"Lassù sui monti...",

di padre Pietro Lavini

 - Capitolo IX -

C'era, una volta...

Incastonata proprio nel cuore dei monti Sibillini come una gemma preziosa ed arroccata in uno sperone che si affaccia sulla gola dell'Infernaccio, c'era, una volta, una Chiesina dedicata ad un santo giunto da lontano... Potrebbe sembrare l'inizio di una bella favola; invece ciò che sto per raccontare è l'inizio di una storia affascinante.

Fino a qualche anno addietro pochissime persone ne erano a conoscenza: solo qualche pastore che l'aveva frequentata per motivi di lavoro o qualche sporadico escursionista domenicale. Solo consultando qualche cartina topografica era possibile rintracciare il luogo, segnato da una piccola croce; segno evidente che in passato vi era una chiesa.

L'antica chiesa di San Leonardo ridotta quasi ad un rudere.

Lo stesso don G.Crocetti, che per primo si cimenterà a descriverne la storia, nella prefazione del suo libro "S.Leonardo: l'eremo dei Sibillini" confesserà lealmente:"Mai mi interessai delle rovine dell'eremo di S.Leonardo, nemmeno per curiosità; mai presi l'iniziativa di salire in cima al Volubrio per visitarlo...". Anche il dottor Albertini, che mi farà donazione della chiesa e dell'appezzamento di terreno, mi dirà in una lettera:"Non ho mai saputo dell'importanza che in passato ha avuto per lungo tempo la chiesetta di San Leonardo, ridotta quasi ad un rudere...".

Poche persone quindi ne conoscevano l'esistenza e tanto meno la sua storia, le sue origini, le sue varie vicissitudini attraverso i secoli; ed infine lo stato miserando in cui la trovai all'inizio della mia impresa.

Si illuderebbe di grosso chi pretendesse da me uno studio storico, ben documentato. Mi auguro che, con il passar degli anni, qualche studioso riesca a rintracciare nuove notizie in modo che si possa conoscere sempre meglio l'affascinante storia di un luogo che ha avuto un ruolo rilevante nel grande edificio del nostro passato. Per ora ci dobbiamo accontentare di quelle poche notizie, sia scritte che orali, apprese magari da qualche vecchio montanaro; di quei pochi documenti che qualche studioso è riuscito a racimolare durante le proprie ricerche, ed infine di qualche deduzione che si può trarre da scritti pervenuti fino a noi.

"Cerca di usare molta attenzione quando scavi - mi raccomandava P.Giacinto Pagnani appena venuto a conoscenza della mia intenzione di ricostruire la chiesa di S.Leonardo - potresti avere delle meravigliose sorprese, perché tu metti le mani su uno dei gioielli più antichi e più belli che avevamo nelle Marche".

In queste parole non solo la chiesa di S.Leonardo viene definita "un gioiello", ma vengono usati due aggettivi significativi:"più antichi e più belli". Sarà lui, infatti, a darmi in seguito la notizia dell'esistenza sul Golubro di un tempietto pagano dedicato a qualche divinità boschiva. "Come mai - mi domandavo che proprio su quel costone così inaccessibile, anticamente sia stato costruito un tempietto?". Potrebbe sembrare davvero strano se non si tiene conto di alcuni precedenti storici che ci aiuteranno senz'altro a comprendere meglio le origini e lo sviluppo del Golubro attraverso i secoli.

Credo che uno dei motivi principali a cui deve tutta la sua importanza derivi dal fatto che nel passato il Golubro costituiva uno dei passaggi più brevi e più accessibili per le popolazioni che si trovavano al di qua e al di là dell'Appennino. Le due vallate diametralmente opposte, del Nera che si riversa nel fiume Tevere e del Tenna che si riversa nel mare Adriatico, offrivano la migliore possibilità di trasferimento da un versante all'altro. L'unico ostacolo era costituito dalla gola che oggi chiamiamo Infernaccio. Da qui la necessità di una via che, sfiorando lo sperone che si affaccia sulla gola, univa i due versanti. La strada quindi che permetteva di raggiungere le sorgenti del Tenna e della Val Nerina non passava attraverso la gola dell'Infernaccio come ho già avuto modo di accennare, ma nel pianoro antistante la chiesa di S.Leonardo. Da Amandola, costeggiando il fiume Tenna dalla parte più assolata, raggiungeva una località chiamata "Tre Ponti" sotto Montefortino. Da qui si proseguiva sempre dalla parte assolata, verso i campi di Vetice; attraversava un folto bosco di lecci, l'unico presente sui monti Sibillini, ed il passo della Votrara, scendeva a fosso Rio per risalire, sfiorando il "Poggio dei Tassi", fino al pianoro di S.Leonardo; per poi proseguire verso Capotenna ed il valico di Passo Cattivo e raggiungere finalmente la Val Nerina.

Quando gli ultimi monaci camaldolesi abbandonarono l'eremo di S.Leonardo dopo solo una quarantina di anni, tra i vari motivi che addurranno vi sarà quello dell'esistenza "di una strada che vi passa a lato e che duce a Roma, a Norzia, a Visse et altri luoghi che dalli tempi buoni è molto frequentata". Le ultime parole sono di fondamentale importanza e ci dimostrano chiaramente che, nel passato, molta gente doveva passare sul Golubro. Certo in questi ultimi tempi, con l'avvento della industrializzazione e del conseguente spopolamento e abbandono del territorio montano, molte cose sono cambiate. Le tradizionali attività produttive montane come la pastorizia e l'agricoltura di alta collina, hanno ceduto il posto alle industrie, alle fabbriche. Eppure queste due attività fino agli ultimi anni del conflitto mondiale costituivano la nostra vera ricchezza. La montagna era popolata di pastori che trovavano lavoro alle dipendenze di qualche proprietario di greggi.

All'inizio dell'inverno, tutto il bestiame veniva condotto nelle campagne romane a svernare. Questo fenomeno di spostamento, che si ripeteva ogni anno alla fine della primavera e all'inizio dell'inverno, veniva chiamato "Transumanza". Lungo le strade mulattiere del monte Priora, lungo la valle del Nera e le strade che conducevano alle campagne romane, era tutto un via vai di numerose mandrie di bestiame, seguite da pastori ben muniti di coscialli di capre e grossi ombrelloni. Costretti dalla necessità, abbandonavano le proprie famiglie, i propri cari per riabbracciarli al ritorno, dopo i mesi invernali. Molti di essi riuscivano ad imparare a leggere e scrivere quasi costretti dal bisogno di inviare notizie ai propri cari o alle proprie fidanzate.

Alcuni muli trasportavano le poche masserizie e gli indumenti necessari per affrontare i rigori dell'inverno, mentre alcuni cani attendevano alla guardia del gregge, specie durante le ore notturne. In coda, a dorso di un mulo seguiva il vergaro, l'uomo di fiducia del proprietario del gregge. Sembra di rivivere una di quelle scene del Far West dove si vedono gruppi di persone e mandrie di bestiame trasferirsi da una regione all'altra con carrozzoni dalle ruote spesso vacillanti e carichi di masserizie.

Al gran numero di pastori si univa quello dei carbonai che, prima dell'avvento del gas, trovavano in questa attività una buona fonte di guadagno; di operai che andavano a cercare lavoro nelle lontane campagne romane o verso le piane del Castelluccio; di commercianti che si recavano a Roma "et altri luoghi" per affari; di eserciti che si muovevano alla conquista di territori, di città, di fortezze; di soldatesche che combattevano alle dipendenze di qualche signorotto; di briganti che dopo aver depredato i viandanti, trovavano un asilo sicuro nei nascondigli di questi monti; ed infine di gente che si dirigeva verso la città eterna per incontrare il Vicario di Cristo o qualche altro scopo devozionale. Lo conferma la scoperta di qualche oggetto che ho rinvenuto in mezzo alle macerie ed, in particolare, di una piccola medaglia. E' uno degli oggetti più interessanti a cui più tengo: non per il suo valore in sé ma perché ci offre la possibilità di ricostruire tutta la storia del Golubro, dai tempi più remoti fino agli ultimi tempi. Nonostante il terriccio e l'umidità in cui era avvolta è riuscita a conservarsi in ottimo stato.

Da un lato si possono scorgere le facciate di quattro Basiliche con sotto la scritta "Roma". Dall'altra i quattro santi a cui sono dedicate le quattro basiliche: S.Pietro, riconoscibile per la chiave che ha in mano; S.Paolo per la spada; S.Giovanni Battista che battezza lungo le rive del fiume Giordano ed infine la Madonna che tiene in braccio il Bambino Gesù. Sono le quattro basiliche di Roma, dette "Maggiori". Sotto è possibile leggere anche la data: 1625. E' qui tutta la sua importanza. Sappiamo che la Chiesa, approfittando dei suoi immensi tesori spirituali, offre a tutti i suoi figli ogni venticinque anni, la possibilità di ottenere il condono delle proprie colpe, attraverso la pratica di alcune opere buone. Il 1625, ci ricorda un Anno Santo; ci parla di una persona, non sappiamo di quale paese che, attraverso il Golubro si è recata a Roma per acquistare l'indulgenza. Anche lei, come si è soliti fare in tali circostanze, ha acquistato un oggetto da conservare come ricordo dell'Anno Santo. Al ritorno si è poi fermata a S.Leonardo dove i monaci, fin dall'antichità, avevano organizzato una stanza destinata ad accogliere i pellegrini. E proprio in questa stanza, per caso, ho rinvenuto la piccola medaglia.

Da questa e da tante altre testimonianze, possiamo facilmente dedurre che, nei secoli passati, la strada che attraversava il Golubro ebbe un ruolo di primo piano: contribuì in modo determinante a costruirne la storia plurisecolare. La mia insistenza nel descriverla potrebbe sembrare del tutto inutile; ma se non si tiene conto di questo fatto, difficilmente si riuscirà a comprendere come mai proprio su quello sperone sperduto e quasi inaccessibile del monte Priora, si sia sviluppata una vita, che, nel corso dei secoli, ha tanto influito all'incremento della nostra civiltà.

Ho rinvenuto in mezzo alle macerie una piccola medaglia. E' uno degli oggetti più interessanti: non per il suo valore in sé, ma perché ci offre la possibilità di ricostruire la storia del Golubro.

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