ISLAM SENZA GRAZIA
L’islam è una
rivelazione divina che non offre la possibilità di essere
verificata, che si afferma storicamente attraverso sforzi politici
piuttosto che per iniziativa divina.
Perché l’islam è così diverso dalle
“altre” “religioni”? Le religioni si possono dividere in due grandi
gruppi: quelle che, per loro esplicita ammissione, sono un tentativo
umano di rapportarsi al divino, e quelle che invece sostengono di essere
frutto di un intervento autorivelativo di Dio; tra le prime si
annoverano quasi tutte le religioni, dal buddismo all’induismo, dallo
scintoismo al paganesimo antico alle religioni primitive, mentre solo
l’ebraismo e il cristianesimo sostengono di essere fondati
sull’intervento di Dio nella realtà visibile. Nel primo caso è l’uomo
che va verso un divino sconosciuto, nel secondo è Dio stesso che va
verso l’uomo, rivelandosi a lui, in eventi storici, reali, in fatti
visibili con gli occhi della carne, toccabili e sperimentabili.
Una rivelazione interiore
E l’islam dove si colloca? Qui appunto
sta la sua anomalia, il suo strano caso. Perché da un lato l’islam
sostiene di essere rivelato da Dio stesso e questo lo differenzia dalle
religioni del primo tipo e ne dimostra una certa derivazione
ebraico-cristiana, del resto anche storicamente innegabile; ma
dall’altro, a differenza dell’ebraismo e del cristianesimo, Dio non si
rivela nella realtà, in fatti storici quali il passaggio del Mar Rosso,
o l’umanità tangibile e oggettivamente documentabile di Gesù, non si
rivela insomma in qualcosa che tutti possono, di diritto, vedere,
sentire e toccare, ma si rivela all’interiorità di un uomo, il Profeta.
Si rivela non in fatti, ma in parole e in parole interiori. E non
fornisce alla sua parola alcuna documentazione fattuale, oggettivamente
verificabile.
Questa rivelazione è stata un’esperienza unica, soggettiva e non
dimostrabile né da parte di Maometto, né da parte di altri. Lui ha
sentito delle voci e ha creduto a queste voci. Per cui se lui ha
creduto, anche gli altri devono credere…
Annullamento della ragione
Ne deriva che da un lato l’islam ha
una pretesa assoluta: non è un tentativo dell’uomo di andare verso Dio,
ma è Dio stesso che si autorivela, esigendo “sottomissione totale”, che
è poi il significato letterale del termine “islam”, che d’altro lato
poggia su una fiducia non verificabile in alcun modo e su una
operatività che si affida interamente a progetti e energie umane.
Vediamo di esplicitare queste due importantissime conseguenze.
Anzitutto il
rapporto tra fede e ragione è nell’islam concepito in modo ben
diverso che nella cultura ebraica o cristiana, con la richiesta
alla ragione di abdicare senza condizioni: Dio non interviene
nella realtà, nella storia, operando eventi salvifici, benefici
per l’uomo, così che l’uomo possa convincersi ragionevolmente
della Sua esistenza e della Sua bontà; Dio è intervenuto una volta
per tutte nella mente di Maometto (e nella mente dei profeti che
lo hanno preceduto): non si possono chiedere delle ragioni a un
intervento di questo tipo, si può solo credere.
La fede dunque chiede alla ragione di
azzerarsi. Prova ne sia anche l’assenza di un solo filosofo musulmano
ortodosso (Averroè, Avicenna, Avicebron erano islamicamente eretici: si
possono chiamare filosofi arabi, non, propriamente parlando, filosofi
musulmani).
Quale dialogo?
Con queste premesse, non deve
stupire che un dialogo risulti molto difficile: se la propria fede
non è fondata su ragioni comunicabili, poiché anche per l’islam la
fede è totalizzante, ne risulta seriamente compromesso lo stesso
concetto di ragione e azzoppata una autentica criticità. E infatti
l’islam si trova in gravissime difficoltà non solo con la democrazia
e i diritti umani, ma anche con la scienza.
Un esame scientifico, come quello
a cui i cattolici hanno sottoposto la Sindone, applicato alla Pietra
nera della Mecca non è nemmeno lontanamente immaginabile, come non è
immaginabile applicare al Corano l’esame critico-filologico al quale
la Chiesa ha accettato di sottoporre la Bibbia.
Il cortocircuito della religione
Anche l’altra conseguenza è
importante: se Dio non interviene continuamente nella realtà, ma è
intervenuto una volta sola, nella mente del Profeta, tutto ciò che
capita nella storia è affidato all’iniziativa umana, cioè non si può
contare su una grazia. E infatti l’islam nega decisamente che esista una
grazia come energia soprannaturale che Dio elargirebbe all’uomo,
intervenendo storicamente nella vita dell’uomo.
Ora, la
condizione di un islamico è questa: ha la convinzione di essere
portatore nientemeno che dell’Assoluto, che gli si è rivelato in
modo totalmente inverificabile e incontrollabile, ed ha a
disposizione, per affermare l’Assoluto, non una grazia divina, ma
solo dei mezzi relativi, umani, finiti. Questo istituisce un
cortocircuito, per la sproporzione tra fine (infinito) e mezzi
(finiti).
Ne deriva che, pur di affermare l’Assoluto, tutti i mezzi umani,
coercizione e forza comprese, possono e devono essere impiegati.
Infatti c’è nell’islam l’idea, e anche
la pratica, della guerra santa: Dio non si diffonde operando Lui stesso
miracoli di conversione e di improgettabile attuazione dell’umano, ma si
diffonde grazie all’operare degli uomini a Lui sottomessi, che creano
strutture politiche, frutto anche di conquista armata, tali da obbligare
ad obbedire, in qualche modo, alla sua legge, il Corano.
Francesco
Bertoldi ; rivista
"Maria Ausiliatrice" aprile 2005
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