Riflettiamo con Don Tonino Bello «Anche
voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». (Gv 13, 14) «Gli
uni gli altri», a vicenda cioè, scambievolmente. Questo
vuol dire che la prima attenzione non tanto in ordine di tempo, quanto in
ordine di logica, dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità,
servendo i fratelli e lasciandoci servire da loro. Spendersi per i poveri
và bene, abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono
esclusi da ogni sistema di sicurezza e che sono emarginati da tutti i
banchetti della vita, và meglio. Ma
prima ancora dei marocchini, degli handicappati, dei barboni, degli
oppressi, di coloro che ordinariamente stazionano fuori dal cenacolo, ci
sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio. Solo
quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli le nostre mani potranno
fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli. E solo quando
sono stati lavati da una mano amica, i nostri calcagni potranno muoversi
alla ricerca degli ultimi senza stancarsi. Della
lavanda dei piedi, in altri termini, dobbiamo recuperare il valore della
reciprocità che è l’insegnamento più forte nascosto in quel gesto di
Gesù. Finora forse ne abbiamo fatto un po’ troppo un esercizio eroico
di conquista, l’abbiamo scambiato per uno stile d’accaparramento di
benevolenze mondane, l’abbiamo inteso come un espediente missionario
capace, se non di provocare la fede, almeno di vincolare le emozioni dei
cosiddetti “lontani”…un bel gesto, insomma, di quelli che fanno
immagine, soprattutto per quel gioco di contrasti perché, quanto più Gesù
sprofonda fino a terra, tanto più emerge l’altezza del suo messaggio.
Invece con quella frase, Gli uni gli altri, espressa nel testo greco da un
inequivocabile pronome reciproco, siamo chiamati a concludere che la
bocca, il catino e l’asciugatoio, prima che essere articoli di
esportazione, vanno adoperati all’interno del cenacolo, non vanno
collocati fuori della Chiesa quasi per essere offerti come ferri del
mestiere a coloro che, terminate le loro liturgie, escono nel mondo. No! Non
c’è un’Eucarestia dentro e una lavanda dei piedi fuori; l’una e
l’altra sono operazioni complementari da esprimere ambedue, negli spazi
dove i discepoli di Cristo si radunano e vivono. Fuori
semmai c’è da portare la logica di quei doni, frutti che maturano in
pienezza solo al calore della serra evangelica. In conclusione, brocca,
catino e asciugatoio devono divenire arredi da risistemare al centro di
ogni esperienza comunitaria, con la speranza che non rimangano
suppellettili semplicemente ornamentali. Che cosa significa tutto questo
per noi? Che, ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere
portatore di annunci credibili se nell’ambito del presbiterio non è
disposto a lavare i piedi di tutti gli altri e a lasciarsi lavare i suoi
da ognuno dei confratelli, anzi, c’è di più o di peggio; è l’intero
presbiterio che manca di
credibilità se, nel suo grembo, serpeggia il rifiuto o il riserbo
sdegnoso, o il fastidio a tal punto che i piedi ognuno se li deve lavare
per conto suo. Non si tratta di essere mondi, cioè puri, anche gli
apostoli dell’ultima cena lo erano, «voi siete mondi» aveva
detto Gesù. Il problema è essere servi, perché gli uomini accettano il
messaggio di Cristo non tanto da chi ha sperimentato l’ascetica della
purezza, quanto da chi ha vissuto le tribolazioni del servizio. Altro che
gesto sentimentale quello Gesù, da incorniciare magari nell’album dei
buoni esempi. La
logica della lavanda dei piedi è eversiva a tal punto che grida
all’ipocrisia quando, in un’associazione ecclesiale lacerata dalle
risse e dilaniata dalle rivalità, si pretende di organizzare il pediluvio
alla gente. Ma
a chi andiamo a raccontarla…! Il
servizio agli ultimi che stanno fuori non purifica nessuno quando si salta
il passaggio obbligato del servizio agli ultimi che stanno dentro anzi, si
ritorce come condanna perfino su chi crede che gli basti la
riconciliazione procuratagli dai Sacramenti, quando poi snobba quella
grande riconciliazione con la vita, che si raggiunge lavando i piedi del
prossimo più prossimo. «Gli
uni gli altri», a partire dalle famiglie che non possono dirsi
cristiane se non assumono la logica della reciprocità; perché se il
marito smania di lavare i piedi ai tossici, la moglie si vanta di servire
gli anziani e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare nel Terzo
Mondo come volontaria ma poi, tutti e tre, non si guardano in faccia
quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro-testimonianza
penosa, che danneggia perfino i destinatari di un servizio apparentemente
così generoso. Ce
n’è abbastanza perché la ripetizione rituale della lavanda dei piedi
che, tra la commozione generale celebreremo la sera del Giovedì Santo, ci
metta nell’anima una voglia struggente di servizio, di accoglienza e di
pace, verso tutti, a partire dai più vicini.
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