Gentile lettore, inutile nasconderle che, per ragioni di spazio, ho dovuto sintetizzare la sua vivacissima lettera. Spero me ne voglia scusare, ma, capirà, la rivista ha le sue esigenze. Così, spero, non me ne vogliano gli altri fedelissimi lettori che in questi mesi ci hanno scritto a proposito di accoglienza e tolleranza e che sul tema del crocifisso nelle scuole sono tornati più volte, anche con toni piuttosto polemici. Vediamo di comprendere le ragioni che hanno portato alcuni insegnanti a fare queste scelte. Per costoro la scuola statale deve essere caratterizzata dalla laicità e non fare alcuna discriminazione, in modo che nessun allievo possa sentirsi escluso. In forza di questo principio hanno optato per una scelta che ha fatto e farà discutere. Per non parlare poi di quel preside che ha deciso di concedere un giorno di vacanza in concomitanza con l’inizio del Ramadan, allargando così il principio della tolleranza verso taluni fino a coinvolgere tutta una scolaresca. Non v’è dubbio che una scuola debba essere laica, nel senso che non deve porre discriminazioni verso nessuno, in quanto tutti hanno diritto ad accedere alla cultura. Ricchi e poveri, ragazzi dotati o meno, che abitino nei tranquilli villaggi o nelle prosperose città, tutti hanno diritto ad avere pari opportunità nell’accostarsi alla cultura. Il principio è certamente nobile. Nessuno lo mette in discussione ed è una conquista moderna che nel campo più ampio della società sancisce il diritto di tutti alla salute e l’uguaglianza dinanzi alla legge. Parlando di accesso alla cultura, però, le cose non stanno proprio così. Prendiamo, ad esempio, una delle magagne più evidenti della nostra società. Per rispettare il diritto di alcuni insegnanti, in qualche paese di montagna si fa difficoltà a trovare maestri e quelli che si trovano non sempre hanno la stessa preparazione di quelli di città. Le sembra parità di studio questa? Mi pare sia una discriminazione bella e buona, perché è sufficiente che uno nasca in una località meno attraente e subito si trova svantaggiato rispetto ad altri. Quindi, come vede, applicare il concetto di uguaglianza non è così facile. Poco male, si dirà, l’importante e che nelle scuole i docenti non compiano discriminazioni in base al sesso, al colore della pelle o alla religione. A parità di errori in un dettato, Abdul e Pierino devono prendere lo stesso voto. Ovvio. Perché una società che compie delle discriminazioni suicida se stessa. Ma il problema non è tanto il dettato, quanto piuttosto l’argomento del dettato. E qui il problema si sposta. Cosa intendiamo per cultura? Quali sono i contenuti che dobbiamo trasmettere ai nostri ragazzi sui banchi di scuola? Alcune materie sembrano più innocue, altre meno. Ma non è così. Insegnare la logica matematica che si basa su Euclide non è forse un forzare le giovani menti dei bambini, chiedendo loro di comprendere qualcosa di astratto che non è immediatamente alla loro portata? Non è forse una forma di violenza l’imporre una disciplina che non risponde appieno alla natura del bambino? Certo, è tutto vero, ma come vede, l’applicazione del concetto di tolleranza e accoglienza non può essere esteso a questi campi, perché condurrebbe allo sfacelo del sistema educativo. Quindi il senso della tolleranza deve essere inteso in un altro modo. Perché questa lunga premessa? Per il semplice motivo che la nostra cultura occidentale, non solo si basa su Euclide ma pure – piaccia o no – sulla Bibbia. Senza la conoscenza della Storia Sacra (scusate se l’ho scritta a lettere maiuscole, ma a certe cose ci tengo ancora) sono comprensibili ben poche cose della letteratura europea, dell’arte, dell’architettura, della filosofia, della storia, della geografia (persino i nomi dei villaggi in Europa hanno riferimenti ai Santi, o forse, per rispetto ai musulmani, vogliamo cambiarli tutti?) e chi più ne ha, più ne metta. Che dire della cultura tedesca che deve la formazione della propria lingua proprio grazie alla traduzione della Bibbia fatta da Lutero? O che forse gli Inglesi dovrebbero bruciare la loro bellissima traduzione della Bibbia, detta King James Version, rimasta per secoli punto di riferimento del bello scrivere? Non è forse vero che le migliori menti dei letterati si sono sempre confrontati nella traduzione del Testo Sacro e che questo ha sempre dato un notevole contributo allo sviluppo della lingua di ogni cultura? Evidentemente per questi maestri
moderni, tutto ciò è spazzatura. Allora, annulliamo Dante, Petrarca,
Boccaccio, distruggiamo le cattedrali gotiche, incendiamo le
pinacoteche, polverizziamo le biblioteche ed annulliamo, in nome di una
laicità sfrenata, ogni riferimento al religioso ed in particolare alla
fede cattolica. E sì, perché questo è il vero punto del contendere:
la fede cattolica. In Italia, in certi ambienti, c’è una specie di
complesso anticattolico. Si ha paura delle proprie origini e della
propria identità, solo perché puzza troppo di incenso. Ma questi
complessi denunciano solo un infantilismo culturale che rasenta il
ridicolo e che non porta da nessuna parte, perché come dice un
proverbio indiano chi non sa da dove viene non sa neppure dove va. Come ben vede, signor Lorenzo, accoglienza e tolleranza non possono fare a meno della cultura, ma chi rinuncia alla propria ha già mancato di rispetto verso se stesso. Bene ha detto lo scrittore islamico Younis Tawfik: “Agire con eccesso di buonismo potrebbe causare odio e rancore”. Infatti, come posso dialogare se rinuncio a ciò che devo dire? Cordiali saluti a lei e a tutta la sua famiglia. Giuseppe Pelizza SDB (Salesiani di Don Bosco) Fonte: rivista "Maria Ausiliatrice" , Gennaio 2002 |