I
montagnard rappresentano una quarantina di differenti gruppi aborigeni,
appartenenti ai ceppi linguistici mongolo-tibetano e malese-polinesiano.
La maggioranza vive nel Vietnam centrale; numerosi sono in Cambogia, molto
meno in Laos. I due gruppi principali sono i bahnar (circa 400 persone) e
i jarai (300 mila), seguono i rhade, koho, sedang, bru, pacoh, katu, jeh,
cua, halang, hre, rongao, monom, roglai, cru, mnong, lat, sre, nop, maa,
stieng... I montagnard non sono sempre stati sulle montagne. Più di 2 mila anni fa,
occupavano gran parte del sud dell’Indocina, da Hué a punta Ca Mau. Sui
monti furono spinti progressivamente dall’espansione di popolazioni più
forti e numerose: dal sud i cham, di origine hindu, dal nord i vietnamiti,
di origine cinese. I francesi fissarono i confini tra la colonia vietnamita e i due regni di Cambogia e Laos, sotto il proprio protettorato, frenando così l’espansione dei vietnamiti. Nel 1895 entrarono anche nel territorio dei montagnard, ma riconobbero loro il diritto sulle terre che occupavano e coltivavano. Nei negoziati del 1946, fu ratificato il diritto di essere nazione, chiamata Pays montagnards du Sud Indochinois (paese dei Montagnard dell’Indocina del sud). Nella prima guerra indocinese tra francesi e indipendentisti (1946-54), i montagnard furono presi tra i due fuochi e, con la fine del colonialismo, videro i vietnamiti prendere il controllo del loro territorio, si sentirono chiamare moi (selvaggi) e subirono lo stesso trattamento avuto dagli indiani in America o dagli aborigeni in Australia: massacri, sfruttamento delle risorse, privazione di ogni diritto. In quegli anni la popolazione dei montagnard contava 3 milioni di persone. Se avesse avuto la possibilità di crescere con lo stesso tasso di incremento del resto del paese, oggi sarebbe più che raddoppiata. I superstiti sono tra i 700 e gli 800 mila. La resistenza Finita la prima guerra indocinese i montagnard non volevano stare con il Vietnam del nord e neppure con quello del sud. Nel 1957 nacque il movimento Bajaraka, che chiedeva pacificamente l’autonomia del loro territorio. Il governo sud-vietnamita, però, represse brutalmente il movimento e imprigionò i loro leaders. Durante la seconda guerra di Indocina (1963-1975), i montagnard si dimostrarono fortemente anticomunisti e si schierarono con i governi sostenuti dagli statunitensi. E quando gli americani entrarono in guerra, 40 mila montagnard si arruolarono dalla loro parte, nella speranza di vedere riconosciute le richieste di autonomia politica, sociale e culturale. Il territorio diventò un sicuro rifugio per l’esercito vietnamita e i
montagnard si trovarono di nuovo tra due fuochi: l’85% dei loro villaggi
furono rasi al suolo da bombardamenti e rappresaglie d’ambo le parti.
Nel 1969, tra le popolazioni cristiane delle montagne nacque un altro
movimento: il Fronte unificato di lotta delle razze oppresse (Fulro). Tale
movimento rappresentava politicamente le minoranze etniche presso il
governo di Saigon e faceva parte di quella «terza forza», che manifestava
per la pace e non voleva né il governo militare filoamericano né un regime
comunista come nel Vietnam del nord.
La vittoria dei comunisti spazzò via tutte le formazioni pacifiche e
democratiche: il Fulro, insediatosi in Cambogia, continuò la resistenza
militare fino al 1992, quando gli ultimi 400 membri furono consegnati alle
Nazioni Unite.
Oggi 800 montagnard, rifugiati negli Usa, continuano a tener desta la
speranza di libertà di quelle centinaia di migliaia di connazionali
sopravvissuti ai genocidi e che non hanno mai accettato di sottostare al
giogo del regime comunista, nonostante le decisioni prese dalla comunità
internazionale. A Kontum, nel cimitero dell’istituto delle Missioni estere di Parigi, si
possono contare più di 200 tombe di missionari e suore francesi che hanno
dato la vita per gli indigeni. I missionari cattolici e protestanti,
infatti, sono stati quasi gli unici, con alcuni funzionari dell’epoca
coloniale, a interessarsi di loro, aprendo scuole e ospedali, istituti
tecnici e professionali. Sta il fatto che, con l’impiego di migliaia di poliziotti e soldati, i
manifestanti furono dispersi; alcuni rimasero uccisi e, nelle settimane
seguenti, centinaia di leader politici e religiosi furono arrestati e poi
condannati a pene comprese fra i 3 e 12 anni di prigione.
L’organizzazione Human Right Watch (Hrw) ha documentato gravissime
violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione dei montagnard:
arresti, detenzione e interrogatori arbitrari, torture della polizia e,
più in generale, ripetute violazioni dei diritti alla libertà religiosa,
restrizioni sui viaggi; rimpatri forzosi di coloro che avevano cercato di
fuggire nella vicina Cambogia. Sempre secondo Hrw un centinaio di persone
sono ancora detenute a causa di quella manifestazione. Più spietata fu la repressione della vigilia di pasqua, 10 aprile 2004. Oltre 130 mila cristiani, provenienti dai più sperduti villaggi, avevano raggiunto Buon Ma Thuot, capoluogo provinciale degli altipiani, per pregare e protestare pacificamente davanti agli edifici del partito comunista vietnamita contro la repressione religiosa e la confisca delle loro terre. Lo slogan era: «Felice giorno, Cristo è risorto!». Le forze governative impedirono il raduno con le armi, causando centinaia di feriti e 10 morti (2 secondo il governo). La «pasqua di sangue» fu seguita dalla «caccia al cristiano», facendo salire a 400 il numero dei morti. L’incertezza delle cifre è dovuto al fatto che il governo ha chiuso l’area
a tutti gli stranieri e giornalisti. Ma le notizie trapelano attraverso i
fuggiaschi che riescono a raggiungere Phnom Penh, in Cambogia, dove
esiste un rifugio per loro, sotto la protezione delle Nazioni Unite.
Centinaia di manifestanti sono stati arrestati, processati e condannati a
vari anni di prigione a seconda delle accuse: turbativa dell’ordine
pubblico, resistenza alla polizia, incitamento alla protesta,
favoreggiamento della fuga oltre confine, attentato alla sicurezza e unità
nazionale... I processi sono ancora in corso; l’ultimo di cui si ha
notizia ha avuto luogo nel gennaio scorso. Nonostante l’allontanamento di preti, pastori e missionari, i montagnard continuano a tenere viva la loro fede grazie all’attività dei laici; seguono la preghiera liturgica ascoltando Radio Veritas, che ritrasmette da Manila i programmi della redazione vietnamita della Radio vaticana. In vari villaggi hanno ricostruito chiese di legno al posto di quelle distrutte dalla furia comunista. Ma, più delle atrocità di cui sono vittime, i montagnard paventano il silenzio che regna sulla loro sorte. Non è solo il regime a nascondere i propri misfatti; ma anche l’opinione pubblica internazionale resta insensibile alle loro sofferenze. I paesi occidentali continuano a firmare accordi di cooperazione con il Vietnam, che includono solenni clausole sul rispetto dei diritti umani; dopo di che le clausole vengono ignorate e i finanziamenti arrivano regolari a foraggiare la tirannia. C’è di più: i cristiani montagnard si sentono dimenticati anche dai loro fratelli di fede. Articolo di Benedetto
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