Ada Negri

(Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945)

La Vita e le Opere

Di umili origini (suo padre Giuseppe Negri era un manovale, sua madre, Vittoria Cornalba, una tessitrice), passò l'infanzia nella portineria del palazzo Cingia-Barni dove la nonna Peppina Panni lavorava come custode e governante del famoso soprano milanese Giuditta Grisi, moglie del conte Barni. Ada passava quindi il tempo osservando il passaggio delle persone come descritto nel romanzo autobiografico Stella Mattutina (1910).

Ad appena un anno dalla sua nascita era rimasta orfana del padre ma, grazie ai sacrifici della madre, poté frequentare nel 1883 la Scuola Normale femminile di Lodi ottenendo il diploma di insegnante elementare.

Insegnò a partite dal 1888 nella scuola elementare di Motta Visconti (Milano), alternando all'insegnamento l'attività di giornalista e quella di poetessa. In questo periodo compose le prime poesie che vennero pubblicate dall'editore Treves nella raccolta Fatalità (1892). La pubblicazione ebbe un grande successo e Ada acquistò una certa fama. Le venne perciò attribuito dal Ministro dell'Istruzione pubblica, Giuseppe Zanardelli, il titolo di docente ad honorem presso la scuola di ordine superiore, l'Istituto Gaetano Agnesi di Milano, e si trasferì con la madre nel capoluogo.

A Milano entrò in contatto con i membri del circolo socialista, dove conobbe Filippo Turati, Mussolini e Anna Kuliscioff (di cui ebbe poi a dire di sentirsi "sorella ideale"). Nel 1894 vinse il Premio Milli per la poesia. Nel stesso anno uscì la sua seconda raccolta di poesie, Tempeste. In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto su temi sociali ed ebbe forti toni di denuncia, tanto da farla definire "la poetessa del Quarto Stato". Nel 1896 sposò Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe nel 1898 la figlia Bianca ispiratrice di molte poesie, e nel 1900 un'altra bambina, Vittoria, che morì però a un mese di vita. Da questo periodo le sue vicende personali modificarono fortemente la sua poetica, e le sue opere divennero fortemente introspettive e autobiografiche, come si vede in Maternità, pubblicato nel 1904, e in Dal Profondo (1910).

Il matrimonio durò pochi anni e Ada dopo la separazione avvenuta nel 1913 si trasferì a Zurigo, tornando però in patria all'inizio della Prima Guerra Mondiale; nel 1914 pubblicava Esilio, opera con evidente riferimento autobiografico, nel 1917 la raccolta di novelle Le solitarie in cui raccontava la sua visione del mondo come una semplice ragazza di campagna e nell'anno seguente Orazioni, dove raccoglieva delle odi alla patria: gli anni della guerra avevano trasformato la passione civile in patriottica.

Ma la corda principale della sua poesia erano ormai i sentimenti e, avanzando gli anni, la memoria: nel 1919 - lo stesso anno in cui moriva la madre Vittoria - da un'altra esperienza amorosa nasceva una nuova raccolta di poesie (Il libro di Mara), libro inusuale per la società cattolica e conservatrice di quell'epoca, e nel 1921 - anno in cui si sposava la figlia Bianca - Stella mattutina, romanzo autobiografico, che riscosse molto successo tanto da essere tradotto in altre lingue.

Nel 1931 fu insignita del "Premio Mussolini" per la carriera (erano gli anni in cui Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista); il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di regime, tanto che nel 1940 divenne membro dell'Accademia Italiana.

Morì nel 1945.

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In quel Crocifisso senza volto i volti di tutta l’umanità

Tra i poeti e scrittori che hanno reso omaggio al Crocifisso, segno universale di fratellanza e speranza per gli uomini e donne di ogni tempo, si trova Ada Negri (Lodi, I 870 - Milano, I 945), celebre poetessa, accademica d’Italia, oggi dimenticata. Nelle pagine della raccolta Vespertina, troviamo “Il Crocefisso rotto”, che desidero far conoscere.

IL CROCIFISSO ROTTO

«Questo crocefisso rotto io l’ho scoperto dentro una cassapanca.. e subito me ne son fatto un compagno e un amico. Al posto del volto è rimasto un incavo ovale, coronato da ciò che resta delle ciocche e del serto di spine...

«Ho appeso il Crocefisso al letto, all’altezza della spalliera Prima d’incominciare la giornata, prima di porvi termine, mi raccolgo in Lui, per qualche minuto, E’ il mio modo di pregare. E non mai più di qualche minuto; ma in quel brevissimo tempo riesco a sprofondare fino a me stessa, a confessarmi come solo si può nella preghiera. Guai se per me così non fosse. Quando siedo alla scrivania dello studio che s’apre sulla camera dall’uscio aperto scorgo il Crocefisso pendere alla parete, solo con me sola...

«I chiodi che gli trafiggono i piedi e mani mi costringono a ricordare il Calvario, ponendo questo pensiero a base di ogni altro pensiero. Ma le fratture delle gambe e delle braccia e la cancellazione del viso mantengono senza tregua dinanzi alla mia vista l’altro supplizio che ebbe principio dopo il Golgota, continuò nella serie dei secoli fino a oggi e continuerà, temo, fino a quando gli uomini saranno quello che sono: in ogni tempo e paese, con ogni mezzo di tortura, non s’è mai cessato di martirizzare Cristo. 

«Ma che diverrebbe la terra, senza la lotta fra il bene e il male? E non è forse la volontà di Cristo, di essere di continuo torturato nei corpi e nelle anime de’ suoi fedeli e de’ suoi nemici, perché dal conflitto zampilli, con sangue, la verità? Nell’incavo che rimane al posto del volto, io posso mettere con la fantasia tutti i volti, gli infiniti volti che passano effimeri sulla terra misteriosamente rassomiglianti fra loro, anche se diversi. Volti di uomini sparsi nel mondo, parlanti ciascuno il proprio linguaggio, segnati ciascuno dal proprio sogno e dal proprio dolore, sospinti ciascuno dal proprio intimo scopo di vita: nati per partire, amare, odiare, confondere l’amore con l’odio, essere piccoli o grandi ma sempre con fatica e con pena, scontare, morire, rinascere in Cristo.

Tanti volti, uno solo: quello di Cristo. Egli è pur sceso fra gli uomini per essere corporalmente simile a loro, salvarli e riceverne in cambio la morte umana e l’ingratitudine perpetua. Qualunque sia, l’uomo reca impresso sulla propria fronte il segno del Salvatore: ed è pur sempre crocifisso al proprio tormento, palese o nascosto, meritato o no.  

«Nessuno dei preziosi Cristi in croce di cui pittori, scultori, orafi, mosaicisti hanno arricchito chiese, palazzi, gallerie d’arte, potrebbe essere per me più bello di questo, e dare al mio cuore un più profondo brivido. Così ridotto, un rifiuto, un rottame, io sola ho il diritto di tenerlo, perché io sola, quale si trova lo amo. Mi apre gli occhi su ciò che non avevo ancora ben veduto. M’insegna ciò che non avevo ancora ben veduto. M’insegna ciò che non avevo ancora ben imparato. Contemplo in esso la crudeltà di un martirio, e la carità di un perdono che dureranno fin che duri il mondo. Non mi separerà mai da questo compagno col quale ho colloqui che soli riescono a mettermi in pace con la vita. Ho dato ordine che, quando sarò morta, il Crocefisso rotto mi venga posto accanto, e sia chiuso nella bara con me».

- Ada Negri -

da Jesus (aprile 2007)

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