. Colpendo le organizzazioni umanitarie, il terrorista lo fa “per affermare la propria autorità sul Bene e sul Male: non è ora il momento del Bene, ovvero non vi è Bene ora se non nel male dell'Altro”. Mentre nell’uccidere i bambini “il terrorista afferma una sovranità sopra la morale e le regole culturali ordinarie, poiché non può, quindi non deve, esservi niente di ordinario fino al successo della causa”.

Il secondo esito “conta sulla nostra impossibilità di esercitare una risposta simmetrica, se non individuale e maledetta come quella di Kurtz, a questa ‘superiore moralità’ che sospende ogni moralità. Conta sul rifiuto occidentale cristiano a seguire fino in fondo la via terroristico-etica. La scandalosa ‘mediocritas’ cristiana sopprime piuttosto il terrorista che nasce dal proprio seno, colpisce l'eretico che tenta l'aldilà del Bene e del Male : come in ‘Apocalypse Now’ ove Kurtz sarà abbattuto”. (....)


di Sandro Magister (fonte: "L'Espresso")

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