Le sorgenti del Tenna, che comunemente vengono chiamate "Capotenna", costituiscono una delle mete più facilmente raggiungibili per tutti coloro che vogliono avventurarsi sui monti Sibillini. E' una delle località che esercita maggior attrattiva, non solo per la sua naturale bellezza, ma soprattutto per la sua storia legata al monastero di S.Leonardo, per i suoi ricordi che hanno lasciato un'impronta di rilevante importanza attraverso i secoli. Superata la gola dell'Infernaccio, la valle si apre sempre più concedendo un sospiro di sollievo. E' una conca pittoresca dove l'ambiente paesaggistico diventa più riposante: in un susseguirsi di panorami sempre nuovi, si avanza per un sentiero che costeggia il fiume Tenna e si snoda tra folti boschi e superbe faggete fino a raggiungere un piccolo ruscello che scendendo dal versante del monte Sibilla va ad unirsi alle acque del fiume Tenna. Lo risaliamo e subito il nostro sguardo è colpito dalla presenza di tante piccole conche degradanti dove le acque vanno a riposarsi per poi riprendere il cammino verso il fiume. Lo alimenta un ghiacciaio perenne, nascosto in una fenditura assai profonda ed inaccessibile, dove le numerose slavine si danno appuntamento durante i mesi invernali. Lasciamo per un tratto il fiume per affrontare una salita, al termine della quale è ancora possibile osservare dei ruderi di antiche mura che, un tempo, dividevano il territorio di Montefortino da quello di Visso. Vi avevano costruito anche un arco e per questo oggi chiamano il luogo "Arco fu". Un tempo, cioè, ci fu l'Arco. Dopo ancora un buon tratto di sentiero vediamo che la valle si apre sempre più fino a trovarci ad una grande spianata, accerchiata dalle alte creste del monte Sibilla a sinistra, di cima "Canna-Fusto" di fronte e del monte Priora e pizzo Berro a destra. Le pareti rocciose che a strapiombo si affacciano sul fiume e che ci hanno accompagnato lungo tutto il tragitto, ora diventano sempre più dolci, cedendo il posto a boschi sempre più degradanti che le fanno corona ed a prati adibiti a pascoli ricchi di erbe varie e di profumati fiori; zampilli di acqua freschissima che pullulano qua e là da remoti nascondigli; la purezza e serenità dell'aria: tutto qui è un invito ad elevare lo spirito, a ritrovare il gusto della vita, ad apprezzarne il grande valore. Anch'esso è uno dei pochi ambienti rimasti ancora in perfetta armonia ed equilibrio con la natura. Ma l'attrattiva più affascinante è costituita dalla presenza di un casale che, situato su di un poggio e circondato da qualche abete ed albero da frutta, domina tutta la spianata come gli antichi castelli medioevali. Un tempo era una delle chiese dei monaci di S.Leonardo. Lo si può facilmente desumere dal soffitto a volta reale che, in una sfida contro il tempo e le condizioni atmosferiche, ancora oggi è possibile osservare. Accanto vi avevano costruito anche un fabbricato (oggi andato distrutto) per la loro residenza. Oltre alla preghiera, essi si dedicavano qui a dissodare la terra, a rimuovere pietre trasformando così questo luogo in una delle principali fonti di sostentamento, non solo per sé ma anche per tutti coloro che abitavano sul Golubro. Si potrebbe dire che sia stato come il granaio del monastero di S.Leonardo. Da quanto ho potuto apprendere dal racconto delle popolazioni del luogo, il grano veniva seminato quando erano già finite le grandi gelate invernali e la primavera cominciava a fare sentire i suoi tepori. Il mese di marzo era il più adatto alla semina e per questo il grano veniva chiamato "marzolo" o, con parola dialettale, "Jinicchia". Raggiungeva appena l'altezza di mezzo metro e bisognava attendere fino alla fine di settembre per la mietitura. Dopo la partenza dei monaci quelle terre dove il grano ondeggiava al lieve soffiar del vento, ben presto furono trasformate in pascoli per il numeroso bestiame che veniva condotto. La crisi dell'agricoltura e della pastorizia oggi ha costretto molte persone ad abbandonare queste terre e a trovare altrove un lavoro meglio retribuito. Anche la Chiesa - come quella di S.Leonardo - subirà la stessa sorte: sarà trasformata ed adibita a casale per i pastori e magazzino per la conservazione del formaggio. Ed oggi siamo costretti addirittura ad assistere, impotenti, allo scempio finale dovuto al completo abbandono e degrado. "Quod non fecerunt barbari - è ancora il caso di ripetere - fecerunt Barberini". Nessuno, compresi tutti coloro che amano catalogarsi tra i difensori dell'ambiente, si è mai preoccupato di fare qualcosa per salvare dal completo sfacelo uno dei monumenti che nel corso dei secoli ha occupato un posto tanto importante. Qui, infatti, presso i campi chiamati ancor oggi di "Sant'Antonio" a cui era dedicata la chiesa, si svolse una battaglia tra i Fortinesi e i Vissani che si concluse con la vittoria dei primi. Per ricordare l'evento e come segno di devozione, fecero scolpire una statua in onore di Sant'Antonio, che oggi possiamo ancora ammirare. Ma la sua storia è soprattutto legata - come già abbiamo accennato - al famoso romanzo di Andrea da Barberino. Proprio da qui il suo eroe prenderà il via per avventurarsi sulla famosa grotta della Sibilla.
|