La
Sacra Famiglia in terra straniera
(Mt
2,13-15) Quando
i re Magi lasciarono la Sacra Famiglia, per far ritorno alla loro terra,
Maria e Giuseppe li seguirono con lo sguardo ringraziando il Signore di
tutte le meraviglie che essi vedevano compiersi sotto i loro occhi. Attesero sull’uscio sino a quando non li videro scomparire nelle tenebre. Era notte. I re Magi erano stati avvertiti in sogno di non tornare da re Erode e decisero, facendo un percorso diverso dall’andata, di partire col buio per evitare di essere scoperti dalle sue guardie. Quegli uomini, i re Magi, avevano lasciato i loro doni al Re dei re; doni che, questo non avrebbero mai potuto immaginarlo, presto sarebbero serviti alla sopravvivenza stessa di Gesù. “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:”Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe
si desta all’improvviso. Accanto a lui scorge Maria che dorme serena,
più in là, nella piccola culla, Gesù. Si rende conto di aver sognato
ma comprende che quello non era un sogno come gli altri. Ecco
Giuseppe nella sua più vera umanità. Il padre putativo di Gesù, il
custode della Sacra Famiglia, che deve affrontare una delle prove più
dure della sua vita. Egli ha ancora nella testa le parole dell’angelo,
mentre tenta di calmare il respiro affannato e si asciuga la fronte
madida di sudore. “Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in
Egitto…”. All’improvviso comprende, le idee divengono più
chiare sul da farsi. Cerca di fare mente locale alle sue poche cose,
deve affrettarsi a preparare l’occorrente per un viaggio sino in
Egitto. Subito, senza indugiare un solo attimo. L’angelo non gli ha
detto “Domani”, l’angelo è stato categorico. “Alzati, prendi
il bambino e sua madre e fuggi in Egitto…”. Giuseppe ha questa
frase incisa nel profondo della sua anima e tutti i pensieri sono
rivolti a Maria che ancora dorme nel suo sonno tranquillo. Giuseppe
si rende conto che se il loro viaggio da Nazareth a Betlemme era stato
difficoltoso, per le condizioni di Maria, questo viaggio sino
all’Egitto sarà addirittura critico. Egli pensa al bambino…che ha
bisogno di tutto. Mentre non hanno quasi niente e la loro stessa
sopravvivenza dipende dal suo umile lavoro di falegname. Poi pensa
all’Egitto: una terra straniera dove non hanno nessuno e dove chissà
chi e cosa troveranno. Per quanto tempo? L’angelo gli aveva detto: “
e resta là finché non ti avvertirò”. Giuseppe
si alza e guarda il bambino ed improvvisamente pensa al resto della
frase : “ perché Erode sta
cercando il bambino per ucciderlo”. Osserva
Gesù dormire nella culla, quella culla che lui aveva costruito con le
sue stesse mani, ed un brivido gli attraversa la schiena. Gesù è in
pericolo: il re lo vuole uccidere. Giuseppe non riesce a comprendere
come si possa volere la morte di quel piccolo che dorme beatamente e
decide, addolorato ma deciso, di svegliare Maria. Si
avvicina a Maria e sfiorandola la sveglia. Attende solo un attimo che si
desti completamente e poi gli racconta l’accaduto. Maria
comprende che non devono esitare un solo istante e che la vita del
bambino dipende
unicamente da loro. In
pochi istanti si preparano per il lungo viaggio portandosi via lo
stretto necessario alle necessità più urgenti confidando nel Signore
e…nei doni dei re Magi; che ora si erano rivelati provvidenziali per
affrontare, almeno nei primi tempi, le difficoltà che si sarebbero
certamente presentate. L’evangelista descrive così questa fuga:”Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto…”. Non
bastava la povertà, non bastavano le umiliazioni quotidiane, non
bastavano le tante avversità ora avrebbero dovuto assaporare anche
quest’altro succulento piatto: andare a vivere in una terra straniera.
Quella notte fuggirono lasciandosi alle spalle Betlemme e le loro poche
certezze andando incontro all’ignoto. Da quella notte Maria e Giuseppe
attesero che l’angelo del Signore tornasse a comunicare loro la
notizia che il tremendo re Erode era finalmente morto. Così avrebbero
potuto finalmente riprendere la strada di casa e rivedere le persone
care che avevano lasciato senza neanche poterle avvertire. Matteo
prosegue: “…dove rimase sino alla morte di Erode, perché si
adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Dall’Egitto ho
chiamato il mio figlio”, finendo così il suo racconto della fuga.
Quasi che volesse farci riflettere su tutto quello che egli non ha
voluto, volontariamente, narrarci; ed è proprio quello che faremo. Ho
pensato all’Egitto. Perché il Signore gli ordina di fuggire proprio
in quel paese? Avrebbero trovato tranquillità, lavoro facile, una casa,
onori e gloria? Assolutamente no. L’unico plausibile motivo è che
l’Egitto era fuori dell’immediata portata di Erode; inoltre Gesù
era troppo piccolo per sopportare un viaggio ancora più lungo di
quello. Ma fuori della portata non significa che era al di fuori
dell’influenza romana. Anche l’Egitto era dominato dal grande impero
d’oltremare; basti pensare ad Alessandria d’Egitto, una delle città
più fiorenti e nota come importante porto strategico romano. Quindi per
la Sacra Famiglia andare ad abitare in Egitto non significava lasciarsi
alle spalle l’incubo di Erode, ma solo allontanarsi dalla Giudea
seguendo i consigli angelici. Per il resto era un continuo guardarsi le
spalle da tutto e da tutti. L’impero
romano divenne importante e, soprattutto, dominante nel bacino
mediterraneo per la capillarità delle sue truppe. Vi erano avamposti
romani in ogni luogo conquistato, magari anche in piccole unità, ma
costantemente presenti. Questo faceva sì che ogni minimo segnale di
insurrezione venisse in tempi rapidi sedato, chiamando gli opportuni
rinforzi; contemporaneamente la loro presenza sul territorio serviva a
Roma per amministrare le terre sottomesse ed esigere le relative tasse.
Tutto l’Impero Romano era quindi perfettamente controllato dai vari
governatori e subalterni e l’Egitto non faceva eccezione. Cosa
fece re Erode quando si accorse di essere stato giocato dai Magi? Si
dimenticò dell’accaduto lasciando stare la faccenda? Sappiamo,
purtroppo, che non fu così. La prima cosa che fece, la più terribile
che si potesse immaginare, fu di far uccidere tutti i bambini dai due
anni in giù di Betlemme. Parliamo della famosa strage degli innocenti.
Ma questo tragico e crudele avvenimento ci deve indurre a comprendere
meglio questo personaggio che, per un istante, ha sfiorato il periodo
spazio-temporale della vita di Gesù. Re
Erode era un uomo accecato dal potere, perfido ed avido. La strage
compiuta per suo ordine fu, oltre che uno sfogo nei confronti
dell’inganno dei Magi, anche l’estrema carta da giocare per
eliminare quel bambino che doveva rappresentare, per il popolo, il
futuro Messia. Un uomo capace di tanto avrebbe poi potuto fermare la sua
ira? Assolutamente no. Erode era un re crudele ma non era sicuramente
sciocco. Anche dopo quella strage non aveva nessuna certezza che il
bambino fosse morto. Questo perché i suoi soldati non avevano,
ovviamente, potuto trovare i genitori del bambino. Essi erano entrati in
ogni casa ed ucciso tutti i bambini al di sotto dei due anni
indiscriminatamente, ma non avevano trovato traccia dei genitori. Perché
questa sicurezza nell’affermare tutto ciò? Perché ognuno di quei
bambini trucidati avrà avuto dei genitori che, disperati, avranno
tentato in tutti i modi di evitare l’uccisione dei propri figli e
nessuno di loro aveva accennato minimamente al fatto che stessero per
uccidere il futuro Messia. Difficilmente i veri genitori non lo
avrebbero urlato ai carnefici, in un momento così tragico, decidendo
insieme, di comune accordo, di tacere. Inoltre proprio il racconto
dell’evangelista riguardo quella strage (Mt
2,16-18) è preciso nella sua
durezza: “…s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di
Betlemme e del suo territorio…”. Questo
racconto è stato ovviamente scritto a posteriori dall’evangelista
Matteo; egli indica ciò che accadde, secondo le sue conoscenze
indirette, colte dallo stesso Gesù e da Maria, dell’accaduto. Non
poteva certo sapere quali erano stati gli effettivi ordini di Erode ai
suoi soldati, ma poteva sapere ciò che essi avevano compiuto
attribuendone giustamente la responsabilità al re. Per Matteo tutto il
resto non era prioritario, infatti non scrive altro su Erode, rispetto
al principale motivo della scrittura evangelica che era la descrizione
della figura di Gesù. Mi
sembra chiaro: i soldati perlustrano casa per casa e, non avendo nessuna
certezza di aver ancora ucciso il bambino che cercavano, proseguono
rastrellando in maniera precisa e sistematica ogni piazza, strada e
vicolo. Poi finito di setacciare Betlemme proseguono fuori del paese
nelle contrade vicine. Se
i soldati romani avessero avuto la certezza di aver trovato il bambino e
di averlo definitivamente ucciso avrebbero continuato quel macello di
anime innocenti? Credo che, almeno, avrebbero mandato qualcuno ad
avvisare re Erode del felice esito della loro missione ed,
eventualmente, se avrebbero dovuto proseguire lo stesso nella loro
azione. Ma questo non accadde. I soldati proseguono imperterriti nella
carneficina e man mano che avanzano, rendendosi conto di non aver ancora
ucciso il bambino che volevano, iniziano anche ad aver paura
dell’esito negativo della loro missione. Per un soldato la cosa
peggiore è quella di tornare senza aver portato a termine il lavoro a
lui affidatogli. Per un soldato romano, sotto re Erode, questo terrore
di fallire era centuplicato. Nessuno voleva perdere la faccia e,
soprattutto, la vita. Un’obiezione
che si potrebbe fare a questo ragionamento potrebbe essere questa: al re
non conveniva rivelare niente ai suoi soldati, riguardo alle profezie
sul Messia, per evitare dei problemi maggiori e delle eventuali
ritorsioni future. Ma se si
fosse comportato così, tacendo completamente sull’identità del
bambino, come avrebbe potuto sapere che era effettivamente morto? Doveva
per forza avvisare qualcuno di tutta la situazione per avere poi la
certezza di quella morte che tanto agognava e che lo faceva tremare di
paura al solo fugace pensiero di perdere il proprio potere.
Probabilmente i soldati semplici non conoscevano la vera ragione di quel
comando, ma non doveva essere così per i più alti in grado coinvolti
nell’operazione. Erode stava giocandosi tutte le sue future carte con
quel suo gesto. Si comprende che un atto del genere è un gesto
disperato frutto dell’impossibilità di agire diversamente. Egli si
rende perfettamente conto che agendo in quella maniera avrebbe potuto
scatenare violente insurrezioni popolari. Uccidere tutti quei bambini,
così senza motivo, avrebbe potuto avere conseguenze inaspettate. Non
era come bere un bicchiere d'acqua. Certamente non avrebbe potuto
passare casa per casa annunciando che lo faceva per uccidere il
probabile futuro Messia tanto atteso dal popolo. Sarebbe stato come
scavarsi la fossa con le proprie mani. Il
suo unico scopo consisteva nell'eliminare Gesù in modo veloce, facendo
meno "rumore" possibile. La strategia classica adottata da
ogni dittatore in ogni luogo ed in ogni tempo. Anche il re più spietato
cerca di esserlo senza attirare troppo l’attenzione su di sé. Tutto
il resto andava contro la sua persona e la sua popolarità. La decisa e
letale avanzata dei soldati, prima in Betlemme e poi nel circondario, fa
pensare proprio questo: non avevano trovato il bambino giusto e
continuavano secondo le precise disposizioni del re. Tutto è una corsa contro il tempo. I soldati, nonostante siano chiaramente armati, si affrettano nel loro lavoro per paura di reazioni violente da parte degli abitanti del paese. Non si può pensare che uccidere impunemente dei bambini inermi, solo perché chi lo fa ha il dominio sulla regione, non porti a gesti di estrema difesa da parte dei legittimi genitori. Il momento è cruciale e da ogni parte si sentono urla e lamenti. Sono momenti di terrore per tutti, nonostante i soldati siano passati all’azione all’improvviso per cogliere di sorpresa l’intero paese. Quella
fu una notte tremenda: per i soldati che erano costretti a compiere quel
gesto perché comandati; per il paese di Betlemme che dovette piangere i
suoi figli innocenti; per Erode che attendeva ansioso che qualcuno gli
portasse la buona notizia, per lui, dell’avvenuta morte di quel
preciso bambino; per Maria, Giuseppe e Gesù che fuggivano da tutto
quell’orrore verso una terra straniera. A questo punto sappiamo che la precisa relazione dei soldati, al ritorno da Erode, fu che avevano effettivamente ucciso tutti i bambini sotto i due anni di Betlemme e dintorni. Avevano così compiuto la loro missione. Ma
alla domanda che re Erode pose loro, riguardo al fatto se fossero sicuri
o meno di aver ucciso anche quel bambino, la risposta non poté
che essere negativa. Infatti non potevano essere sicuri. Nulla poteva
far loro supporre di aver eliminato anche il bambino indicato dal re. Il
re comprese che quel gesto era stato inutile. Probabilmente pensò alla
possibilità che avessero potuto fuggire in tempo dalla sua trappola
letale. Le sue conoscenze e la sua posizione di re lo ponevano in grado
di poter inviare emissari, spioni ed informatori a cercare notizie
dell’eventuale fuga di una coppia di genitori con un bambino. Anche
Erode avrà incluso, tra i possibili luoghi di una probabile fuga, il
vicino paese d'Egitto. Così
ritorna prepotentemente, ma sicuramente più chiara, la domanda posta
all’inizio di questa lunga digressione sui probabili atteggiamenti
tenuti da Erode: Maria, Giuseppe e Gesù avrebbero trovato in Egitto
tranquillità, lavoro facile, una casa, onori e gloria? Ora
conosciamo la risposta. Del periodo trascorso in Egitto nient’altro è narrato. Non vi è bisogno di parole quando l’evidenza della situazione, in cui la Sacra Famiglia si trovava, parla da sola: paura, solitudine, sacrifici, lontananza, stanchezza, precarietà, estraneità, sofferenza, rinunce e tanta, tanta preghiera.
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