Ringraziando
Dio di un tanto dono, riavvolse l’immagine come era prima, si
rivolse poi allo sconosciuto pellegrino per ringraziarlo e
accoglierlo nella sua casa, ma non lo vide più. Spaventato,
quasi balbettando, domandò agli amici, i quali affermarono di
averlo veduto entrare con lui in chiesa, ma non averlo visto
uscire da essa. Pieno di meraviglia, lo fece diligentemente
cercare dentro e fuori di Manoppello, ma non fu possibile
rintracciano, onde tutti giudicarono quell’uomo sotto
l’aspetto di pellegrino essere un Angelo del cielo o altro
Santo del Paradiso.
Con questo fermo e vivo sentimento di un angelo mandato da Dio a
fargli tale dono, ringraziando Dio, accompagnato dai sopraddetti
amici, pieno di estrema allegrezza, tornava a casa, accorrendo
ogni sorte di gente di detta terra di Manoppello per vedere
miracolo sì bello.
Per riverire poi sì bella e santa immagine e, per quanto
possibile, rendersi grato a Dio del beneficio ricevuto, fece
subito il Dottor Giacom’Antonio aprire nella propria camera e
luogo di studio una finestra nel muro in forma di armadio con le
sue porticine e chiavi ben aggiustate e ivi la pose e tenne con
grandissima devozione e riverenza, facendovi ardere sempre di
giorno e di notte una lampada; e con tanto gran zelo, acciò non
gli fosse rubata, che mai vi faceva entrare persona alcuna,
neanche la propria moglie e i figli se non quando vi era lui; e
per meglio assicurarsene, uscendo di casa, serrava detta camera,
e portava con se sempre le chiavi di quella. Lo stesso fecero
poi i suoi eredi e discendenti per lo spazio di cent’anni e
poco più. E fu cosa notata da tutti che, conforme alla promessa
fatta dal pellegrino, o, per dir meglio, da quell’angelo del
cielo o altro Santo del Paradiso, non solamente si mantenne in
piedi quella famiglia di Leonelli conforme al suo grado, ma andò
sempre crescendo in beni di fortuna e in favori spirituali.
Accadde poi che i pronipoti di Giacom’Antonio, volendosi
dividere i beni di quello, essendovi delle controversie, un
certo soldato e uomo d’armi chiamato Pancrazio Petrucci, il
quale aveva preso per moglie una donna discendente della
famiglia Leonelli, chiamata Marzia, ancora vivente, prendendo
come pretesto i diritti della moglie, entrò violentemente in
casa Leonelli e prese la Ss. Immagine da lui tanto desiderata.
E fu notato da tutti che, uscita la SS. Immagine dalla casa
Leonelli, quella famiglia andò in rovina.
Ma più in rovina andò il Pancrazio, forse non tanto perché
l’aveva presa e con ragioni pretestuose, quanto perché non la
tenne poi con quella devozione e decoro come doveva. Presa che
l’ebbe, non la ripiegò con quella diligenza e devozione come
si doveva a una cosa tanto miracolosa e divina, ma tutta
strapazzata e malamente ripiegata se la portò nella propria
casa, ivi tenendola con tanta poca riverenza e stima. Ciò
nonostante si conservò tutta bella e intatta, benché molto
aggninzita e denigrata; cosa che dovette molto dispiacere a Dio.
Ma poiché le cose di questo mondo sono più variabili della
luna, accadde che il detto Pancrazio che aveva sottratto la Ss.
Immagine, nitrovandosi carcerato nella Regia Udienza della Città
di Chieti, bisognoso di denari, scrisse alla moglie Marzia che
vendesse o impegnasse qualsivoglia cosa di casa, in particolare
gli accennò la Ss. Immagine (diceva questo perché sapeva che
molti la desideravano), e gli mandasse denari per uscire dalle
carceri. Andò dunque la buona e semplice donna al Dottor
Donat’Antonio De Fabnitiis della medesima terra di Manoppello
(uomo non meno dotato di religiosa pietà che il sopraddetto
Giacom’Antonio Leonelli), e portandogli la Ss. Immagine lo
pregò da parte di suo marito che se la comprasse, o se la
pigliasse in pegno finché suo marito ritornasse, ponendo in sua
podestà il prezzo e la quantità di ciò che dare gli voleva;
il quale, desideroso di avere in casa sua sì grande e prezioso
tesoro, diede alla Donna quattro scudi corrispondenti a circa
lire venti correndo gli anni del Signore 1618, e prese la
Santissima Immagine senza vederla, né svolgenla. Partita poi la
donna con i quattro scudi, e, disbnigato gli affari in cui era
occupato nell’ora del contratto, tutto allegro e festoso
l’avventurato Donat’Antonio per sì bella compra, spiegò
l’Immagine la quale era nel mezzo di un velo quadrato e tutto
trasparente per la rarità della tessitura, dalla grandezza di
quattro palmi da ogni lato, trovò che il velo, per essere stato
malamente tenuto e conservato, dopo che fu pigliato dalla casa
Leonelli, era tutto stracciato, lacerato, e da tignole e tarli
mangiato, totalmente corrotto, che quasi era ridotto tutto in
polvere; e quelli pochi stracciarelli rimasti pendenti, non
aspettando esser toccati, da se stessi cadevano in terra, fuorché
la SS. Immagine, la quale sebbene era alquanto denigrata, e
molto aggrinzata, era nondimeno nel resto tutta bella, intatta,
e senza corruzione alcuna. Restò quasi attonito lo spirituale
mercante a prima vista, e non poco nincrescimento ebbe per la
perduta spesa dei quattro scudi che aveva fatto in cosa così
corrotta e mal tenuta; e postala da parte, come cosa inutile e
da niente, pensava (come se fosse stato burlato) di restituirla
a chi venduta glie l’aveva, e riavere i suoi danani.
Stando dunque in simili pensieri, vi capitò il Padre Presidente
del convento dei PP. Cappuccini, che allora si fabbricava in
detta terra di Manoppello, il P. Clemente da Castelvecchio
Sacerdote, persona molto sagace e accorta, col quale dolendosi
di sì bella mercanzia che fatto aveva, gli scoprì anche i
pensieri che aveva di restituirla, per riavere i suoi denari. Il
Padre, inteso il caso, e vista la bellezza e la qualità
dell’Immagine s’intenerì tutto di dentro, s’inginocchiò,
l’adonò, e con molta efficacia esortò Donat’Antonio a non
restituirla, che se quella persona avesse voluto più denari più
glie ne avesse dato, non trovandosi al mondo prezzo equivalente
per pagana; e che il restar la Ss. Immagine così bella e dalla
corruzione intatta era stata cosa miracolosa e particolare
provvidenza d’Iddio. Per lo cui sano e spirituale consiglio,
quietandosi il Dottore, si chiamò contento, e poco ancora gli
parse il prezzo delli quattro scudi. Onde l’istesso P.
Clemente, pigliate le forbici, tagliò via tutti quelli
stracciarelli d’intorno, e punificando molto bene la SS.
Immagine dalle polveri, tignuole e altre immondizie, la ridusse
alla fine come adesso appunto si trova.
Il sopraddetto Donat’Antonio, desideroso di godersi quella Ss.
Immagine con maggior devozione la fece stendere in un telaio di
legno, con cristalli dall’una e dall’altra parte, ornata con
certe cornicette e lavori di noce da un nostro Frate Cappuccino
chiamato Frate Remigio da Rapino (non fidandosi di altri maestri
secolari).
E qui mi occorre anche dire una cosa parimenti notata da tutti i
più giudiziosi e vecchi di Manoppello, che come andò subito in
rovina la Casa di Giacom’Antonio Leonelli, persa che ebbe la
già detta SS. Immagine, con quella di Pancrazio Petrucci, che
tolta e venduta l’aveva, cosi la casa del Dottor Donat’Antonio
De Fabnitiis che la comprò, per averla tenuta con maggior
devozione e fra le cose più care e preziose, prosperò sempre
di bene in meglio. Considerando il pietoso e zelante Dottore
Donat’Antonio che maggior decoro sarebbe stato della SS.
Immagine restarsene in qualche devota chiesa, né resistendo a
tale impulso celeste e divino (dopo aver chiuso l’orecchio
alle richieste del clero e di altri religiosi di detta terra che
con istanza la richiedevano), la diede al nostro convento dei
cappuccini, ove se ne resta con molta devozione di quel popolo e
gusto particolare di quei Padri che mai si saziano di riverinla"
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