di Roberta Pizzolante Vent'anni di affondamenti sospetti, di indagini, di archiviazioni e audizioni parlamentari. Tutti raccolti nel dossier "Le navi dei veleni" presentato da Legambiente e Wwf il 29 settembre scorso. Una realtà, dicono le associazioni, che ha ormai assunto il carattere di un intrigo internazionale nel quale sono coinvolti faccendieri, trafficanti di armi e soggetti istituzionali. Secondo i dati del 2001 della Direzione Investigativa Antimafia (Dia), elaborati grazie alle segnalazioni delle compagnie assicuratrici, sarebbero state 52 le carrette fatte sprofondare nel Mediterraneo. Un modo molto redditizio per smaltire rifiuti tossici e radioattivi e incassare i soldi delle assicurazioni.Sulla scia di alcune interpellanze urgenti presentate quest'estate alla Camera dei Deputati e dell'inchiesta giornalistica del settimanale "L'espresso", Legambiente e Wwf richiedono nel dossier l'intervento delle autorità competenti per fare chiarezza sulle attività legate all'affondamento delle navi e per individuare con un'indagine nelle acque italiane i loro relitti, metterle in sicurezza, e procedere dove possibile al recupero del relitto e alla bonifica delle aree contaminate. Inoltre le associazioni chiedono il massimo sostegno di uomini e mezzi alla procura della Repubblica di Paola che sta svolgendo delle indagini sulla motonave Rosso, arenatasi in circostanze misteriose sul litorale di Amantea, nel cosentino, il 14 dicembre 1990. "Quello della Rosso è un caso emblematico ma esistono molti casi simili su cui si deve fare chiarezza", spiega Patrizia Fantilli, responsabile dell'ufficio legalità di Wwf Italia. "Ci sono altri relitti affondati nel Mediterraneo, dall'Adriatico, a ridosso delle coste jugoslave, al basso Jonio, sulle quali non è in corso alcuna indagine, né da parte dei governi interessati, né da parte di organismi internazionali". Secondo i registri dei Lloyds, altre navi affondate in modo sospetto nel Mediterraneo sono la Rigel, naufragata al largo di Capo Spartivento nel 1987, la motonave Aso, affondata nel 1979 al largo di Locri, carica di 900 tonnellate di solfato ammonico e la motonave Michigan, affondata nel 1986 nel mar Tirreno con il suo carico di granulato di marmo. Le ipotesi inquietanti descritte dalle associazioni ambientaliste nel dossier riguardano un presunto sistema clandestino concordato da alcuni governi, europei e non, per smaltire in mare milioni di tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi. Usando le navi come dei veri e propri depositi affondabili. Uno scenario che coinvolgerebbe anche i clan della criminalità organizzata e che potrebbe essere collegato con il traffico di armi. L'ipotesi è confermata anche dalla relazione conclusiva della Commissione bicamerale sui rifiuti del 1996, dove si parla chiaramente di "navi a perdere, che si ipotizza siano state utilizzate per l'affondamento di rifiuti radioattivi" nel mar Mediterraneo e in particolare a largo delle coste ioniche e calabresi o "lungo tratti di mare antistanti paesi africani come la Somalia, la Sierra Leone e la Giunea". Un accenno viene fatto anche "all'interesse che alcuni paesi dell'Ue avrebbero per possibili forme di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e radioattivi" e anche alle "attività di intermediazione tra i titolari di queste presunte attività e la Somalia, paese al centro di traffici illegali di ogni tipo". Proprio qui ha svolto i suoi ultimi servizi televisivi la giornalista Ilaria Alpi, che sembra stesse indagando proprio sul traffico d'armi. "Si deve chiarire il rapporto tra queste attività e la morte di Ilaria Alpi e deve essere dato il massimo sostegno di uomini e mezzi alla Procura di Paola, a cominciare dal reintegro del personale allontanato dalle indagini",conclude Fantilli. La corsa contro il tempo infatti è già iniziata: nel dicembre 2005 i reati ipotizzati dalla procura calabrese per l'affondamento della motonave Rosso cadranno in prescrizione. Magazine, 22 ottobre 2004 © Galileo |