L'attuale
insediamento urbano, nelle sue caratteristiche
architettoniche, porta la chiara impronta delle strutture
urbanistiche medievali. A scopo difensivo Manoppello sorse su
di una collina e fu abbracciata da una cinta muraria della
quale oggi resta solo uno scorcio. Delle quattro
porte d'accesso all'antica cittadina, poste in
corrispondenza dei punti cardinali, restano, invece, tracce
evidenti. Arteria principale dell'agglomerato è il corso che
si snoda tra le due estremità del centro storico, da Piazza
San Francesco, in cui un tempo sorgeva un convento francescano
del quale non restano che preziosi ruderi, a Piazza Castello,
così denominata perché vi si ergeva il castello tanto citato
dalle fonti e famoso per l'assedio che sostenne nel 1392
contro Ladislao, e nel 1440 contro Braccio di Montone.
Il corso è arricchito dal pregio architettonico di imponenti
palazzi dalle cornici in pietra finemente lavorati, tuttora
abitati e un tempo sede dei signorotti del luogo; un tessuto
edilizio di minor valore si estende, invece, nella parte ovest
del paese - molto più sviluppata della parte est- che pare
costituisse il nucleo originario dell'insediamento longobardo,
in seguito ampliato e meglio definito nell'assetto odierno.
Un documento che ci permette di stabilire il periodo della
fondazione del paese - che dagli inizi della sua storia fu per
più di un secolo alle dipendenze del monastero di
Montecassino - è un Diploma dell'imperatore Ludovico Il
risalente all'874, anno in cui avvenne la donazione del
castello di Manoppello alla badia di San Clemente a Casauria.
E' attestato, inoltre, che la contea di Manoppello fu fondata
nel 1061 e primo conte ne fu un tale Boamondo. In seguito, più
volte depredato e saccheggiato dal conte Riccardo e dal figlio
Roberto, nel 1140 l'intero territorio della contea fu affidato
da re Ruggieri ad un altro conte Boamondo, detto di Tarsia.
Nella rassegna dei feudatari d'Abruzzo, tenutasi attorno al
1150, quella di Manoppello risultò essere la contea più
grande; il Conte aveva in
demanio anche Popoli, ottenuta direttamente dal Re, e la
badia di san Clemente a Casauria era in
comitatu Manuppelli.
Nel 1197 la contea di Manoppello venne donata dal sovrano
Federico Il ai due fratelli Maniero e Gentile di Palearia (o
Pagliara), che alcuni documenti dell'epoca definiscono
"conti di Manoppello"; in seguito, nel 1271, furono
"signori di Manoppello" Matteo e Fulcone De Plesiaco.
Nella mostra dei feudatari del 1279 Manoppello risulta
appartenere a Tommasa, ultima erede dei Pagliara; dal suo
matrimonio col conte Giordano, nacque Maria di Suliaco, che
nel 1340 sposando Napoleone Il de
flliis Ursi, consegnava in dote le ricche signorie della
madre alla famiglia Orsini che tanta parte ebbe nella storia
di questa cittadina.
Antica famiglia quella degli Orsini, nel XIII secolo si divise
in tre rami, tra cui quello di Napoleone che ebbe feudi in
Abruzzo e fu Conte di Manoppello con l'assenso della regina
Giovanna. Successore del Conte Napoleone fu, nel 1369, il
figlio Giovanni al quale seguì Napoleone III che non solo
ereditò i possedimenti paterni, ma fu anche autorizzato a
battere moneta nel 1383.
Oltre che agli Orsini e alla famiglia Colonna, la contea di
Manoppello, se pur per brevissimi periodi, fu appannaggio
anche dei Savoia, i quali la ricevettero in dono da Re Luigi
Il D'Angiò per ben due volte, la prima nel 1360 circa, la
seconda nel 1390. Ma già nel 1391, con il consenso del re
Ladislao, ritroviamo i possedimenti della contea in mano agli
Orsini i quali, da quella data, più volte dovettero
impegnarsi a riconquistarli per perderli definitivamente nel
1495 quando, in occasione della ritirata di Carlo VIII,
disceso alla conquista del Regno di Napoli, la nostra
cittadina, strappata a Camillo Pardo Orsini fu ceduta da re
Ferdinando prima a Bartolomeo D'Alviano e in seguito, nel
1515, a Fabrizio Colonna.
Nonostante le rivendicazioni degli Orsini, dopo la ritirata
francese, Manoppello restò per lungo tempo nelle mani della
famiglia Colonna, mentre l'ultimo Orsini, Camillo Pardo, nel
1533 si spense a Roma.
Nel frattempo un fatto nuovo, imprevisto: un pellegrino
consegna a Donat'Antonio Leonelli un velo.
A questo velo sarà per sempre legato il nome di questo
paese: VOLTO SANTO DI MANOPPELLO.
Nel
1638 i cappuccini vengono in possesso di questa reliquia.
P. Donato da Bomba, nel 1640, scrive una
"Relazione Istorica", conservata nell'archivio
provinciale di cappuccini de L'Aquila. In essa viene narrato
come il Volto Santo sia giunto a Manoppello portato da un
misterioso pellegrino, restato in casa Leonelli fino al 1608,
preso con forza da Pancrazio Petrucci, venduto a Giacom’Antonio
De Fabritiis e da questi donata ai cappuccini. (il testo
completo della “Relatione Historica è consultabile nel
sito).
Il
convento dei cappuccini viene fondato, dal 1618 al 1620,
proprio negli anni in cui Giacom'Antonio De Fabritiis faceva
porre il sacro velo tra i due vetri. La chiesa viene dedicata
a S. Michele Arcangelo. In questa chiesa viene esposto alla
venerazione del popolo il Volto Santo il 6 Aprile 1646.
Per circa quarant'anni non fu oggetto di culto pubblico, ma
custodito quasi privatamente in una nicchia a lato destro
dell'altare maggiore. Solo nel 1686 viene costruita nel lato
sinistro della chiesa una piccola cappella con un altare ove
si trasloca la sacra reliquia e viene introdotta la festa
liturgica del 6 agosto, giorno della Trasfigurazione del
Signore.
Un evento negativo porta ad un forte incremento del culto al
Volto Santo. Il 1700 inizia con un lustro di forti terremoti
che scuotono incessantemente l'Umbria, l'Abruzzo e il Sannio.
P. Bonifacio da Ascoli dal 1703 espone più volte il Volto
Santo alla pubblica venerazione. Si comincia a pensare ad una
processione che porti il sacro velo all'interno delle mura, il
che ha inizio nel 1712, la seconda domenica di Maggio.
La processione pone un problema di sicurezza. Per proteggere
meglio il sacro velo, P. Bonifacio di Ascoli nel 1703 vuol
cambiare i vetri, così pure, nel 1714, P. Antonio da
Poschiano, oltre i vetri, vuol impreziosire il tutto con una
cornice in argento. In ambedue i casi, separati i vetri,
l'immagine di Cristo svanisce, tornando a risplendere solo
quando tutto viene riportato allo stato preesistente.
Nel 1750, per evitare la coincidenza con la festa di S.
Giustino, patrono di Chieti, la processione viene posticipata
alla terza domenica di Maggio, data che resterà fino ad oggi.
Il secolo XIX è segnato dalle leggi di soppressione degli
ordini religiosi, e i frati dovranno per due volte lasciare il
convento. La prima il 6 settembre 1811; nello stesso giorno il
Volto Santo viene trasportato presso le clarisse il cui
monastero era situato all'interno delle mura. Il convento
rimane deserto, il Santuario chiuso fino al 16 maggio 1816
quando i cappuccini fanno ritorno. La domenica successiva, 19
maggio, celebrata la consueta festa, il sacro velo viene
trionfalmente riportato nel proprio Santuario. Ma il 27
dicembre 1866 una legge espelle di nuovo i frati dal cenobio;
il Volto Santo rimane all'interno del santuario chiuso. I
religiosi torneranno il 27 ottobre 1869 per rimanervi fino ad
oggi.
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