La vita semplice della Sacra Famiglia (4,39)

 Dopo che Maria ed il suo sposo Giuseppe ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno alla piccola cittadina di Nazareth. L’evangelista descrive questo periodo affermando che il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.                      

Null’altro. Come se avesse volutamente omesso l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di Gesù. Infatti, l’episodio successivo narrato da Luca, riguarda Gesù all’età di dodici anni. Per dodici anni di Gesù, e chiaramente anche di Maria e di Giuseppe, non sappiamo niente.Ma è proprio così? Immaginare la vita che fecero non è poi così difficile….Ci troviamo in un paesino poverissimo della Palestina di duemila anni fa. Guardiamo oggi la Palestina com’è: polvere e miseria e null’altro.

Certo, oggi in quella terra vi è la guerra, un conflitto che si protrae oramai da anni, ma due millenni fa poteva essere meglio? Difficilmente. Oltretutto vi era l’impero romano che dettava legge, e sappiamo che non andavano molto per il sottile. Inoltre non esisteva nessun comfort, niente acqua corrente, niente luce elettrica, nessun mezzo di comunicazione…e tanta fame. La vita era dura. Così dura che la sua media non superava i quarant’anni se nessuno te la toglieva prima.Senza parlare delle malattie e della mancanza quasi totale di cure.L’unica cosa che effettivamente avevano era l’amore che li univa e quel segreto che custodivano gelosamente in fondo al cuore. A Nazareth nessuno sapeva che Gesù era stato concepito grazie ad un parto “fuori della norma”. Maria e Giuseppe sicuramente non avevano nessun’intenzione di raccontarlo prima del tempo prefissato da Dio.Anzi, per meglio dire, non sapevano assolutamente cosa Dio avesse in serbo per quel Figlio, unigenito, e quindi anche per loro.

La vita per Maria scorreva tra le faccende domestiche e la cura di Gesù, una vita normale ed anonima. Giuseppe si dedicava al suo lavoro per dare sostentamento alla sua famiglia. Giuseppe, quando lavorava il legno, pensava a quel figlio che lo aspettava a casa e lo chiamava “papà”. Ogni volta questo pensiero lo faceva commuovere e non vedeva l’ora di finire il da farsi per andare ad abbracciarlo. Gesù cresceva con amore: amore di una madre premurosa ed attenta, amore di un padre affidabile, amore di Dio che vegliava sul suo unico Figlio.

Chissà quando Gesù capì chi era Lui effettivamente! Io credo molto presto. La Sapienza era in Lui con tutte le grazie dello Spirito Santo. Lui era la perfezione di tutte le virtù. Lui era le Virtù. Gesù guardava il mondo con i suoi occhi compassionevoli, umili, buoni. Egli vedeva il male attorno a lui, nelle paure stesse della gente, nell’indifferenza, nelle cattiverie, nelle prepotenze, nelle avidità e negli egoismi. Con i suoi primi passetti incerti attraversava il male così come un soffio di vento attraversa una foresta scura e cupa.

Gesù imparò presto a pregare grazie a sua madre. Maria fu la maestra di Gesù, la maestra più perfetta che mai alunno poté desiderare di avere su questa terra. Sua madre lo seguì dal primo istante di nascita ed appena poté gli insegnò quello che lei stessa sapeva sulla religione e sulle Sacre Scritture. Maestra e scolaro, Madre e Figlio, insegnante e discepolo. Molti anni dopo, gli eventi che seguirono, fecero invertire quest’ordine di cose; ma in quell’epoca Gesù era completamente assoggettato alla madre ed al padre. Egli era un bambino che cresceva pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

Dio ha voluto vedere il mondo con gli occhi di un bambino facendosi fanciullo.Si è fatto piccolo ed indifeso per sollevare gli ultimi, si è fatto misero per apprezzare e valorizzare la povertà, si è fatto mite per aiutare i deboli.Maria seguiva questo bambino con la comprensione illuminata dallo Spirito Santo che era in Lei: la donna concepita immacolata per divenire la Madre di Dio.

Ammirare la Sacra Famiglia nella loro intimità quotidiana è come dare uno sguardo al Paradiso: significa ammirare la Grazia farsi opera viva nella vita comune degli uomini.

 Una riflessione sulla Sacra Famiglia

 Io credo che molte persone, pensando alla Sacra Famiglia, vedano degli "eletti" i quali avevano dalla loro parte tutto il cielo con schiere di angeli pronti ad aiutarli e lo sguardo di Dio sempre chino su di loro. Certamente era così. Ma gli angeli potevano intervenire nella loro vita solo per informare (l'annunciazione, la fuga in Egitto, il ritorno in Israele...) e l'amorevole sguardo di Dio era pronto per accettare il sacrificio che si stava compiendo sulla terra per redimere il genere umano. Tutto il resto era fatica, paura, sudore ed angoscia sulla pelle di Giuseppe, Maria e Gesù.

 Penso a Giuseppe. Un uomo semplice, buono, che accetta di sposare una giovane ragazza quando lo Spirito Santo aveva già compiuto il suo prodigio su di Lei nello spirito...e si accennava nel corpo. Penso ai dubbi ed alle sofferenze patite da Giuseppe in quel momento, quando rivede Maria che ritorna dal viaggio compiuto per fare visita alla cugina Elisabetta e si rende conto che qualcosa è cambiato in Lei. Giuseppe che decide ugualmente di sposarla per evitare che fosse considerata adultera, con tutte le aspre conseguenze, di fronte all'intero popolo e che solo dopo il sogno dell'angelo, il quale gli racconta che cosa è accaduto, trova una spiegazione a quei fatti. Penso a Giuseppe che, da un momento all'altro, deve fuggire e recarsi con la sua famiglia in un paese straniero per salvare la vita del Figlio. Penso a quei provvidenziali regali dei Re Magi che gli permisero, almeno nei primi tempi, di sopravvivere. Penso a Giuseppe che tenta di guadagnare qualcosa facendo il falegname, penso a tutte le umiliazioni, le sofferenze, le fatiche di quest'uomo che la sera torna a casa stanco morto ma tenta di non far capire niente alla moglie perché la cosa più importante in quel momento è Gesù. Penso a Lui come padre. Penso alle tante case e grotte che hanno ospitato i suoi pensieri e le sue preghiere. Penso alle tante strade polverose che hanno percorso, penso ai deserti, alla sete ed alla fame che hanno patito; penso a quei piedi che non si fermavano mai ed a quelle mani, mani sante, sempre pronte ad offrirsi. Alla fine penso a Giuseppe che muore, una volta tornati in Israele, quando Gesù è già un giovanotto ma non ancora quel Gesù che abbiamo conosciuto noi...e che neanche Giuseppe ha conosciuto. Muore prima ancora che suo Figlio inizi la sua vita pubblica con tutte le sue conseguenze. Forse Dio non ha voluto che assistesse a quella fine orrenda, gli ha risparmiato quest’ulteriore sofferenza. Povero Giuseppe: lui è stato la Fede in persona per tutta la vita. Ha creduto sempre a tutto, in silenzio e senza neanche vedere la potenza di questo suo Figlio putativo che ha difeso a costo di tutta una vita di sacrifici. Giuseppe c’insegna che cosa significa essere un padre di famiglia. C’insegna che cosa significa sacrificarsi per essa, sacrificarsi per amore.

 Penso a Maria. Un’umile ragazza promessa sposa a Giuseppe. Penso a come Lei abbia trovato la forza di affrontare tutto il suo cammino. Dalla decisione di dire "sì" all'angelo annunciatore a quando ai piedi della croce vedeva morire suo Figlio tra tormenti indicibili. Penso ai suoi piedi che, infilati in semplici sandali, hanno percorso centinaia di chilometri tenendo Gesù fra le braccia. Penso ai suoi pensieri in quegli anni, alle sue domande ed ai suoi dubbi sul futuro. Penso a quando allattava Gesù, lo cambiava e lo educava. Penso a Lei come mamma. A Lei che cantava, nelle sere piene di luna in una terra straniera, qualche ninna nanna del suo paese; a Gesù che lentamente si addormentava tra le sue braccia ed a Giuseppe che li guardava in silenzio e lo sguardo si perdeva verso il deserto ed oltre...fino alla loro casa dove un Re voleva uccidere a tutti i costi quel Bambino e che aveva già fatto massacrare centinaia di infanti a Betlemme. Maria c’insegna cosa sia il silenzio, cosa sia la preghiera ed il sacrificio umile ma dignitoso dei poveri e dei semplici.

 

Penso a Gesù. Piccolo Bambino sulle cui spalle pesano tutti i peccati del mondo. Penso ai suoi pianti per la fame e per la sete. Penso a tutta la polvere mangiata ed alla sabbia durante i lunghi cammini nel deserto. Penso al caldo del giorno che rischiava di ucciderlo per disidratazione ad ogni istante ed al freddo che lo attanagliava nelle notti. Penso ai suoi primi pensieri durante l'infanzia. Ai suoi giochi semplici ed a quegli occhietti vispi che si soffermavano su ogni cosa. Penso a Lui come bimbo. Un qualsiasi bimbo che cerca la mamma ed il papà e li vede lì, attorno a Lui, che lo guardano e lo coccolano. Penso alle sue manine che si attaccano alla veste della mamma, nelle lunghe giornate torride, mentre Maria è affaccendata a sistemare le poche ed umili cose che si portano dietro. Penso a quel Bambino, che vede i genitori mettersi a pregare, e che da loro ha imparato tutte le cose di cui aveva bisogno per crescere e diventare un uomo adulto. Gesù c’insegna che anche Lui, il Figlio di Dio, è stato piccolo, indifeso e debole. C’insegna che la sua grandezza è stato nascere in una stalla maleodorante, viaggiare dopo pochi giorni dalla nascita per deserti e montagne e vivere dell'amore della mamma e del padre.

 Penso a loro e credo che dovremmo trascorrere qualche istante delle nostre giornate a pensarli, ogni giorno. Loro che hanno trascorso tutta la vita terrena a pensare a noi.