Nagasaki città dell'atomica. E dei
martiri cristiani
Sono 188, di quattro
secoli fa, e saranno beatificati tra un anno. Nella stessa città in
cui nel 1945 furono uccisi in un sol giorno i due terzi dei
cattolici del Giappone. Fu questa una scelta deliberata? |
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ROMA, 30 ottobre 2007 – Nelle memorie del
cardinale Giacomo Biffi da oggi in vendita nelle librerie, c'è un
passaggio con il finale in sospeso, che riguarda il Giappone. È là dove
Biffi ricorda il forte impatto che ebbe su di lui nel 1945 la notizia
delle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti il 6 agosto su Hiroshima
e il 9 agosto su Nagasaki.
Scrive:
"Di Nagasaki avevo già sentito parlare. L’avevo ripetutamente incontrata
nel 'Manuale di storia delle missioni cattoliche' di Giuseppe Schmidlin,
tre volumi pubblicati a Milano nel 1929. A Nagasaki fin dal secolo XVI era
sorta la prima consistente comunità cattolica del Giappone. A Nagasaki il
5 febbraio 1597 avevano dato la vita per Cristo trentasei martiri (sei
missionari francescani, tre gesuiti giapponesi, ventisette laici),
canonizzati da Pio IX nel 1862. Quando riprende la persecuzione nel 1637
vengono uccisi addirittura trentacinquemila cristiani. Poi la giovane
comunità vive, per così dire, nelle catacombe, separata dal resto della
cattolicità e senza sacerdoti; ma non si estingue. Nel 1865 il padre
Petitjean scopre questa 'Chiesa clandestina', che si fa da lui riconoscere
dopo essersi accertata che egli è celibe, che è devoto di Maria e
obbedisce al papa di Roma; e così la vita sacramentale può riprendere
regolarmente. Nel 1889 è proclamata in Giappone la piena libertà
religiosa, e tutto rifiorisce. Il 15 giugno 1891 viene eretta
canonicamente la diocesi di Nagasaki, che nel 1927 accoglie come pastore
monsignor Hayasaka, che è il primo vescovo giapponese ed è consacrato
personalmente da Pio XI. Dallo Schmidlin veniamo a sapere che nel 1929 di
94.096 cattolici nipponici ben 63.698 sono di Nagasaki".
Premesso questo, il cardinale Biffi conclude con una domanda inquietante:
"Possiamo ben supporre che le bombe atomiche non siano state buttate a
casaccio. La domanda è quindi inevitabile: come mai per la seconda
ecatombe è stata scelta, tra tutte, proprio la città del Giappone dove il
cattolicesimo, oltre ad avere la storia più gloriosa, era anche più
diffuso e affermato?".
* * *
In effetti, tra le vittime della bomba
atomica su Nagasaki scomparvero in un sol giorno i due terzi della piccola
ma vivace comunità cattolica giapponese. Una comunità quasi azzerata con
la violenza per due volte in tre secoli.
Nel 1945 lo fu per un atto di guerra misteriosamente concentratosi su di
essa. Tre secoli prima per una terribile persecuzione molto simile a
quella dell'impero romano contro i primi cristiani, con epicentro sempre
Nagasaki e la sua "collina dei martiri".
Eppure, da entrambe queste tragedie la comunità cattolica giapponese ha
saputo risorgere. Dopo la persecuzione del Seicento, dei cristiani
mantennero viva la fede trasmettendola dai genitori ai figli per due
secoli, pur privi di vescovi, preti e sacramenti. Si racconta che il
venerdì santo del 1865 ben diecimila di questi "kakure kirisitan",
cristiani nascosti, sbucarono dai villaggi e si presentarono a Nagasaki
agli stupiti missionari che avevano da poco riavuto accesso in Giappone.
E anche dopo la seconda ecatombe di Nagasaki, quella del 1945, la Chiesa
cattolica è rinata, in Giappone. Gli ultimi dati ufficiali, del 2004,
stimano in poco più di mezzo milione i giapponesi di fede cattolica. Pochi
in rapporto a una popolazione di 126 milioni. Ma rispettati e influenti,
anche grazie a una fitta rete di loro scuole e università.
Inoltre, se ai giapponesi di nascita si sommano gli immigrati da altri
paesi dell'Asia, il numero dei cattolici raddoppia. Un rapporto del 2005
della commissione per i migranti della conferenza episcopale calcola che
il totale dei cattolici abbia di recente superato il milione, per la prima
volta nella storia del Giappone.
* * *
Su questo sfondo prende una luce nuova un
decreto autorizzato il 1 giugno 2007 da Benedetto XVI: la beatificazione
di 188 martiri del Giappone, che si aggiungono ai 42 santi e ai 395 beati
– tutti martiri – già elevati agli altari dai precedenti papi. La
beatificazione – la prima mai tenuta in Giappone – sarà celebrata il 24
novembre del 2008 proprio a Nagasaki dal prefetto della congregazione
delle cause dei santi, cardinale José Saraiva Martins, come inviato
speciale di Benedetto XVI. I 188 martiri giapponesi che saranno
beatificati l'anno prossimo sono classificati nelle carte del processo
canonico come “padre Kibe e i suoi 187 compagni”. Sono stati uccisi a
causa della loro fede tra il 1603 e il 1639.
Pietro Kibe Kasui nacque nel 1587, nell'anno in cui il maresciallo della
corona a Nagasaki, lo shogun Hideyoshi, emise un editto che ingiungeva ai
missionari stranieri di lasciare il paese. Dieci anni dopo cominciarono le
persecuzioni. A quell'epoca in Giappone si contavano circa 300 mila
cattolici, evangelizzati prima dai gesuiti, con san Francesco Saverio, e
poi anche dai francescani. Nel febbraio 1614 un altro editto impose la
chiusura delle chiese cattoliche e il confinamento a Nagasaki di tutti i
sacerdoti rimasti, stranieri e locali.
Nel novembre dello stesso anno i sacerdoti e i laici che guidavano le
comunità furono costretti ad andare in esilio. Kibe riparò prima a Macao e
poi a Roma. Fu ordinato sacerdote il 15 novembre 1620 e, dopo aver
completato il noviziato a Lisbona, pronunciò i primi voti da gesuita il 6
giugno 1622. Tornato in Giappone fra i cattolici sottoposti a crudele
persecuzione, nel 1639 fu catturato a Sendai assieme ad altri due
sacerdoti. Torturato per dieci giorni di fila, rifiutò di abiurare. E fu
martirizzato a Edo, l'attuale Tokyo. Uno dei suoi 187 compagni di
martirio, per la maggior parte laici, fu Michele Kusurya, detto il "buon
samaritano di Nagasaki". Salì la "collina dei martiri", poco fuori la
città, cantando dei salmi. Morì, come molti, legato al palo e bruciato a
fuoco lento.
Un altro dei prossimi beati fu Nicola Keian Fukunaga. Morì gettato in
fondo a un pozzo di fango, dove fino all'ultimo pregò a voce alta,
chiedendo perdono "per non aver portato Cristo a tutti i giapponesi, a
cominciare dallo shogun".
Altri martiri furono uccisi inchiodati su croci o tagliati a pezzi, con
inaudite crudeltà che non risparmiavano donne e bambini. Oltre che dalle
uccisioni, la comunità cattolica fu falcidiata dalle apostasie di quelli
che abiuravano per paura. Eppure non fu annientata. Una parte si celò
nella clandestinità e conservò la fede fino all'arrivo, due secoli dopo,
di un regime più libero. Lo scorso settembre la diocesi di Takamatsu ha
dedicato un simposio a un altro ancora dei 188 martiri che saranno
beatificati nel 2008, il gesuita Diego Ryosetsu Yuki, discendente di una
famiglia di shogun.
Uno dei relatori, il professor Shinzo Kawamura della Università Sophia dei
gesuiti di Tokyo, ha mostrato che la forza indomita con cui tanti
cattolici di quell'epoca resistettero alle torture e affrontarono il
martirio proveniva anche dallo spirito comunitario con cui essi si
sostenevano a vicenda, nella fede. In parte avevano preso come modello le
comunità buddiste di Jodo Shinshu, della Terra Pura. "Furono le kumi, le
comunità dei kirisitan, dei cristiani, il terreno sul quale fiorirono i
188 martiri.
La Chiesa di quell'epoca in Giappone era
una vera Chiesa di popolo".
di Sandro Magister - 17
novembre 2007
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