Enrica Plebani

8 aprile 1960 - 27 febbraio 1990

Edizioni San Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 2004, 1 ed.

di Balconi Giovanni

Enrica Plebani, nata l’8 aprile 1960 a Rescaldina, una grossa borgata dell’hinterland milanese, è stata una ragazza “normale”: educata all’osservanza dei comandamenti e al rispetto della fede, nel periodo della sua giovinezza seguì la scia della contestazione giovanile, lasciando in disparte i valori cristiani, valori che riscoprì in occasione della morte del papà.
    Ritrovata la fede smarrita, la visse con dedizione piena nella vita normale di tutti i giorni e nell’assistenza dei più poveri al seguito del camilliano fr. Ettore Boschini, assai noto a Milano per aver dedicato la sua vita all’assistenza dei “barboni”.
    Morta nel febbraio 1990, a soli 30 di età, lascia una testimonianza luminosa, che il presente volume vuol far conoscere, anche in vista dell’introduzione della causa di beatificazione.

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Dal libro "Il Sogno di Enrica",

stampato dai camilliani nel 1994 in occasione del 4° anniversario della morte.

Enrica è una ragazza che segue fratel Ettore nella sua avventura e poi, poco dopo, si ammala di tumore. Enrica Plebani muore il 27 febbraio 1990 a 28 anni...

Pochi mesi prima, il 25 dicembre 1989, nel dolore della malattia che si fa di giorno in giorno più aggressiva (linfosarcoma gastrico, poi una paralisi facciale) Enrica sogna una grande croce rossa, luminosissima, che si allarga nell'azzurro di un cielo troppo terso per essere naturale. La croce diventa sempre più luminosa, fino a perdere il colore e a diventare essa stessa luce intensissima nel cielo che trascolora e sfuma nell'infinito. Enrica si sveglia confusa. ha in cuore una gioia che è un turbamento ed un'angoscia. Il primo desiderio è rivelare tutto e subito a fratel Ettore. Il camilliano ascolta il sogno prodigioso ed ha quasi un mancamento:"Ma è straordinario, è lo stesso sogno che nel 1550 fece la mamma di san Camillo quando ancora lo portava in grembo. Quella rossa è la nostra croce, il simbolo della carità e della sofferenza. Adesso non ci sono più dubbi. Tu sei destinata a diventare la mamma della nostra Opera, la mamma dei pià poveri tra i poveri".
Una mamma però che negli ultimi giorni di dicembre non riesce ormai più ad alzarsi dal letto.
Enrica è consapevole di essere ad un passo dalla fine, ha ormai dolori in tutto il corpo, spasimi atroci che non le danno tregua.
L'11 gennaio, in uno dei pochi attimi tranquilli scrice: "Oh Signore, tu che hai permesso questa mia piccola crocefissione che a me pare tanto pesante, non abbandonarmi nel mio dolore fisico ma benedicilo, così che io possa condividere con Te la croce. Ti ringrazio madre perché restandomi vicina mi dai consolazione e gioia...".
 

Dal diario di Enrica Plebani 

- 9 gennaio 1990 -

Ho passato quindici giorni a Casa Betania… adesso sono a casa, a letto e non riesco quasi più a camminare per i forti dolori alle gambe. Ho passato parecchie notti insonni a causa di questi dolori lancinanti, uniti all’infiammazione del nervo trigemino che mi ha dato altrettanti disturbi. Ma ciò che importa è di credere almeno di aver accettato la volontà del Signore anche quando sembrava impossibile farcela.

Il Signore continua a farmi sentire il suo grande Amore per me e mi riempie di gioie e di privilegi che non merito affatto. Dopo aver festeggiato il Natale in famiglia, sono ritornata a Casa Betania ma purtroppo mi è venuta la febbre. Volevo tornare a casa per curarmi, ma neanche a farlo apposta, fratel Ettore si ammala con me… e non c’è nessuno ad assisterlo.

Sogno una grande croce rossa, e lo racconto a fratel Ettore che ne rimane entusiasta, nominandomi Mamma dell’Opera voluta da Dio e non da lui. Anche la Mamma di San Camillo aveva fatto lo stesso sogno. Povera me! O Beata me, chi può saperlo! Rimango vicina a fratel Ettore che continua a ripetermi che in me trova l’amore di sua madre, della Mamma Celeste e di non abbandonarlo più. Io sento il mio corpo sempre più debole, sempre più fragile, ma offro tutte le mie sofferenze al mio Gesù per l’espiazione dei peccati e la salvezza delle anime, poi dico che non basta questo dolore che è comunque atroce, ma di aumentarlo. Di notte ormai non dormo più e di giorno ho spesso crisi di pianto per il male che soffro, penso che potrebbe venirmi una paralisi. Nonostante tutto questo, continuo a sorridere, so che ciò da gioia a fratel Ettore e agli altri fratelli e quindi fa piacere a Gesù. 

A volte vorrei arrabbiarmi con fratel Ettore che sembra non capisca le mie sofferenze e mi fa correre su e giù, mi impedisce di curarmi nel modo più appropriato ed io vorrei mettermi ad urlare e dirgli che ho diritto di curarmi anch’io e che anche il mio corpo è tempio di Dio. Ma poi mi riempie di consolazioni e di premure per cui non posso più oppormi. Lui è così felice di vedermi condividere la croce e perciò, con amore, non posso fare altro che tenermela e abbracciarla. 

A proposito di quel certo Giuseppe che aveva incendiato tutto… è qui in questi giorni ed è sempre irrequieto. Mentre fratel Ettore telefonava al figlio di quest’uomo per dirgli che in fondo doveva voler comunque bene a suo padre, lui, guardandomi, mi chiese con voce rauca e sguardo cattivo:

“Tu hai paura del demonio?”.

Io, con il cuore a mille battiti, dico: “ No, perché dovrei averne?”.

“Perché non hai paura del demonio?”,

mi risponde furioso.

“Perché io sono con Gesù e la Madonna e non temo nulla”.

“E se io fossi satana incarnato?”.

“Peggio per te… quante lingue parli?”.

Lui mi risponde in inglese, tedesco, olandese e non so cos’altro. Gli chiedo se parla l’aramaico.

“Quello posso parlarlo solo io”.

Poi mi fissa a lungo e mi dice:

“Tu sei fortunata perché sei protetta da quella Donna lassù (e indica la Madonna). Anche questo povero frate… è l’unico contro il quale non posso fare nulla”.

Poi per fortuna arrivò qualcuno, lui si ricompose come se niente fosse e se ne andò. Mah!… 

Fratel Ettore continua a chiamarmi mamma dell’Opera e lo dice a tutti. Io però non ho ancora fatto nessuna scelta, anche perché l’ambiente è malsano, con tante gravi malattie infettive e al mio fisico posso permettere fino a un certo punto di restare. Piuttosto avrei pensato di collaborare da Padre Claudio che è tanto bravo e come ambiente è più adatto a me. Vedremo la volontà del Signore. 

Ieri sono andata al Tribunale ecclesiastico, faceva molto freddo e le mie gambe si sono irrigidite. Così almeno posso scrivere, leggere, sentire Radio Maria, incontrarmi con gli amici che mi telefonano o che possono venire a trovarmi. Ieri ho sentito Ruggero, era molto giù e non sapeva dirmi il motivo. Mi dispiace proprio, ma d’altra parte lui è così ostinato a non cambiare, a non ascoltare, che mi sembra inutile dirgli ciò che non sente… Mi ha telefonato anche Donato. O Gesù! Quanta disperazione se non entri Tu con la Tua grazia, con la Consolazione e l’Amore che solo Tu e la Madre Tua (e nostra) potete dare. Ti prego aiutali, convertili, sorreggili, fa provare loto il Tuo Amore cosicché non possano più farne a meno. Aiuta anche i miei fratelli ed amici più intimi a ritrovarli a tornare a Te; ti amo Gesù. Ti amo Mamma. Perdonateci e non abbandonateci. Pietà di noi miseri peccatori.

Ma figli Tuoi.

***

10 gennaio 1990

Se potessi rubare all'albero il segreto della sua forza contro il vento e le intemperie... Se potessi rubare al sole uno dei suoi raggi per darti calore... Se potessi rubare alla luna il suo argento per dare luce al buio intorno a te... Se potessi rubare alle stelle il loro splendore per illuminarti le lunghe notti... Te li donerei.

A te che hai bisogno di amare, di tenerezza, di comprensione, a te che piangi, che ridi, che gioisci, a te che mi sei vicino, che mi sei lontano... Fratello mio carissimo, non trovo le parole per dirti ciò che vorrei... Oggi sei uomo e paghi duramente incomprensioni e dolori che con il tempo hai trascinato celandoti dentro di te. Spesso i miei pensieri si perdono nel vento per raggiungerti... perché tu sei come me, vieni dalla mia stessa strada, hai bevuto alla mia stessa fonte, hai vissuto nella mia stessa terra. Vorrei tanto che anche tu ti lasciassi prendere per mano per camminare verso chi non si è mai stancato di aspettare, di bussare ripetutamente, di amarti. Vorrei tanto che tu spalancassi la porta dell'anima a chi si è chinato su di te, su di me, su di noi, per lasciarti riempire di quell'Amore che da tempo sta bussando dolcemente al tuo cuore.

Digli di sì, ed incontrerai l'Amore.

Digli di sì, corri incontro all'Amore e lasciati amare. "Io sto cercando te".

Ti abbraccio.

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