Guerra
santa.
Quell’anno in cui i musulmani presero Roma
Pochi lo sanno, ma è accaduto. Un
libro uscito negli Stati Uniti offre per la prima volta al grande
pubblico i maggiori documenti sulla teoria e la pratica del jihad.
Da Maometto a oggi. |
|
ROMA, 5 gennaio 2006 – Un libro uscito da
poco negli Stati Uniti alza il velo su un aspetto capitale dell’islam, di
cui troppi sanno poco e male: il jihad, la guerra santa.
È un aspetto su cui largamente si tace, come fosse un tabù. Anche tra i
cristiani, nella memoria diffusa che si ha della storia della Chiesa, vi
sono a questo proposito dei grossi buchi neri.
Un esempio? Molti ricordano cosa avvenne a Roma, nella basilica di San
Pietro, la notte di Natale dell’anno 800. Finita la messa, papa Leone III
pose solennemente sul capo di Carlo Magno la corona del Sacro Romano
Impero.
La basilica di San Pietro brillava quella notte di stupefacente fulgore.
Pochi anni prima il predecessore di Leone III, papa Adriano I, aveva
ricoperto l’intero pavimento del presbiterio con lastre d’argento, aveva
rivestito le pareti con lastre d’oro e cinto il tutto con una balaustra
d’oro del peso di 1.328 libbre. Aveva rifatto in argento i cancelli del
presbiterio e appeso all’iconostasi sei immagini anch’esse d’argento
raffiguranti Cristo, Maria, gli arcangeli Gabriele e Michele, i santi
Andrea e Giovanni. Infine, perché tale splendore fosse pienamente visibile
a tutti, aveva innalzato un candelabro in forma di grande croce su cui
brillavano le luci di 1.365 candele.
Meno di mezzo secolo dopo, però, di tutto questo non restò più nulla. E su
che cosa avvenne regna oggi un generale vuoto di memoria, tra i cristiani.
Avvenne che nell’aprile dell’anno 846 degli arabi musulmani, arrivati con
una flotta alle foci del Tevere, raggiunsero Roma, la invasero, la
saccheggiarono e portarono via dalla basilica di San Pietro tutto l’oro e
l’argento che conteneva.
E non si trattava di un attacco occasionale. Dall’anno 827 gli arabi
avevano conquistato la Sicilia, che mantennero sotto il loro dominio due
secoli e mezzo. Roma era seriamente sotto minaccia ravvicinata. Nell’847,
l’anno dopo l’assalto, il nuovo papa Leone IV iniziò la costruzione di
mura attorno a tutta l’area vaticana, alte 12 metri e munite di 44 torri.
Le completò in sei anni. Sono le mura “leonine” di cui restano ampi
tratti. Ma pochissimi oggi sanno che esse furono erette per difendere la
sede di Pietro dal jihad musulmano. E tra chi lo sa molti tacciono per
pudore. “Non muri ma ponti”, è lo slogan che oggi è di moda.
* * *
Il libro che alza il velo sulla guerra santa islamica ha per titolo “The
Legacy of Jihad”, l’eredità del jihad, ed è curato da Andrew G.Bostom.
È un libro essenzialmente fatto di documenti, molti dei quali per la prima
volta tradotti in inglese dall’arabo o dal parsi, oppure ripresi da libri
di orientalisti di difficile consultazione per il grande pubblico.
I documenti spaziano dal secolo di Maometto, il settimo, fino al
ventesimo. E comprendono sia testi classici sul tema del jihad di teologi
e giuristi musulmani, sia resoconti di guerra di testimoni antichi e
moderni, musulmani e non, sia analisi del jihad ad opera di studiosi di
vario orientamento.
Corredano il libro miniature che raffigurano momenti di jihad nella
storia, e mappe geografiche che documentano l’espansione militare
dell’islam secolo dopo secolo, dal settimo all’undicesimo. Ogni mappa è
corredata da un sommario che elenca gli atti di guerra in ciascuna
regione.
Ad esempio, in quel nono secolo in cui Roma fu presa d’assalto e la
Sicilia conquistata, le armate musulmane occuparono in Italia Bari e
Brindisi per trent’anni, Taranto per quaranta, Benevento per dieci;
attaccarono più volte Napoli, Capua, la Calabria, la Sardegna; misero a
ferro e fuoco l’abbazia di Montecassino; fecero scorrerie anche
nell’Italia del Nord, arrivando dalla Spagna e valicando le Alpi.
Dall’imponente documentazione raccolta da Bostom un dato emerge con
chiarezza: il jihad non è una delle forme in cui si attuò, in particolari
luoghi e momenti, l’espansione dell’islam, ma è un’istituzione connaturata
al sistema musulmano stesso, è una sua obbligazione religiosa permanente.
Una cosa che stupisce è che a pubblicare in Occidente questa
documentazione sia un non specialista. Bostom è medico epidemiologo e vive
a Providence nel Rhode Island. Ma forse proprio questa sua non appartenenza
all’accademia degli orientalisti e islamologi lo rende più libero dai tabù
che imbavagliano molti di questi.
Contro il proislamismo di larga parte della cultura occidentale hanno
scritto pagine graffianti, tra altri, Jacques Ellul, Oriana Fallaci e Bat
Ye’or, quest’ultima grande specialista della condizione subordinata
imposta sistematicamente dall’islam ai sudditi non musulmani dei paesi
conquistati, nonché autrice nel 2005 di un saggio dal titolo eloquente:
“Eurabia. The Euro-Arab Axis”.
Una tesi centrale dei tre autori citati è che l’islam sia un tutto
coerente e irreformabile nei suoi elementi essenziali, e che la libertà e
i diritti della persona non vi possano appartenere.
Ma anche un autore che non condivide tale tesi ed è anzi uno dei più
decisi assertori della compatibilità tra islam e democrazia – Bernard
Lewis, uno dei più autorevoli islamologi viventi, professore a Princeton –
ha criticato severamente le tendenze proislamiche in voga tra
intellettuali e politici occidentali, persino ebrei.
In un saggio dal titolo “The Pro-Islamic Jews”, Lewis ha riscostruito come
l’idea di un’antica Spagna musulmana tollerante con cristiani ed ebrei –
oggi evocata da molti come un’età dell’oro – sia un mito romantico del
diciannovesimo secolo, creato proprio da ebrei in polemica con i
cristiani.
Anche l’adesione della moderna Turchia al campo occidentale e il suo
sostegno allo stato d’Israele hanno indotto una diffusa reticenza sui
massacri da essa compiuti nel secolo scorso dei cristiani armeni.
E ancora, a incoraggiare il generale silenzio sulle guerre sante di ieri e
di oggi – come anche sulla schiavitù tuttora praticata dai musulmani in
talune regioni, sugli assalti a chiese e sulle uccisioni di cristiani – ci
sono la ricerca di un buon vicinato con la crescente immigrazione
musulmana in Europa, la paura di attacchi terroristici, la volontà di
mostrarsi estranei allo schema dello “scontro di civiltà”.
Ma di queste reticenze e silenzi dell’Occidente sono vittime, tra i
musulmani, proprio coloro che coraggiosamente si battono per riformare la
fede islamica e conciliarla con la democrazia e la modernità.
Meno male che, a non lasciarli soli, arrivano libri come questo di Andrew
G. Bostom.
di Sandro Magister
***
Il libro:
”The Legacy of Jihad. Islamic Holy War and the Fate of Non-Muslims”,
edited by Andrew G. Bostom, foreword by Ibn Warraq, Prometheus Books, New
York, 2005, pp. 762.
INDIETRO |