Nella parte meridionale del monte Priora, troviamo un'altra vallata, non meno importante; anzi, direi ancora più suggestiva per la varietà del paesaggio e per l'incanto della natura. Tutto è di una superba bellezza: le sue orride gole, le sue folte e secolari faggete, i suoi vastissimi pascoli ricchi di erbe varie e profumate. Partendo da Rubbiano e seguendo una strada facilmente percorribile, si profilano dinanzi al nostro sguardo i maestosi gruppi dei monti Priora e Sibilla, con la loro corte di alte cime che si perdono all'orizzonte. Durante i mesi invernali spesso le vediamo avvolte da un grande manto di neve o di nebbia. Il leggero mormorio del fiume Tenna che ci accompagna in un continuo crescendo man mano che procediamo, l'aria pura balsamica che ci permette di respirare a pieni polmoni, ci danno quasi la sensazione di essere in un mondo irreale. Ai margini della strada, una fontana sembra che ci inviti a soffermarci per offrirci i suoi grandi tesori di bontà e di freschezza. Saremo presi dalla voglia di farne una buona provvista se la prudenza non ci invitasse a moderare gli stimoli della sete e a proseguire nel nostro cammino fino a raggiungere una larga spianata. La chiamano "Valleria". Trasformando la V in B si ottiene "Balleria", il luogo cioè - come raccontano i vecchi - dove le fate dopo aver lasciato durante la notte la grotta della Sibilla si recavano a ballare. "Una sera - raccontava un vecchio montanaro - le fate, di cui la Sibilla era Regina, chiesero il permesso di andare al ballo notturno che si teneva all'Infernaccio. Andate pure - disse la Sibilla - ma ricordatevi di entrare dentro la grotta prima dell'alba: guai se vi coglie per istrada il primo raggio di sole. Mossero liete le fanciulle alla danza, e tanto fu il divertimento, che tutte le ore della notte passarono senza che se ne accorgessero; ad un tratto all'orizzonte si accesero le prime luci dell'alba. Sorprese e sbigottite, colte dall'ansia, si affrettarono in folle corsa verso la grotta, lasciando sul dorso montuoso una striscia più chiara che ancora oggi ben si distingue. La gente l'addita come il cammino delle fate". Oltre alla leggenda a cui è legato, questo luogo bisognerebbe riallacciarlo alla storia dei monaci di S.Leonardo che lasciavano il monastero e scendevano a disboscare e strappare a queste terre il necessario al loro sostentamento. Oggi è diventato soltanto un luogo di campeggi e di parcheggi per macchine.
Ma lo spettacolo si accresce ancora di più quando in prossimità del fiume, vediamo scaturire dalla roccia che si erge a strapiombo tante piccole sorgenti di acqua che, sgorgano dalla parete e, cadendo formano una lunga serie di docce. sembra che qui la natura abbia voluto prepararci, dopo il lungo tratto di strada, questo conforto per poter ritemprare il corpo. Le chiamano le "Pisciarelle". Il curioso nome è dovuto senz'altro alle numerose sorgenti che sgorgano dalla rupe sporgente, con la caratteristica sinfonia di una pioggia torrenziale che assume mille toni, sempre nuovi motivi ad ogni mutar del vento. Il mormorio del fiume che scorre tra sassi e piccole cascate, le accompagna come in sottofondo, creando una composizione musicale da suscitare invidia a qualche artista. Oggi la gente è troppo disattenta, e troppo distratta; abituata ormai al chiasso assordante, al rumore, agli strilli di tanti cantanti, non riesce più a percepire e a gustare certe meraviglie che la natura, sempre sapiente e generosa, ci offre. Non riusciamo più a comprenderne il linguaggio. Ci sfugge facilmente. Attraverso un ponte rudimentale (quando ce lo troviamo) raggiungiamo la sponda opposta del fiume Tenna e affrontiamo subito una strada mulattiera abbastanza dura e sdrucciolevole che, mano a mano che si avanza, si stringe sempre più tra due pareti di rocce. E' la gola dell'Infernaccio. Si tratta della gola più spettacolare dei Sibillini, incisa fra due strette pareti di calcare, in un ambiente che denota ogni possibile esempio di erosione apertosi in seguito a processi erosivi. E' una delle meraviglie, forse unica al mondo, in cui vediamo fondersi insieme, in una perfetta ed armoniosa fusione, l'orrido ed il bello, la paura ed il fascino. Le due pareti che si stringono sempre più fino quasi a toccarsi; la luce che a stento penetra dall'alto; il rumore sempre più cupo delle acque che sbucano come da meandri misteriosi, il gracidio delle numerose cornacchie che volteggiano sopra il nostro capo, creano in noi un'atmosfera che "al solo pensier rinnova la paura". Si ha l'impressione di trovarci in una delle bolge dell'Inferno dantesco. Mino Damato, giornalista e presentatore, che tutti abbiamo potuto conoscere attraverso la televisione, in una sua visita a S.Leonardo, paragonando l'Infernaccio all'Inferno dantesco; il Purgatorio al faticoso sentiero che porta fino al pianoro antistante la chiesa e il Paradiso al luogo raggiunto... "La luce e le tenebre, la speranza e la disperazione, la gioia ineffabile e la paura senza limiti: tutto questo si vive in poche centinaia di metri di sentiero. Poi, cambiati, trasmutati arriviamo all'oasi e tutto ci sembra lontano; la paura, la disperazione, tutto sembra appartenere al passato. I luoghi, i tempi, i ritmi, gli incontri ai quali non siamo più avvezzi, ti consentono di portare in superficie quella parte di te che avevi dimenticato". La fantasia popolare l'ha chiamato "Infernaccio". Anticamente, risalendo forse all'epoca romana, lo avevano chiamato "Golubro". Infatti, secondo il P.Giacinto Pagnani, che ha trascorso la sua vita nello studio e nella scrupolosa ricerca di antichi documenti, la parola "Golubro" deriva dalle due parole latine:"Gula - Lubricum", cioè gola scivolosa, insorpassabile. Nessuno infatti prima del 1820 aveva osato violare il Golubro. Il letto naturale del fiume che le acque per millenni di anni si erano costruito attraverso un costante e paziente lavoro, non è quello che oggi osserviamo. Una frana staccatasi dal versante del monte Sibilla, aveva nel passato ostruito la gola, costringendo le acque a procurarsene uno nuovo. Il groppone quindi formato da grossi massi e terriccio, dove oggi si inerpica la mulattiera, anticamente era il letto naturale del fiume che scorreva abbondante tra le due strettissime pareti, scivolose ed impossibili a superarsi. Sarà una ditta di S.Severino Marche che, nel 1820, per prima oserà violare il Golubro, costruendo un ponte in legno subito dopo il dorso, facilitando così il trasporto della legna dal bosco di Meta. Ne è ancora testimone il trave posto trasversalmente da una parete all'altra e che ancora oggi possiamo facilmente osservare. Oltrepassata la gola bisognava nel passato avventurarsi in una serie di imprese da caprette. "Saltellando da un masso all'altro - mi raccontava un vecchio montanaro - o da un tronco all'altro spinti forse fin lì dalla violenza delle acque in piena, non era raro di finire in mezzo all'acqua sia per la viscidità dei massi e dei tronchi, come pure per mancanza di agilità. Spesso era il numeroso fogliame spinto dal vento autunnale in qualche gorgo più riparato, a tessere il tranello: sicuri di avere trovato un punto ben solido dove mettere il piede, inaspettatamente ci trovavamo immersi nell'acqua fredda. Ed in quel tempo non esistevano stivaloni di gomma, ma solo zoccoli, ben protetti da chiodi. Un paio di scarpe dovevano durare una vita". Oggi il tratto del fiume è percorribile grazie ad un muraglione che lo costeggia, fino a raggiungere le "Muline", così chiamate perché anticamente i monaci vi avevano organizzato uno dei mulini. "Fino al 1905 - mi raccontava Antonio Innamorati, morto all'età di novantasei anni - si potevano ancora osservare due perni incassati nella roccia". Erano i due perni che reggevano la ruota del mulino dove i monaci di S.Leonardo e gli abitanti del castello del Golubro si recavano a macinare il misero frutto del loro lavoro. Quando la contessa Drusiana farà donazione del monastero di S.Leonardo ai monaci camaldolesi di Fonte Avellana, saranno compresi anche tutti i mulini. |