Nel febbraio del 1601, a Tyburn, presso Londra, due uomini venivano impiccati. Erano un certo Filcock e un tale conosciuto come Barkworth. L’accusa era di tradimento perché sacerdoti. I due, infatti, erano preti cattolici e venivano condannati alla forca quali vittime dell’odio anglicano contro la fede cattolica. Poco prima di morire, padre Filcock ebbe ancora la forza di dire con gioia: «Questo è il giorno fatto dal Signore». Padre Filcock e padre Barkworth erano solo due delle decine di martiri cattolici che sacrificavano l’esistenza da quando Enrico VIII nel 1534 si era staccato dalla Chiesa di Roma e si era autoproclamato capo dell’anglicanesimo: da quell’anno, fino al 1681, i martiri inglesi sono stati più di trecento: cinquanta uccisi sotto Enrico VIII, 189 sotto Elisabetta I e gli altri sotto i loro successori. I primi furono un gruppo di Certosini che il 4 maggio e il 19 giugno 1535 immolarono la loro vita sulle forche del Tyburn per non aver voluto separarsi dalla Chiesa Cattolica. Vittime illustri di Enrico VIII furono il Cardinal Giovanni Fischer e Tommaso Moro, il Gran Cancelliere del regno, che pagarono con il supremo sacrificio di sé il loro rifiuto alla “supremazia” imposta dal re. L’opera di Cranmer Dal 1533, era diventato primo Arcivescovo anglicano di Canterbury, Thomas Cranmer (1489-1556), il quale odiava la Messa come un nemico vivente e negava la dottrina della transustanziazione, della presenza reale di Gesù e l’offerta sacrificale del Salvatore fatta dal sacerdote per la salvezza del mondo. Sotto il regno del giovanissimo re Edoardo VI, Cranmer si mosse in modo subdolo e determinato verso l’eliminazione totale del Santo Sacrificio della Messa, pubblicando nel 1549 il primo Book of common prayer, un testo ambiguo indirizzato a trasformare la Messa nella cena protestante, fatto che sarà evidentissimo con il secondo Book of common prayer nel 1552. La “nuova liturgia”, vera negazione della Santa Messa cattolica, avrebbe dovuto sradicare il cattolicesimo inglese che affondava le sue salde radici nei primi secoli dell’era cristiana. Purtroppo la tristissima operazione era destinata in gran parte al successo. Con l’ascesa al trono di Elisabetta I, nel 1559, con l’Atto di Uniformità, fu proibita la Messa cattolica (detta “la Messa papista!”), e furono imposte agli Inglesi le eresie luterane e calviniste e venne proclamato che il Cattolicesimo era stato solo un coacervo di superstizioni e di invenzioni idolatriche. Con implacabile odio anticattolico,
Elisabetta rese obbligatorio sotto gravissime pene, la partecipazione al
nuovo culto anglicano stabilito da Cranmer. Ciò significava la più
grande disgrazia per i Cattolici: non poter più partecipare al
Sacrificio del Signore e alimentarsi di Lui, vittima immolata al Padre
per la salvezza del mondo. I Vescovi “recusanti”, ancora fedeli a Roma,
furono sostituiti con altri più docili alla regina, mentre sempre più
numerosi sacerdoti e fedeli finirono in carcere, presto destinati al
patibolo. Iniziava così l’era dei martiri d’Inghilterra e il sangue dei
cattolici prese a bagnare il suolo britannico.
I sacerdoti formati in questi
Seminari, nelle Congregazioni e negli Ordini religiosi, in primo luogo
nella giovane Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola,
imbarcandosi per l’Inghilterra, già sapevano che cosa li aspettava, a
volte allo stesso loro approdo e dopo pochi mesi di apostolato
clandestino: il martirio nel modo più atroce. Il Collegio Inglese di
Roma si meritò presto il titolo glorioso di Seminarium Martyrum,
Seminario dei martiri. La strada che portava da Roma a Reims e alla
terra inglese, diventò “la strada del martirio”. Primo martire fra loro, fu padre
Cutberto Mayne, scoperto nel 1577 e impiccato il 30 novembre dello
stesso anno. Impossibile scrivere tutti i nomi santi di costoro:
viaggiavano in tutte le parti del Regno, predicando, confessando,
celebrando la Messa nelle case dei cattolici dove si davano appuntamento
gruppi di fedeli altrettanto eroici. Intanto, Elisabetta I mobilitava spie e sgherri a caccia dei “papisti”, colpevoli di un solo grande delitto: di essere sacerdoti e di offrire il Santo Sacrificio della Messa; oppure, se laici, di rimanere cattolici e di partecipare al medesimo Sacrificio. Tra questi martiri, risplende di singolare grandezza il giovane gesuita Edmond Campion, che poté raccogliere qualche frutto della sua opera e inviare una lettera alla regina, documento conosciuto come “la provocazione di Campion”, in cui smentiva la calunnia rivolta ai preti cattolici di essere traditori dello Stato e affermava la loro missione sacerdotale: «Sappiate che tutti noi Gesuiti abbiamo stretta un’alleanza per portare con gioia quella croce che voi ci imporrete e per non disperare mai della vostra conversione, finché ci sarà solo uno di noi per godere le gioie del vostro Tyburn o per sopportare i tormenti delle vostre torture nelle vostre prigioni». Padre Campion salirà al patibolo il 1° dicembre 1581. In odio alla Messa Anche i fedeli laici che aiutavano i
sacerdoti erano destinati alla morte, come, per citare un solo nome,
capitò a Magherita Cliterow, che pagò con la morte più atroce la sua
ospitalità ai ministri di Dio. Gli editti di persecuzione si
moltiplicarono. Nel 1585, la regina stabilì che qualsiasi uomo nato in
Inghilterra era reo di alto tradimento, se dopo aver ricevuto
l’ordinazione sacerdotale in un altro Paese, rimetteva piede sul suolo
inglese. La pena era di essere impiccato, poi estorto e squartato ancora
vivo. Anche in Irlanda, la persecuzione mirava ad estirpare la fede cattolica, estinguendo in essa la presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia. L’ultima vittima fu l’Arcivescovo Primate d’Irlanda, Mons. Olivier Plumkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681. La maggior parte di questi martiri, sacrificati non solo in odium fidei, ma anche in odium Missæ, sono stati elevati alla gloria degli altari dai Pontefici, da Leone XIII a Giovanni Paolo II. Alla loro epopea, Robert Benson (1871-1914), convertito dall’anglicanesimo e diventato sacerdote cattolico, anche per il sostegno di Papa San Pio X, a cui dedicò la sua stupenda opera Con quale autorità!, in cui scrive commosso:
Un secolo dopo, nel suo aureo libro La Messa strapazzata (1760), Sant’Alfonso Maria de Liguori avrebbe scritto che «abolire la Messa è l’opera dell’anticristo», mentre i martiri inglesi, forse i più eucaristici di tutta la Chiesa, con il loro sangue stanno a testimoniare per noi di oggi, che la Messa dev’essere la nostra vita. La Messa è il perenne Sacrificio di adorazione a Dio e di espiazione dei peccati, è il dono che ci ha lasciato Gesù nostro Redentore, affinché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cf Gv 10,10), e sappiamo giungere, se occorre, sino al martirio, per affrettare un’autentica primavera di santità nella Chiesa e nel mondo d’oggi. Paolo Risso Fonte: rivista
"Maria Ausiliatrice", luglio 2005 |