Anche le suore di madre Teresa in ostaggio di induisti fanatici

Le leggi anti-conversione volute dai partiti nazionalisti alimentano le violenze contro i cristiani. La protesta del papa e del cardinale indiano Ivan Dias, nuovo prefetto “de Propaganda Fide”

di Sandro Magister

ROMA, 7 luglio 2006 – L'ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo edito dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre, presentato il 27 giugno, indica nell’India uno dei paesi nei quali “l’attività missionaria cristiana è oggetto di violenza sistematica che giunge fino all’omicidio, come nel caso del sacerdote cattolico don Agnos Bara e del pastore protestante Gilbert Raj”. E denuncia le “sempre più numerose leggi anti-conversione adottate in vari stati indiani”.

Benedetto XVI ne è del tutto consapevole. E vuole che il mondo lo sappia. Ricevendo, lo scorso 18 maggio, il nuovo ambasciatore indiano presso la Santa Sede, Amitava Tripathi, ha richiamato proprio su questo l’attenzione del governo da lui rappresentato.

Ha detto:

“I preoccupanti segni di intolleranza religiosa che si registrano in alcuni stati indiani, fra cui il tentativo riprovevole di legiferare in favore di limitazioni chiaramente discriminatorie sul diritto fondamentale alla libertà religiosa, devono essere rigettati fermamente, non solo perché incostituzionali, ma anche perchè contrari ai più alti ideali dei padri fondatori dell'India, che hanno creduto in una nazione caratterizzata dalla coesistenza pacifica e dalla tolleranza reciproca fra le religioni differenti ed i gruppi etnici”.

La protesta del papa ha suscitato in India immediate reazioni. Il ministero degli esteri ha comunicato “il proprio dispiacere” alla nunziatura vaticana a Delhi. Ma a reagire con asprezza sono stati soprattutto i partiti e le organizzazioni d’impronta nazionalista e induista, a cominciare dal Bharatiya Janata Party che è stato al governo centrale fino al 2004 e che domina le amministrazioni di vari stati. In alcune città sono state organizzate manifestazioni e sono stati bruciati ritratti di Benedetto XVI.

In sette stati dell’India, tra cui il Gujarat, l’Orissa e il Madhya Pradesh, il BJP e i suoi alleati hanno introdotto negli ultimi anni varie leggi che puniscono il “proselitismo”. In un comizio dell’11 aprile scorso Rajnath Singh, presidente del BJP, ha sollecitato tutti gli stati in cui il suo partito è al potere di “varare leggi anti-conversione, per distruggere il disegno dei missionari cristiani”.

In difesa di quanto detto da Benedetto XVI all’ambasciatore è intervenuto con una nota, il 23 maggio, l’arcivescovo di Bombay, Ivan Dias: il cardinale indiano in procinto di trasferirsi a Roma come nuovo capo della congregazione vaticana “de Propaganda Fide” per l’evangelizzazione dei popoli.

Nella nota, Dias ha rivendicato che “la conversione da un credo religioso ad un altro è una questione strettamente personale fra Dio e l’individuo in questione”. E quindi “ogni opposizione ad una conversione genuina, oltre ad essere una grave violazione dei diritti umani e dello spirito della costituzione indiana, è soprattutto un’interferenza ingiustificata nella competenza unica che Dio ha riguardo questa materia”.

Le conversioni “indotte con la forza, la frode o le lusinghe” – ha proseguito il cardinale – non fanno parte della missione della Chiesa. Anzi, “la Chiesa cattolica considera le conversioni di questo tipo invalide”. Quelli che attaccano la Chiesa dovrebbero fornire le prove delle loro accuse, ma non ci sono riusciti e non riusciranno. Piuttosto, perché non ricordano che molti di loro, “inclusi noti giudici e medici, leader politici e religiosi”, pur non essendo cristiani, hanno studiato in scuole cattoliche e vogliono che lì vengano educati i loro figli, senza temere che vengano convertiti a forza?

Le cifre richiamate da Dias a questo proposito sono impressionanti:

“I cristiani in India rappresentano solo il 2,3 per cento della popolazione totale: di questi, l’1,8 per cento fa parte della Chiesa cattolica. Ma nonostante siano una piccola minoranza, i cristiani curano il 20 per cento dell’educazione primaria di tutto il paese, il 10 per cento dei programmi di alfabetizzazione e di sanità pubblica, il 25 per cento della cura degli orfani e delle vedove e il 30 per cento della cura di disabili, lebbrosi e malati di AIDS. La stragrande maggioranza di coloro che usufruiscono di queste istituzioni sono fedeli di altre religioni”.

Oltre che dal cardinale Dias, analoghe proteste sono venute dall’All India Catholic Union e dal portavoce della conferenza episcopale, Babu Joseph.

Nel Tamil Nadu, il nuovo governo di coalizione ha annunciato di voler abolire la legge anti-conversione introdotta dal precedente governo. E nel Rajastan il governatore ha respinto come anticostituzionale una legge di questo tipo votata dal parlamento.

Ma atti di violenza contro cristiani accusati di far proselitismo sono proseguiti in varie regioni dell’India.

Il 28 maggio, nello stato del Madhya Pradesh, nel villaggio di Nadia, un gruppo di induisti fanatici ha aggredito e sequestrato per un giorno intero cinque cristiani, due donne e tre uomini. Essendosi tutti rifiutati di rinnegare la loro fede, le donne sono state violentate, mentre gli uomini sono stati feriti con armi da fuoco. Il giorno seguente, leader locali del BJP hanno presentato denuncia contro “conversioni di massa al cristianesimo” ad opera di missionari cristiani. I cinque aggrediti erano citati come “prova” del crimine. Alcuni giorni dopo, attivisti indù hanno fatto irruzione e hanno interrotto una conferenza stampa organizzata dalla Madhya Pradesh Christian Association per denunciare l’aggressione, presenti anche le due donne violentate.

Le “riconversioni” all’induismo, viceversa, sono incoraggiate e talora organizzate collettivamente col sostegno delle autorità. Il 23 giugno il Vishwa Hindu Parishad, una delle più attive e diffuse associazioni induiste, ha celebrato nello stato dell’Orissa, a Sarat, il passaggio all’induismo di oltre 600 tribali in precedenza cristiani. Il vescovo di Sambalpur, Lucas Kerketta, ha commentato: “In Orissa la legge anti-conversione vale solo per le conversioni al cristianesimo, ma quando si tratta di passare all’induismo la polizia viene alle cerimonie e si fa spettatrice silente diventando complice dell’estremismo indù”.

Ma l’atto anticristiano che ha fatto più scalpore è stato, il 25 giugno, l’aggressione contro quattro suore di madre Teresa di Calcutta, in un ospedale della città-santuario indù di Tirupati, nell’Andra Pradesh, uno stato dove non è in vigore alcune legge anti-conversione.

Le quattro suore Missionarie della Carità – Maria Julia, Chriselda, Emma Felesia e Reena Francis – si erano recate nell’ospedale ad assistere i malati, come ogni domenica da anni, con il permesso delle autorità. Circondate da una folla di circa 300 persone con cronisti e teleoperatori al seguito e accusate di convertire a forza i moribondi, sono rimaste in ostaggio fino all’arrivo della polizia, che le ha poste in stato di arresto.

A liberarle è stato, a tarda sera, il primo ministro dello stato, sollecitato dall’arcivescovo di Hyderabad, Marampudi Joji. L’indomani, l’arcivescovo ha tenuto una conferenza stampa assieme a rappresentanti non cattolici della Federazione Cristiana dell’Andra Pradesh. Le suore sono state autorizzate a riprendere il loro apostolato ed è stata aperta un’inchiesta giudiziaria sugli organizzatori dell’attacco. I fondamentalisti indù, ha detto l’arcivescovo, “agitano lo spauracchio delle conversioni per screditare il primo ministro, che è cristiano, e far cadere il suo governo”.

L'aggressione alle Missionarie della Carità non ha precedenti, in India. La loro fondatrice, madre Teresa di Calcutta, è rispettata in India come un’istituzione patria, universalmente onorata al di là di ogni appartenenza religiosa. Ciò che è accaduto il 25 giugno contro le sue quattro suore segna l’oltrepassamento di una soglia critica. Per l’11 luglio organizzazioni induiste hanno programmato nella capitale, Delhi, una manifestazione finalizzata proprio a “far crescere nella popolazione indiana la consapevolezza del pericolo cristiano”.

In ogni caso, alle violenze contro i cristiani la Chiesa non intende rispondere mettendo la sordina alla sua spinta evangelizzatrice. Questo, almeno, è il pensiero di un'autorità come il cardinale Dias. In una sua seconda nota di commento alle parole rivolte da Benedetto XVI all'ambasciatore indiano, il nuovo prefetto "de Propaganda Fide" ha così congiunto evangelizzazione cristiana e dialogo con l'induismo:

"Le osservazioni del papa sulla libertà religiosa in India sono ancora più rilevanti se uno considera il profondo insegnamento insito nell’anima indiana espresso nel Brihadaranyaka Upanishad: 'Dalla menzogna guidami alla verità, dalle tenebra alla luce, dalla morte all’immortalità'.

"Nell’apprezzare con sincerità i 'semi di verità' alla base di tutte le tradizioni religiose e che aspettano la loro piena maturità, i cristiani credono che solo Gesù Cristo possa soddisfare in pieno la richiesta di ogni cuore umano di andare ‘dalla menzogna alla verità', perché solo in Lui vi è verità; 'dalle tenebre alla luce' perché solo Lui è la via e la luce del mondo; 'dalla morte all’immortalità' perché solo in Lui abbonda la vera vita.

"Infatti, alla domanda posta dall’apostolo Tommaso durante l’ultima cena, Gesù dice ai suoi discepoli: 'Io sono la via, la verità e la vita' (Giovanni, 14, 6). Ed è stato proprio Tommaso che, nella provvidenza di Dio, ha poi portato la buona novella di Cristo al sub-continente indiano".

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