LA LUNGA NOTTE del secolo breve
di
Giovanni Ferrò
  

Der Ernstfall, il «caso serio» della fede cristiana. Così Hans Urs von Balthasar, uno dei massimi teologi del Novecento, ha definito il martirio. Un «caso» tutt’altro che archiviato in meandri dimenticati della storia. Anzi, tornato prepotentemente "attuale" negli ultimi cento anni: forse mai così attuale dai tempi delle grandi persecuzioni dei primi secoli cristiani, quando i martiri finivano a decine a fare da pasto alle belve nel Colosseo o appesi a una croce sulle vie consolari che portavano a Roma. Insomma: il "secolo breve", che ha partorito tragedie immani come la Shoah e l’atomica, è stato costellato anche da una lunga theoria di credenti che hanno dato la vita per fedeltà all’Evangelo. A tal punto da spingere la Chiesa, anzi l’intera oikoumene cristiana, a interrogarsi sul sangue versato dai suoi testimoni e a farne memoria nel culto.


Il martirio di san Lorenzo nei mosaici di Ravenna.

Da 12 anni la Chiesa cattolica celebra, ogni 24 marzo (data dell’omicidio di monsignor Oscar Romero), la Giornata dei missionari martiri, aggiornando periodicamente il lungo elenco degli uomini e delle donne morti – in un modo o nell’altro – "sul campo". Sono i "nuovi martiri". Come spiega bene il recente volume Testimoni dello Spirito, edito dalle Paoline, esiste infatti una "specificità", una "modernità" del martirio, tipica del XX secolo. Afferma il priore di Bose Enzo Bianchi, nella postfazione del libro, che esso «non ha avuto un carattere direttamente religioso, ma si è collocato sul medesimo piano su cui si colloca la fede cristiana: nella storia, nella prassi evangelica. Per certi aspetti i martiri dei nostri giorni si avvicinano maggiormente ai testimoni che a partire dall’XI secolo la Chiesa russa ha chiamato strastoterpcij ("coloro che hanno subìto la passione" a causa di Cristo): vittime di una morte violenta per non aver voluto rinunciare alla prassi dettata loro dall’Evangelo». Dunque, non tanto o non sempre i cristiani dei nostri anni sono stati uccisi per via di un "odio alla fede". Più sovente, invece, per la loro "fedeltà all’uomo", dietro cui il credente intravede, sempre, il volto di Cristo: "martiri della carità", come le suore morte durante l’epidemia di Ebola, in Africa; "martiri della giustizia", come tanti religiosi e catechisti in America latina; "martiri della verità", come monsignor Juan Gerardi, ausiliare di città del Guatemala; "martiri della pace", come il nunzio in Burundi Michael Courtney.


(foto Reuters/A. Demianchuk
).

Il martirio dei nostri anni non è fatto solo di volti noti, spesso anzi è anonimo, nascosto, silenzioso, o magari indistinguibile dalla sofferenza di interi popoli, vittime di guerre e persecuzioni. Inoltre – altra fondamentale caratteristica moderna – il martirio è diventato un "fatto ecumenico": non soltanto perché ha colpito trasversalmente tutte le confessioni cristiane, ma anche perché ha creato una profonda comunione nella sofferenza, abbattendo nel segno della croce ogni scisma e divisione. Secondo Pavel Evdokimov, «il cristianesimo, nella testimonianza splendente dei suoi confessori, martiri e santi, è messianico, rivoluzionario, esplosivo». È di questa potente debolezza, di questa rivoluzionaria mansuetudine che si nutre una vera "nuova evangelizzazione" del mondo contemporaneo.

Giovanni Ferrò

Fonte: "Jesus", aprile 2004

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