Nel
profondo e sacro silenzio della preghiera, immerso
totalmente in te, o Uomo della croce, fisso
il mio sguardo, penetrando le tue povere spoglie per contemplarti stanco,
esausto, consumato e corroso dalla sofferenza della tua passione. Ti
vedo, o mio Signore, con
il corpo chino e ripiegato su se stesso, con il capo riverso a terra, con
i capelli sciolti e cadenti: la mano sinistra, appesa ad un chiodo
sull’asse centrale, cede
allo strappo causato dal peso del tuo corpo; la
destra è pendente, priva completamente di energia e di vitalità. Che
scena straziante, o mio Signore e mio Dio! “Tu
il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44, 3) ti
sei ridotto ad un ammasso di brandelli di carne, grondanti sangue. Il
tuo aspetto “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri
sguardi, non
splendore per provare in Lui diletto. Disprezzato
e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come
una davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e
non ne avevano alcuna stima. Eppure
egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri
dolori… Egli
è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre
iniquità- Il
castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui: per
le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 2-4). Sì,
noi siamo guariti dalla piaga della nostra incredulità. Infatti, in te,
autore della vita, privo
di vita, in te l’Onnipotente, impotente, in te l’immortale, mortale, crediamo
che “…abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”
(Col 2, 9). In
te, nelle tue spoglie mortali, contempliamo “…l’irradiazione
della gloria e l’impronta
della sostanza” del Padre (Eb 1, 3). In
te, che “…assumendo la condizione di servo e divenendo simile
agli uomini, apparso
in forma umana hai umiliato te stesso, facendoti obbediente fino alla morte
e alla morte di croce” (Fil
2, 7-8), poggia
la fermezza della nostra fede. Grazie,
Signore, del dono della tua vita per la nostra salvezza! Amen
|