PARLA PADRE SAMIR, GESUITA E GRANDE ESPERTO DI ISLAM
«Vi
racconto le vessazioni subite ogni giorno dai cristiani in
Turchia» |
«In questa Turchia che si presenta
come Paese tollerante e democratico, i cattolici continuano a essere
discriminati». Padre Samir Khalil Samir, gesuita di origine egiziana e
tra i massimi conoscitori del mondo islamico, esorta i politici europei
a riflettere bene prima di aprire le porte dell’Ue al governo Erdogan.
Islamista con cattedra all’Università Saint-Joseph di Beirut e al
Pontificio istituto di studi arabi di Roma, Padre Samir possiede tutti
gli elementi necessari a valutare l’attendibilità della
“conversione” europeista di Ankara, non ultima la lunga esperienza
personale di apostolato nelle difficili terre dominate dalla Mezzaluna.
Professore, l’Europa ha rinunciato ad affermare le proprie radici
cristiane nella Costituzione firmata venerdì scorso a Roma e si prepara
ad ammettere Ankara nel consesso dei membri Ue. La prospettiva di questa
operazione è una Turchia più laica o l’islamizzazione del Vecchio
Continente?
«C’era un principio medievale che ho imparato in seminario: maxima
extensio, minima comprehensio. Così, più allarghiamo l’Unione
europea, più perdiamo in profondità, in comprensione. E questo è il
risultato della rinuncia a proclamare le radici cristiane
contemporaneamente allargandosi al Paese di Erdogan. Una presenza che
difficilmente si può giustificare, se si pensa all’Europa come a una
realtà, oltre che economica, anche geografica, culturale, storica. Il
problema non è neanche quello di sapere quali siano le attuali
convinzioni religiose degli europei, perché oggi temo che la tendenza
prevalente sarebbe per il disinteresse in materia spirituale, ma capire
che queste radici cristiane, che per oltre 15 secoli hanno modellato
l’Europa, significano ancora molto nel quotidiano. Significa, ad
esempio, affermare il principio della distinzione tra il fatto giuridico
e quello religioso. E in Turchia non è così: la buona volontà
affermata dal governo di Ankara non basta, quando poi la realtà
profonda di quel Paese è molto diversa. Così il passo che si sta
facendo diventa molto rischioso».
Quello turco le sembra un cambiamento di facciata?
«Voglio dire che l’islamizzazione della Turchia è in ripresa da
vent’anni. Lo stesso presidente ha deciso a settembre di ritirare,
dietro le pressioni europee, la legge di penalizzazione
dell’adulterio. Ma questo dimostra quanto il progetto islamizzante sia
presente. C’è sicuramente in corso una lotta tra due tendenze e, al
momento, non si può dire chi ne uscirà vincitore. Tutta l’Anatolia,
cioè grande parte del territorio turco, non ha assimilato il
cambiamento. Lo stile di vita islamico è radicato nella coscienza della
maggior parte della popolazione, che rimane più mussulmana che europea.
Per questo preferisco un atteggiamento realista nei confronti della
Turchia: aspettare gli esiti del progetto di neutralità religiosa e poi
decidere l’ingresso nella Ue».
Per i turchi, quindi, non userebbe la definizione di popolo islamico
moderato?
«Bisogna intendersi. Se usiamo il termine moderato in rapporto al
terrorismo, credo di sì. Se invece significa che ha acquisito la
mentalità laica... questo non si può dire. È anche un problema di
convinzioni diffuse. Da diversi casi a mia conoscenza posso affermare
che, per quanto il Paese si definisca giuridicamente laico, se qualcuno
si converte al cristianesimo va incontro a una vita quasi impossibile.
Così come è praticamente impossibile per un non mussulmano acquistare
un terreno».
La discriminazione dei cattolici è ancora una grave realtà in Turchia?
«Non dobbiamo valutare alla maniera europea. Dire: ci sono delle leggi
tolleranti e tanto basta. Loro fanno tutto senza tenere conto dei
codici, è un comportamento frequente nel mondo islamico. Le faccio un
esempio. In ottobre mi sono recato ad Ankara dove abbiamo una piccola
comunità con quattro gesuiti. Un confratello, un tedesco, mi ha
spiegato che la loro chiesa deve restare chiusa per la gente del luogo.
Celebrano la Messa soltanto per gli stranieri che lavorano nelle
ambasciate, dietro richiesta esplicita delle autorità. È venuto un
funzionario che ha intimato di non aprirla ai turchi. Per evitare
proteste ufficiali non rilasciano alcuna disposizione scritta, ma è una
pratica quotidiana, verbale».
Stando così le cose, qualcuno ha fatto male i suoi calcoli. Chi vuole a
tutti i costi la Turchia in Europa?
«Esistono degli interessi economici. Inoltre gli Usa spingono anche
perché la Turchia è un loro alleato militare. E qui varrebbe la pena
di ragionare sul ruolo della Nato, di cui Ankara fa parte. Questa
alleanza militare aveva un senso finché si trattava di difenderci
dall’Urss, ma se oggi pretende di proteggerci dal mondo islamico,
allora c’è qualcosa che non quadra. La Nato è intervenuta contro i
Serbi favorendo i kossovari che sono mussulmani, e in più occasioni ha
rinforzato l’islam in contrapposizione all’Est. Mi pare una politica
miope».
È una situazione poco chiara, come non è affatto limpida
l’attitudine “moderata” dei turchi. D’altra parte nel Corano,
che vale per tutti gli islamici, sono presenti molte esortazioni alla
violenza contro i “miscredenti”. Chi è il buon mussulmano, il
combattente o il moderato?
«Nel Corano c’è l’uno e l’altro. L’appello a combattere, con
tutte le minacce per infedeli e miscredenti, appartengono al periodo di
Medina, dal 622 alla morte di Maometto nel ’32, quando egli comincia a
costituire lo Stato islamico. Secondo tradizione abituale del mondo
mussulmano, proprio questi ultimi testi sono i più decisivi, in quanto
si ritiene che alla Mecca il fondatore dell’islam fosse più debole,
non potesse cioè ancora affermare pienamente il suo progetto politico.
Gli intellettuali, invece, propendono per il periodo meccano, in quanto
caratterizzato dalla rivelazione iniziale, più spirituale:
sfortunatamente questa opinione non è condivisa dalla maggioranza.
Insomma, chi è il “buon” mussulmano”? Entrambi. Non si può dire
che Bin Laden sia un cattivo mussulmano, i suoi riferimenti sono i testi
sacri di Maometto e la sua è l’interpretazioni dell’islam più
diffusa».
C’è da temere, allora, anche per l’immigrazione extracomunitaria.
Che ruolo gioca nell’espansione islamica in Europa?
«Che ci sia gente organizzata per questo progetto mi pare sicuro, non
credo però che tutti quelli che vengono in Europa lo facciano con
questo preciso intento, ma ritengo che in gran parte siano mossi da
ragioni economiche. Il vero problema, dal punto di vista del
fondamentalismo sono gli imam, formati alla dottrina più estremista in
Egitto, con finanziamenti arabi, o direttamente in Arabia Saudita. E poi
farei attenzione agli italiani convertiti all’islam, agli apostati
generalmente mossi da zelo di neofita che spesso sconfina nel fanatismo».
La minaccia, dunque, esiste. Ma laici e cattolici spesso sembrano
schierati sul fronte nemico. Come ci si potrà difendere?
«I cattolici oggi devono fare i conti con questo sentimentalismo che
sostituisce la conoscenza della nostra fede. A loro dico che non si può
mettere sullo stesso piano l’islam e il cristianesimo. Come posso
credere che Cristo è Parola incarnata e che, però, Maometto è venuto
a correggerlo? Lo posso sostenere se non sono cristiano. La nostra
religione non significa essere gentili con tutti, significa essere
coerenti. Quanto al laicismo... un conto è affermare la libertà, un
altro il libertinaggio. Se si arriva a proclamare il diritto delle
“famiglie” omosessuali, si aiuta la predicazione fondamentalista,
confermando che siamo una società degenerata da disprezzare e
distruggere. Come difenderci, allora, dall’islam? Personalmente non lo
temo, so che la mia fede è più profonda. Più in generale dico che per
difendersi occorre dimostrarci più autentici con noi stessi. Anche se
sei ateo, riprendi la tua verità storica: se hai una tradizione non
temi l’islam, se invece non sai chi sei, non hai radici e appena
soffia il vento ti porta via».
Giulio Ferrari ; fonte: La Padania ;
02/11/2004
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