Mille email per Fogar dopo l’intervista al Corriere del luglio 2004

«Sei un eroe, non devi mollare»


Valanga di messaggi sul sito dell’esploratore paralizzato da 12 anni. 

Appelli, poesie, lettere di solidarietà

MILANO - Coraggio, sei un grande, non mollare, ti tengo la mano, resisti, ce la farai, dicono i primi cento, ma è solo l’inizio di un abbraccio virtuale che scioglie il cuore di Internet, perché sono mille in due giorni le email sul sito di Ambrogio Fogar, poi il computer si ferma, è intasato, ci vuole un tecnico per archiviare la valanga di messaggi arrivati dall’Italia e dal mondo: lui, il navigatore solitario costretto all’immobilità da un incidente nel raid Parigi-Pechino, riesce appena a sorridere ma si capisce che è un po’ meno solo, che nella sua battaglia per sopravvivere ha trovato un esercito di amici che stanno con lui, che credono nella vita, comunque e nonostante. 

Così, dopo l’intervista e il messaggio on line al Corriere («La speranza è il mio cibo quotidiano») Fogar diventa «un esempio», «un eroe moderno», «un riferimento» per tanti, giovani e meno giovani, che cercano di dare un senso all’esistenza. «Scusate — scrive Andrea — ma quest’uomo sta urlando al mondo intero l’importanza di vivere. E io, a 29 anni, ho vissuto esperienze di amici belli, sani, benestanti, simpatici che hanno deciso di farla finita, di suicidarsi... Cavolo, i miei nonni mi parlano di giorni passati nascosti in cunicoli durante la guerra, di parenti presi dal nemico che per non tradire sono stati picchiati o fucilati e cosa posso ribattere io? Che a San Siro ho visto un ragazzo che staccava un seggiolino, o che in discoteca due buttafuori hanno picchiato un ubriaco?». 

Fogar è l’avventura, la speranza e la dignità «in una società che presenta come modello vincente il pessimismo», dice il filosofo Emanuele Severino, «per la cultura dominante l’uomo è quello che è su questa terra, e motivi per aggrapparsi alla vita a volte non ce ne sono. Vedere uno che è stato dilaniato dalla sorte e mostra fede intensa nella vita è un esempio». 

L’esempio che non c’è nelle fiction, scrive Andrea, nelle parentesi vuote delle pause pranzo, aggiunge Stefano, nei palestrati senza cervello che ci offre la tv, precisa Antonella. A volte i messaggi sono poesie, («Continua così, per il sole, per le nuvole, per il sorriso di chi ti vuole bene, per la gioia di vedere una mamma che abbraccia un bambino, per un grazie, perché ogni giorno si può imparare qualcosa», firmato Ilaria), a volte lampi di emozione («Ti mando un raggio di sole che ti sfiori il viso e ti abbagli lo sguardo», tuo Maurizio), ma soprattutto emozioni: «Caro Ambrogio, ho quasi quarant’anni — digita Danielle — e ho fatto le elementari a Milano in via Spiga. Una mattina sei venuto a incontrare noi bambini; ricordo il filmato delle tue avventure e mi commuovo: il tuo viso è rimasto nitido nel mio cuore, portavi la vita, la libertà, l’ignoto. Ero felice. Non oso parlare del tuo dolore oggi, però ti tengo la mano in silenzio...». «Agli occhi dei tanti che hanno scritto Fogar è un eroe per come affronta la sua condizione umana — spiega la grecista Eva Cantarella —. L’uomo delle avventure negli oceani è stato sconfitto dal destino ma ha conservato una grande forza morale. Nel mito classico l’eroe era il vincitore, poi è venuto l’eroe che si sacrifica per la patria, per un’ideale. Ma oggi quali sono gli ideali?». 

Chi scrive parla di cuore, coscienza, coraggio, speranza e fiducia. Lo fa anche un chirurgo di Bolzano, che però ammette: «Da anni mio padre è come lei, bloccato in un letto. Io non ce l’ho fatta, ho perso la fede». Quella di Fogar invece è vista come «granitica», un qualcosa a cui rifarsi nei momenti di difficoltà. «Dio, in un tempo in cui domina la sua morte e le masse vanno allo sbando, è un valore forte che Fogar mostra senza paura», chiosa Severino. 

Quanta voglia di discutere, interrogarsi, dare voce a sentimenti positivi «in un mondo che sembra quello dei replicanti di Blade Runner, tutto finto», scrive Antonio. Fogar non se l’aspettava e forse questa ondata l’ha preso alla sprovvista, dovrà abituarsi anche a gestirla, quando il computer tornerà a funzionare. Intanto ha smosso un piccolo esercito che pensa positivo, che non si ferma alle nostalgie per il «Surprise», il cane Armaduk, i reportage in tv di «Jonathan». «Ti ho ammirato nelle grandi avventure ma oggi ti ammiro di più», è l’elogio ricorrente a quest’uomo che ha scelto di non arrendersi. E che qualcuno, come Simone, fa commuovere: «Ho perso mio padre all’età di 7 anni; non ho un ricordo definito di lui, ma se oggi fosse qui con me, mi piacerebbe che fosse come Fogar, una roccia».

Giangiacomo Schiavi 

gschiavi@rcs.it - Corriere della Sera

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