Il Kosovo è come una grossa e pericolosa
caldaia. Dentro i confini della provincia — grande soltanto un terzo del
Belgio ma fittamente popolata da due milioni di persone di etnie diverse —
la pressione sta salendo così in fretta che la zona minaccia di saltare in
aria. Gli albanesi, che rappresentano l'88 per cento della popolazione,
vogliono a ogni costo l'indipendenza dalla Serbia. I negoziati che
decideranno lo status definitivo del Kosovo — che è pur sempre una
provincia meridionale della Serbia, trasformata soltanto temporaneamente
in un protettorato internazionale amministrato dalle Nazioni Unite sotto
l'autorità legale dell'United Nations Interim Mission in Kosovo (Umnik) —
dovrebbero tenersi entro novembre. Nel marzo scorso, si è già avuta
un'anteprima minore di quello che potrebbe accadere se la tensione salisse
oltre il livello di guardia. Gruppi di albanesi hanno assalito le enclave
serbe, lasciandosi dietro, dopo quarantatt'ore di disordini, 19 morti e
800 case date alle fiamme. Le persecuzioni contro i cristiani Il terzo motivo di preoccupazione è un "briefing" tenuto al Senato americano nella seconda settimana di agosto. Secondo gli analisti geopolitici — che hanno dato notizia della distruzione di 150 tra chiese, seminari, conventi e residenze di vescovi, e della parallela costruzione di 200 moschee tra il 1999 e il 2004 — l'intervento internazionale per fermare la persecuzione dei fedeli cristiani in Kosovo è un "completo fallimento". Molte delle chiese contenevano affreschi e mosaici bizantini di valore inestimabile, e altre opere d'arte d'ispirazione religiosa risalenti al XIII secolo, ma sono state ridotte in cenere. La provincia kosovara, vale la pena notare, è sempre stata considerata uno dei gioielli dell'eredità cristiana, il "Vaticano della Chiesa Serbo ortodossa" a partire dal XII secolo. Gli incendi e le attuali persecuzioni sono considerati un attacco intenzionale ai simboli della civiltà cristiana europea. 'Grazie a i filmati girati sul posto — dice l'ex ambasciatore americano Thomas Melady, riferendosi all'ultima ondata di violenza nel corso della quale è stato appiccato il fuoco a 34 chiese — sappiamo bene come vanno le cose. La folla muove all'assalto indisturbata, strappa le croci dai tetti e le calpesta, poi distrugge i luoghi sacri". I video mostrano anche la presenza inerte di soldati e di blindati della Kfor. Francesi e tedeschi si sono giustificati dicendo che il loro mandato prevede l'uso della forza soltanto per proteggere persone, non proprietà. Tuttavia, secondo gli osservatori, "i soldati americani e italiani della Kfor rischiano le loro vite non solo per trarre in salvo le persone, ma anche per tutelare i siti". L'ambasciatore Melady riferisce che suore e monaci del monastero di Pec non possono neanche mettere fuori il naso dalla porta senza una scorta militare, perché sono fatti a segno dai cecchini. L'analista della Difesa Frederick Peterson punta il dito contro l'Arabia Saudita. Le nuove moschee, costruite mentre le chiese sono date alle fiamme, sono finanziate dalle nazioni wahabite, dando motivo di temere che lo spettro dell'islamismo radicale stia covando alle porte dell'Europa, in una regione turbolenta dove dominano il traffico di armi e di droga. Per ora, spiega l'analista, le moschee sono ancora vuote, ma è chiara l'intenzione di indottrinare i musulmani locali. *** |