PICCOLA STORIA DELLE PREGHIERE Se,
stuzzicati dalla curiosità e dalla voglia di approfondire le nostre
conoscenze riguardo a tutto ciò che caratterizza lo spirito liturgico
andiamo a consultare qualche buon trattato inerente l’argomento, ci
accorgiamo immediatamente dell’enorme patrimonio – culturale e
spirituale – che la Santa Madre Chiesa ha custodito e mantenuto intatto
attraverso i secoli sino ai nostri giorni. Ci si rende conto, inoltre, di
quante delle preghiere che siamo abituati a recitare, sia personalmente
che in comune, abbiano una loro storia, un loro autore, una loro logica
collocazione all’interno delle celebrazioni liturgiche. E’
interessante andare a ritrovare l’origine di ciò che oggi tutti noi
diamo un po’ per scontato; certo è sempre bello recitare col cuore
un’ Ave Maria oppure invocare
lo Spirito Santo attraverso la stupenda Sequenza di Pentecoste. Ma è
altrettanto bello sapere come queste preghiere universali sono nate, in
che epoca si sono sviluppate e per mano di chi.
L’ “Ave Maria” L’ Ave Maria, chiamata anche Salutazione
Angelica, consta di tre parti ben distinte: la prima parte riguarda il
saluto dell’Angelo così come lo riporta il Vangelo di Luca capitolo 1
versetto 28: “Ti saluto, o piena
di grazia il Signore è con te” . Troviamo poi l’esclamazione di Santa Elisabetta: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” sempre in Luca capitolo 1 versetto 42. La
restante parte della preghiera, chiamata petizione, sembra sia stata
adottata per la prima volta dall’Ordine dei Mercedari nel 1514 che, nel
loro Breviario, inserirono la restante parte della Salutazione
che tutti noi conosciamo: “Santa
Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della
nostra morte”. L’aggiunta del nome di Gesù come completamento
dell’esclamazione di Santa Elisabetta (“benedetto
il frutto del tuo seno [Gesù]”) viene di solito attribuita al papa
Urbano II anche se non esistono certezze storiche a riguardo.
Il “Gloria al Padre”
Un’altra preghiera, recitata alla fine di ogni salmo che compone il Salterio, è il Gloria al Padre. In questo caso, è opportuno parlare di una dossologia ossia di una formula di lode e di glorificazione di Dio. Non si hanno notizie certe sull’origine del Gloria Patri; alcuni studiosi pensano che questa dossologia sia stata inserita da Sant’Ignazio durante il Concilio di Nicea del 325; altri ne attribuiscono la paternità a S. Atanasio o a Flaviano, capo del partito ortodosso di Antiochia. Ad ogni modo, come osserva uno studioso contemporaneo, è inutile precisarne l’autore, se si considera che il Gloria è un semplice sviluppo dossologico della formula battesimale trinitaria. Di certo si sa che la clausola “come era nel principio” è un’aggiunta posteriore, propria delle sole chiese occidentali, esclusa la Spagna, quantunque il concilio di Vaison (529) che per primo ce la fa conoscere, affermi che era stata introdotta, anche in oriente, come protesta contro l’Arianesimo. Il
Gloria Patri era la giaculatoria
preferita di san Gerolamo, che la invio a papa Damaso; questi volle che si
recitasse nel Breviario alla fine di ogni salmo. È impossibile al
sacerdote riflettere su ogni versetto che pronuncia nell'ufficio. Cercare
di ritrovare se stesso, o meglio la santissima Trinità in ogni Gloria, è
quindi una pratica facile e devota!
“Gloria a Dio nell’alto dei cieli”
Anche il “Gloria in excelsis Deo” fa parte delle dossologie e viene anche chiamato Doxologia major (o Hymnus Angelicus) per distinguerlo dal Gloria Patri denominato Doxologia minor. Sembra
che il testo originario compaia per la prima volta intorno al 380 nel VII
Libro delle Costituzioni Apostoliche e, successivamente, nell’appendice
del Codice Alessandrino della Bibbia (V secolo). Tra le due redazioni
esistono delle differenze e sembra che forma adottata dal Codice
Alessandrino sia quella che recitiamo ogni domenica in Chiesa.
“Veni, Sancte Spiritus”
La “Sequenza Aurea”, meglio conosciuta come “Sequenza allo Spirito Santo”, sembra sia stata composta da Stefano di Langhton arcivescovo di Canterbury († 1228) anche se alcuni autorevoli studiosi attribuiscono questa prosa a Lotario dei Conti di Segni che salirà al soglio pontificio nel 1198 col nome di Innocenzo III. L’inno
dei vespri Veni, Creator Spiritus,
fra i più belli del Breviario e già attribuito a Rabano Mauro, abate di
Fulda († 856), appartiene in realtà ad un poeta sconosciuto del suo
tempo.
Il Rosario
Nell’uso
extraliturgico la Salutazione
Angelica (o Ave Maria)
ha larghissima diffusione in quella pia pratica, tanto cara al popolo
cristiano, il Rosario. Le origini di questa devozione sono oscure. Finora,
in base ad una tradizione assai tardiva, se ne faceva autore San Domenico
(1170-1221); ma gli studi più recenti hanno definitivamente dimostrato
che il Rosario risale ad un’epoca notevolmente più antica e si è
sviluppato lentamente senza un suo diretto o indiretto intervento. Quanto
poi al richiamo ed alla meditazione dei cosiddetti “misteri” durante
la recita delle 150 Ave Maria, alcune ricerche hanno dimostrato che essa
originò dapprima da un certosino di Treviri, il Padre Domenico Prutenus
intorno al 1410. Fu parimenti un altro monaco certosino, Enrico Egher, che
introdusse l’uso di intercalare un Pater
noster ad ogni decina di Ave Maria.
L’Angelus
Il pio saluto alla Vergine, chiamato d’ordinario Angelus, fu introdotto dalla Chiesa in epoche diverse. Il più antico, quello della sera, trova la sua prima sicura attestazione in un decreto del Capitolo generale dei Francescani, tenuto a Pisa nel 1263 sotto la presidenza di San Bonaventura. L’Angelus
di mezzogiorno si suppone che abbia origine da quella preghiera (tre Pater e tre Ave) che papa
Callisto III, nel 1456, ingiunse a tutta la cristianità di recitare ogni
giorno al suono della campana, fra Nona e Vespro, per ottenere la pace
della Chiesa contro la minacciata invasione dei Turchi. La pratica di
sostituire nel tempo pasquale l’antifona Regina
coeli ai versetti dell’Angelus, non è anteriore alla metà del
secolo XVIII; fu suggerita da un’istituzione di Benedetto XIV del 1743. LE ANTIFONE MARIANELe
Quattro antifone mariane che nella recita pubblica vengono prescritte, a
seconda del tempo, dopo ogni singola Ora e, nella privata, dopo le Lodi e
Compieta, non sono delle antifone propriamente dette perché, attualmente
almeno, indipendenti da ogni salmo o versetto salmodico; debbono piuttosto
considerarsi come quattro devoti canti offerti dalla Chiesa alla Madre di
Dio. Le ammisero i Francescani nel Capitolo di Metz del 1249 e le
diffusero con il loro Breviario. Regina CoeliAttribuita
a Gregorio V († 999), è indicata nell’Antifonario di S. Pietro (XII
secolo), come antifona “ad
Magnificat” dell’ottava di Pasqua ed è l’adattamento di un inno
natalizio in rima di quel tempo. Durando la fa rimontare al tempo di S.
Gregorio Magno, il quale avrebbe aggiunto l’invocazione “Ora
pro nobis, Deum”. Ma il racconto dell’angelo, apparso a S.
Gregorio sul mausoleo di Adriano, e quello del canto degli Angeli al ponte
S. Angelo, non sono anteriori alla Leggenda
aurea del Beato Giacomo da Varazze († 1284). E’ cantata al tempo
pasquale in sostituzione dell’Angelus Domini a seguito di un rescritto
di Benedetto XIV del 1743.
Salve
Regina E’
la più celebre delle quattro antifone mariane, e quella che godette nel
medioevo e gode tuttora d’una larga popolarità tra i fedeli. Circa
l’autore di questo delicato canto mariano, gli storici misero avanti tre
nomi: l’abate cistercense San Bernardo di Chiaravalle († 1153),
Ademaro di Puy, Ermanno Contratto. Alcuni studiosi, che hanno studiato a
fondo la questione, ritengono di poter fondamentalmente puntare su San
Bernardo, pur ripudiando la pia leggenda di un’ispirazione angelica
mentre il santo entrava nella Cattedrale di Spira. Alma Redemptoris MaterNe
è sconosciuto l’autore. Si incontra dapprima in un Codice del XII
secolo, come antifona per l’Ora di Sesta nella festa dell’Assunzione.
Si recita dalla prima Domenica di Avvento alla festa della Purificazione
(2 febbraio). Ave Regina CoelorumEra in origine l’antifona “ad nonam” di un Ufficio in rima per la festa dell’Assunta, composto fra il X e il XII secolo. Il termine “vale” del testo lo indica visibilmente. Si recita in Quaresima.
L’Inno
Acátisto (Akathistos) Fonte: Felice di Giandomenico |