Apparizione della Santissima Vergine

a San Giovanni da Matera

nella Grotta di San Michele Arcangelo (FG)

verso il 1120 circa

Matera, 1070 (1080) - Foggia, 1139

Di questo abate benedettino, le cui reliquie sono custodite all'interno della cattedrale di Matera, è nota in particolare la fondazione dell'abbazia di Pulsano, nel Gargano. Nato a Matera nel 1070, Giovanni si avvicinò ai monaci basiliani per poi isolarsi. Sostò a Taranto, in Calabria, Sicilia, a Bari, poi in Terra Santa, infine di nuovo in Puglia, dove, visitando la grotta di San Michele, gli apparve la Vergine che gli indicò dove far sorgere l'abbazia che oggi domina il golfo di Manfredonia. Attorno a Giovanni si raccolsero monaci ed eremiti che diedero vita ai «Pulsanesi», ispirati alla regola di Benedetto. Il santo morì a Foggia nel 1139.


La vita di San Giovanni da Matera : l'età che fu sua

Vi sono nella storia gloriosa della Chiesa età così gagliardamente attive, così fervidamente feconde di grandi geni e di eminenti personalità da indurre lo storico a riconoscere che non l'uomo ma lo Spirito Santo è il tessitore augusto della nostra tela di vita. Tramontata l'età che s'è abusivamente chiamata barbarica, e fu, dopo le grandi invasioni nordiche, età di assestamento e di rinsanguamento vitale, la Chiesa ebbe un fremito di risurrezione e di primaverile ringiovanimento, che si manifestò nel fervore artistico onde sorsero le grandi cattedrali, nelle fiere e salutari lotte del Papato contro le intrusioni del potere laico nell'intima vita dell'organismo chiesastico, nell'epopea delle Crociate e specialmente in una mirabile fioritura di Santi, che costruirono col senno e quasi con la mano, l'edificio della civiltà moderna. Basti pensare a S.Gregorio VII, a S.Bernardo, a S.Pier Damiano, a S.Romualdo, a S.Oiovan Gualberto, nel nostro mezzogiorno a S.Brunone, a S.Guglielmo, alla pleiade dei quattro Santi e otto Beati Abati di Cava e a cento altri giganti della santità, quasi tutti fondatori di Ordini e padri spirituali d'intere generazioni di Santi. Tra questi degnamente si colloca il nostro S.Giovanni.

Nascita e puerizia

Nacque verso il 1080, in Matera, un tempo nella Puglia, oggi capoluogo d'una delle due province lucane, da famiglia che l'antico biografo qualifica nobile e ricca: ricca non solo di censo, ma anche di virtù e di fervore di spirito. Perché il fanciullo, bello di viso, sveglio d'ingegno, d'indole docile alle divine ispirazioni, per tempo sperimentò la dolcezza della vita spirituale e fu incantato dalla solitudine e dalla preghiera. Piccolo ancora, cercava il silenzio, anelava alla mortificazione, aspirava all'eremo, asilo delle anime ricche e contemplative. Ma, circondato dal fasto e accarezzato dalle mollezze della vita comoda, come soddisfare questo suo ardente desiderio? Con la fuga, che a lungo andare divenne il suo sogno. Fuggire, sottrarsi alle tentazioni della mediocrità, nascondersi, morire a se stesso, per vivere in Cristo.

La fuga

Un giorno che con la famiglia era in campagna, contro il parere dei suoi, che, non conoscendo il suo proposito, volevano dargli, come conveniva a un giovine par suo, un cavallo riccamente bardato, egli tolse un umile asinello e in fervore di spirito prese la via di Taranto, dove si ritirò presso i Monaci Basiliani dell'Isola di S.Pietro, addetto alla custodia del gregge, in un incontenibile ardore di penitenza e di digiuno. Il suo digiuno dovette apparire persino a quei monaci talmente aspro ed eccessivo, che il santo giovine divenne oggetto di derisione e di sprezzo da parte di parecchi, che giunsero a negargli il necessario sostentamento. Egli cadde in malinconia, dalla quale lo trasse il Signore Gesù, che, apparendogli, lo assicurò della sua protezione, lo empì della sua dolcezza infinita, e, con l'aiuto d'un misterioso nocchiero, lo menò prima in Calabria, indi in una vasta solitudine della Sicilia.

L'eroismo della penitenza

Ivi si diede ad una mortificazione, che, se non ci fosse attestata dall'antico biografo, apparirebbe incredibile. In due anni e mezzo bevve poca acqua e visse solo d'erba e di fichi selvatici. Né meglio curò il suo corpo in quanto al sonno, perché non sulla terra anche umida fu solito riposare, ma addirittura tuffato nell'acqua fredda, sospeso a una fune attaccata a un tronco d'albero. Un genere di penitenza assolutamente eroico e degno solo dei giganti della santità, che per mezzo di quelle che noi comodamente diciamo esagerazioni dell'entusiasmo religioso, tendono all'assoggettamento completo del corpo all'esigenze dello spirito e all'integrale liberazione dell'uomo nuovo dalle strettoie e pastoie del vecchio uomo carnale. Onde il nostro Santo, da questa fiera lotta contro se stesso irrobustito e ingrandito di spirito, acquistò un potere straordinario sui dèmoni, che, come un tempo il Santo della Tebaide, Antonio il grande, lo infestavano, per atterrirlo e distoglierlo da un tal genere di vita. Fortificato e consolato da Colui che gli respirava dentro, egli li fugava, cantando l'inno della sua vittoria.

A Ginosa

Iddio intanto lo spingeva verso il campo delle apostoliche fatiche. Dopo due anni e mezzo di tremende macerazioni nei romitori di Sicilia, lo menò verso i confini della sua patria, fermandolo a Ginosa, una grossa terra della Puglia in Provincia di Taranto, nella Diocesi di Acerenza e Matera, allora soggetta al Conte Roberto figlio del feudatario Riccardo Chiaromonte. Ivi il Nostro all'astinenza in cui s'era esercitato nella solitudine siciliana aggiunse la mortificazione della lingua; e per due anni e mezzo non disse una parola. E tante, di parole soavi, ne avrebbe potuto e voluto dire ai cari genitori, che, per disegno misterioso di Dio, dovette aver vicini di casa, pur senza darsi, in tanto tempo, a conoscere. Solo una volta la nutrice lo fermò. Le impose silenzio: ella tacque. Aveva bisogno di conversare unicamente con Dio. Non poteva, non doveva distrarsi, nella mediocre dolcezza di nostre consuete relazioni, dalla fissa contemplazione dell'ideale che lo affascinava: essere di Gesù: essere nelle mani di Gesù un formidabile strumento di salvezza per migliaia d'anime. Perché, come avesse nel lungo silenzio compressa una copiosa energia di spirito pronta a sfociare in una turbinosa e improvvisa azione apostolica, il nostro Santo, forse senza volerlo, certo spinto dall'ardore della carità, che lo divorava, si lanciò nel vortice del mondo, iniziando la sua predicazione per le terre della Puglia e forse della finitima Calabria. E con la predicazione iniziò l'opera che l'avrebbe reso immortale, la fondazione della Congregazione religiosa, che, nel suo pensiero, avrebbe dato carattere di stabilità al suo insegnamento.

La mirabile visione

Veramente a iniziar l'opera fu indotto dall'apostolo S.Pietro, che, apparendogli in visione, gli ordinò di restaurare la chiesa a lui dedicata, a un miglio da Ginosa, e di provvedere vi si celebrassero dì e notte i divini misteri. Il Santo, obbediente, vi si reca e pon mano alla costruzione del monastero. Ma ecco, mancano le pietre e la calce necessarie a finir l'edificio. Illuminato dall'alto, indica ai suoi un posto ove se ne sarebbero trovate in abbondanza. Fu così che l'edificio sorse. Il popolo gridò al miracolo. Accanto al tempio dell'Apostolo s'iniziò la celebrazione perpetua delle divine lodi, non senza un fiero rodimento di Satana, che contro il santo Abate destò l'ira di uomini perversi e i sospetti del Conte Roberto, un tirannello non eccessivamente tenero dei monaci e delle persone chiesastiche. Costui aveva sentito parlare delle pietre del miracolo. — Un tesoro — pensò — ha trovato questo monaco. — E il nostro Santo, chiuso in buia prigione, è tormentato aspramente, nella vana speranza che riveli all'avido feudatario i tesori ritrovati. L'Apostolo nella prima visione glielo aveva annunziato : — Fatti animo, o figlio, che molte fiere lotte hai da sostenere per Cristo. — Infatti la lotta è aspra e fiera. Ma egli ne esce vittorioso; perché un giorno si vide cader le catene che lo avvincevano e aperte avanti a sé le porte custodite; passò fra i soldati, inosservato e si diresse verso Capua, ove intese esser volontà di Dio il suo ritorno nella Puglia. Sicché, dopo aver rivisto il suo amico Guglielmo da Vercelli che, secondo l'anonimo scrittore della vita del Fondatore dei Virginiani, l'aveva già visitato a Ginosa e che ora s'era ridotto sul monte Laceno, tornò nella Puglia e si fermò in Bari.

Il secondo apostolato

Fermiamoci un momento. Quello che ho rapidamente narrato non è che la rivelazione dell'esterna operosità di questo insonne spirito fierissimo. Ma opportuno mi pare un fuggevole sguardo al fervore interno onde tanta operosità sgorga vivace e impetuosa. Un fervore di amore nutrito di mortificazione e di silenzio; fecondato dalla contemplazione e reso gagliardo dall'estasi e dal rapimento mistico. Perché difficile è analizzare la ricchezza di vita spirituale acquistata dal Santo e intensificata in più anni di duro governo di sé, che gli aveva affinate tutte le facoltà di spirito nel contatto beatificante con Dio, sorgente d'ogni forza. Onde il primo apostolato e la fondazione della Congregazione non sono che fievole espressione del suo ardore, grido del suo infaticabile anelito di perfezione: anelito reso più potente e vigoroso dall'improvvisa persecuzione, che, per anime salde e persuase, è come il vento alla fiamma: alimento. Si spiega così l'ardenza del suo secondo periodo apostolico cui fu teatro l'agitata e fervida città di Bari, allora nel suo fiore, nel periodo cioè in cui sorgono la mirabile cattedrale e il tempio di S.Nicola e si svolge il gran fatto storico del Concilio, presieduto da Urbano II e ornato dalla fine eloquenza del grande Anselmo, tenuto nella cripta del tempio nicolaiano. Epoca e giorni agitati e sconvolti da fiamme d'eroismi e da turbini di passioni indomite. Contro le passioni il nostro Santo si scaglia con l'irruenza che gli è propria. Ma non impunemente si calpesta la verminaia del vizio e del peccato. I viziosi, i superbi, gli avari se ne risentirono e l'accusarono di eresia. Era lì lì per finire sul rogo, quando il capo della città, Grimoaldo Alfaranite, che forse l'aveva udito a predicare e lo stimava, lo fece esaminar dai suoi magistrati e, riconosciutolo tutto apostolico, lo rimandò libero. In questo periodo agitato della sua vita comincia a chiaramente rivelarsi il suo potere taumaturgico. Nel trambusto dell'accennata persecuzione, un Cancelliere molto suo amico mentre un giorno era tutto in difenderlo e magnificarne la virtù, udì che una sua nipote era agli estremi. Il poveretto ne tramortì e accorse, seguito dal Santo. La fanciulla era più di là che di qua. Giovanni non si sgomentò: fidando in Dio, fece uscir tutti dalla stanza e si mise a pregare con quel suo cuore fervido e appassionato. Dopo mezz'ora la fanciulla rinvenne e chiese da mangiare. La fama del miracolo andò per la città. Tuttavia Dio lo volle provare con la persecuzione da cui uscì vittorioso. Ond'egli gioioso di aver patito qualcosa pel suo Gesù, dopo aver visitati e confermati nel bene e confortati alla regolare osservanza i suoi monaci di Ginosa, che ancor tenevano viva la fiamma da lui accesa presso il tempio dell'Apostolo, si ritirò sul monte Gargano, nel celebre Santuario di S.Michele.

Sul Gargano

Perché non restò a Ginosa? Così dolce sarebbe stato, dopo la fosca parentesi, tornare a cantar le lodi di Dio nel povero caldo nido, ove s'era primamente manifestata la sua vocazione di cenobiarca e dove la volontà dell'Apostolo l'aveva fermato. Ma no. Egli sentiva il pungolo misterioso, che lo spingeva per vie strane, aspre e difficili. Né, d'altra parte, s'eran placate le ire del Conte Roberto, che certamente lo cercava, a sfogo di sua ira bestiale. Onde il Santo, confortati ch'ebbe i suoi, si diresse verso il Gargano e si fermò presso il Santuario sacro all'Arcangelo S.Michele e caro alla pietà cattolica del medioevo. E appena ivi giunto fu glorificato dal suo Signore con lo splendore del miracolo. Perché da molto tempo il gran Tavoliere era arso e attendeva il refrigerio dell'acqua. S'era pregato e supplicato indarno; e il raccolto languiva ed era per perdersi, quando il popolo ricorse al nuovo pellegrino, che vedeva in continua preghiera nel Santuario. Questi, già illuminato da Dio, riunisce il popolo e gli rivela che la siccità vien dal peccato d'un indegno sacerdote. Il popolo va su tutte le furie e cerca il peccatore. Ma il Santo lo placa e promette che il Signore concederà la sospirata pioggia se il colpevole si pentirà. Questi, pur non nominato, nella parola del Santo udì il grido della divina minaccia, si convertì e uscì dalla città. La pioggia venne giù abbondante e benefica, a gioia del buon popolo, che corse per onorare e ringraziare il Taumaturgo; il quale invece a tali dimostrazioni d'affetto si sottrasse, non senza avergli confusamente annunziato che molte anime, nei dieci anni che gli restavano di vita, avrebbe adunate per la gloria di Dio.

La seconda fondazione

Il santo Penitente non sa ancora con chiarezza dove Dio lo chiami. Sa che molte anime ha da riunire pel divino servizio. Ma dove? Come? Non sa. E un giorno, all'ora del Mattutino, presente il popolo, ha una visione. Vede una Matrona veneranda, la Vergine, che gl'indica la via del suo nuovo Santuario. S.Michele ve lo spinge energicamente. Egli si arrende ai divini segni e va in un'alpestre valle solitaria detta di Pulsano, ove in parte costruisce in parte ripara un monastero, che rapidamente si popola di eremiti biancovestiti accorsi da tutta la Puglia e dalle finitime regioni a mettersi sotto l'ubbidienza del novello dolce e forte pastore d'anime. Il quale, per una strana virtù di divinazione, e una profondità e rapidità d'intuito eccezionali, legge nelle anime, le scruta e, riconosciutele atte all'osservanza regolare, le accetta e le ascrive senz'altro alla Congregazione, che in tal modo cresce e gioiosamente sciama per tutta la Puglia e la Lucania, e si propaga nel Lazio e nella Toscana. Un fenomeno di propagazione non inconsueto in quei tempi, qui dovuto alla fama di santità che circonda il dolce Padre e al fervore che la santità del Padre suscita nei figli. Perché si vedono fanciulli soavi abbandonare e dimenticare le dolcezze della casa e chiedere impazienti l'abito della penitenza e della povertà severa, beati del sorriso del Santo, della sua carezza, della sua compagnia. «Lasciate che i piccoli vengano a me». La cara parola evangelica doveva aleggiare di continuo sulle labbra e tremare in cuore al Padre santo, che, a vedersi crescere intorno la dolce famiglia, doveva gioirne d'intima profondissima gioia e volgersi con impeto di più fervido amore al caro Gesù, che di tanto lo donava. Onde un accendersi di maggiore devozione nel suo cuore e un più fervido divampare del suo fuoco d'amore, come appar manifesto dal fulgore del miracolo, che d'un tratto lo rivela amico di Dio e in continuo commercio d'intimità con Lui.

Il Taumaturgo

Perché il miracolo è, sì, un dono gratuito di Dio, ma è anche la rivelazione della santità e della perfezione cui l'anima è faticosamente pervenuta. S.Giovanni in questo estremo e fecondissimo decennio di sua vita splende d'una strana virtù di miracolo, perché sale nel possesso e nella intimità del suo Dio, o meglio, si profonda nella luce della divinità, per mezzo della penitenza e della preghiera. A dare un' idea della sua potenza taumaturgica, trascegliamo alcuni dei miracoli che ci ha tramandati la pietà dei suoi figli.

Il fanciullo risanato

Un fanciullo di nome Orso, di buona famiglia, un giorno fu colpito da un sasso scappato di mano a un garzone, che aiutava il santo Abate nella costruzione d'un muro a secco. Erano lì i parenti venuti a visitare il piccolo. Pensate le grida e l'angoscia che prese un po' tutti. Il Santo commosso e addolorato si fa recare il moribondo in chiesa, si prostra in preghiera e ne chiede a Gesù la vita. Indi si leva e lo prende per mano. Il piccolo balza per miracolo in piedi sano, come non avesse sofferto nulla.

D'un altro monachetto rapito dal monastero e tornatovi per divina virtù

Non meno meraviglioso e caramente soave è quello che l'antico biografo del Santo racconta a proposito del piccolo Gioele, il futuro Abate. Tratto dalla fama di santità del nostro Padre, il fanciullo abbandona i suoi e si reca a chiedere l'abito della penitenza, che ottiene senza difficoltà. I genitori però ne furono assai dolenti e con buona mano di armati, per riavere il loro piccino, assalirono il monastero. Ma, o cecità dell'ira o prodigio, lo cercano, lo toccano e non lo riconoscono. Ravveduti, chiedono di solo vederlo e, vistolo raso il capo e monacato, tornano a casa, tristi. Ma il parentado insiste nel rivolere il fanciullo. Guidati dal governatore della città, si presentano al monastero e per le moine di alcune donne svestono il monachetto del suo abito santo. L'Abate sopporta con pazienza la violenza e l'affronto, ma con sicurezza mirabile predice che il fanciullo tornerebbe. I mondani se ne fanno beffe. Ma fu lui ad aver ragione; perché il fanciullo, consegnato a un prete nemico dei monaci, poco dopo torna al monastero trattovi, come da una misteriosa energia, dall'intensa preghiera del Santo, che non si rassegnava a perdere il suo caro monachetto. Al quale, eletto poi Abate, toccò la gioia di vestire dell'abito bianco il suo prete, da nemico volto in figlio spirituale del Santo.

Rustico datosi al diavolo è salvo dal Santo

Un giovane, per ottenere una donna, da l'anima al diavolo: ma, rattiepidito, se ne pente. Il demonio, desideroso di quell'anima, lo precipita in un burrone, dove al poveretto appare un monaco venerando, che lo ammonisce si rechi a Pulsano per salutari consigli. Egli, salvo per miracolo dal precipizio, ci andò e quale non fu il suo stupore a riconoscere nel nostro Abate il monaco che gli era apparso laggiù nel burrone. Gli s'attaccò ai panni e ne volle l'abito e visse nell'Ordine umile e santo e tale morì.

Vede due suoi monaci in gloria

Il nostro Santo come in vita, così amava i suoi figli, morti. Due suoi monaci nella stessa settimana migrarono di questa vita. Erano stati l'uno di singolare obbedienza, l'altro di grandissima rettitudine. Tuttavia il Padre buono piangeva assai, dubbioso di loro sorte. Quand'ecco il terzo giorno apparirgli in visione l'apostolo S.Pietro che si tiene accosto e conforta i suoi figli. Grande fu la sua consolazione, anche perché un suo discepolo, nell'istante stesso, per merito del suo Abate, è consolato della stessa visione.

Il nostro Santo è dotato di spirito profetico

Dio solo conosce il futuro e le cose lontane: ma, per divina grazia, anche i Santi, come appare nella vita del nostro caro Padre. Mandò egli a reggere un suo monastero un tale, che pareva savio e buono, e invece cominciò a spargere tra i monaci perverse dottrine e molti ne alienò dalla regolare osservanza. Illuminato da Dio, lo seppe il nostro Santo e se ne lamentò coi suoi monaci: questi non gli credettero. Quand'ecco un buon monaco giungere di là, che svela quanto vi accade. I monaci ammirarono lo spirito profetico del Padre loro.

Rivela il luogo ove un novizio ha nascosto il suo tesoro

Un sacerdote, tocco dalla santa vita del nostro Padre, si rende monaco, ma non si spoglia di tutto e nasconde in una buca quanto ha, giurando di non posseder che i panni. Tutti gli credono e per parecchi giorni la cosa va pel suo verso. Ma non così pare al santo Abate, che, illuminato dall'alto, gl'impone riveli quanto ha nascosto. Quegli duro a negare. Allora il Santo fa dissotterrare il tesoro. Il poveretto, a trovar vuota la buca, fu per morir di tristezza. Se n'accorge il Santo e gli fa: — Via, non dolertene troppo, che ti renderò il tuo: ma tu va via. — Quegli gli si buttò ai piedi in pianto e ottenne il perdono.

Rivela un furto d'un ex soldato

Nel monastero di S.Giacomo di Foggia dal Santo era stato ricevuto come garzone ortolano uno di Brindisi, già soldato che, spinto dal diavolo, rubò una corazza, le bardature di alcuni cavalli e delle monete. La cosa si scoperse e il monastero per vari giorni fu sossopra; chè i monaci si accusavano l'un l'altro, non sospettando nessuno dell'ortolano. Il superiore mandò a Pulsano ad avvertirne l'Abate, che illustrato da Dio: — Andate — disse — dall'ortolano e fatevi consegnar tutto. Se nega, andate là (e indicò il luogo) e vi troverete quanto cercate, e mandate via il furfantello. — Così fu fatto e gli oggetti furono ricuperati.

Appare in visione a un carcerato lo libera

Non solo presente egli soccorre, ma anche assente. Un poveretto era stato imprigionato e torturato per debiti. La notte il Santo gli appare e gli dice : — Domani, quando sarai condotto al tribunale, scappa. — Egli scappò e andò a ringraziarne con molte lacrime il Padre buono.

Il signore della morte

A chi legge le narrazioni dell'antichissimo biografo del nostro dolcissimo Padre non può sfuggire il fatto singolare che egli comandava da signore alla vita e alla morte, con una divina, stupenda disinvoltura. Abbiamo accennato alla guarigione da lui ottenuta per la nipotina del Cancelliere di Bari, come alla repentina risurrezione del monachetto colpito dal sasso. Ascoltiamo altri esempi di signoria ch'egli esercitava sulla morte.

Il fanciullo di Siponto

Il nostro caro Padre usava recarsi spesso all'antica Siponto, oggi Manfredonia, e fermarsi presso il primo magistrato della città, che lo accoglieva con segni di infinita riverenza. Però una volta questi non mostrò di curarlo gran che. Il Santo, meravigliato, venne a sapere che al suo benefattore moriva un figliolino. Un fanciullo! Li amava di così tenero amore! ne accoglieva tanti nel caldo nido del suo monastero! Poteva il suo cuore sopportarne la morte? e di uno che gli doveva esser caro? Si pensi come dovette pregare per lui. Ma la sua preghiera fu rotta da uno slancio improvviso del padre che, preso il piccolo moribondo, in un impeto di dolore e di fede, glielo mise sulle ginocchia, protestando di rivolerlo vivo o morto solo dalle sue mani. Il Santo, come percosso di fiero stupore, levò gli occhi piangenti al cielo e pregò, com'egli sapeva. Il fanciullo balzò vivo dalle sue braccia. Ma l'umilissimo, a schivar le lodi e la nomea di santo, mai più rimise il piede in quella casa.

Risuscita il monaco suo

Amava un suo monaco di nome Orso (forse il piccolo già liberato da morte) che, per improvviso malore, in breve d'ora morì. Il Santo a vederlo lì steso, ne pianse e si volse con labbra tremanti a Gesù e si gettò sul cadavere. Sotto il caldo del suo cuore paterno, vivo di Cristo, il monaco rivisse e forse, per gratitudine, prese il nome di Giovanni e fu S.Giovanni Buono.

Passa il fiume a piedi asciutti

Non solo della morte egli è signore; è signore anche degli elementi. Sentite questo. C'era da attraversare un fiumicello in piena che sboccava nel lago di Salpi. I suoi monaci, paurosi, lo passano a guado e ne escono inzuppati. Il nostro Padre invece lo passa che ne ha appena inumidita la punta dei sandali. E non basta. Sorpresi nello stesso cammino da un furioso acquazzone, i monaci sgocciolano da tutte le parti, il santo Abate invece ha l'abito asciutto ch'è una meraviglia.

L'Acqua benedetta dal Padre risana un monaco

A un monaco che lavorava nella selva salta addosso una vipera, ma non lo morde. Il Padre raccomanda non la si disturbi. Invece un altro monaco la scova e l'uccide. D'un tratto è preso da uno strano dolore. Il Padre accorre, benedice un bicchier d'acqua e glielo porge. Il male cessa d'incanto.

Le preghiere del Santo liberano un monaco caduto in un burrone

Un monaco di nome Guglielmo un giorno, per non so quale disobbedienza, precipita in un burrone. Il Santo s'inginocchia e prega con fervore. Ed ecco un giovine splendente, S.Michele, che s'immerge nella voragine e n'esce, riportandone il monaco, non senza ammonirlo che è salvo solo per le preghiere del Padre.

Il suo potere sul demonio

L'aveva acquistato da giovane a furia di penitenze e di digiuni, che sono, a detta del Signore, l'unica arma per vincerli. Perciò non è meraviglia ne usi a bene delle anime. L'antico biografo racconta che, dopo aver convertito un pessimo uomo, che presso una chiesa viveva in peccato con una donna, vi stabilì un monastero di claustrali, fra le quali accolse la povera pentita. Il demonio, scontento della sconfitta, si diede a disturbare con paurose apparizioni le spose di Cristo, che perciò erano per lasciare il luogo. Il santo Abate vi accorse, sfidò a gran voce il nemico infernale, che d'allora non si lasciò più vedere.

Libera i suoi frati da un' infestazione diabolica

Nella selva i monaci biancovestiti lavoravano di lena ad abbattere e a squadrare tronchi; il Padre non era con loro. Ed ecco una turba di soldati che si getta loro addosso e li sbanda sbigottiti. Ma soldati non sono: sono dèmoni. Che d'un tratto indietreggiano e a loro volta si sbandano, sotto una grandine di colpi menati dal Padre santo accorso in aiuto dei suoi. Figuratevi come i figli gli si fecero attorno. Ma il dolce Padre, confortatili di soavi ammonimenti, sparve. I monaci allibirono. Un d'essi il giorno dopo tornò al monastero e narrò quant'era accaduto. L'uomo di Dio con le braccia levate ringraziò il Signore e protestò che non pei suoi meriti, ma pel merito di loro obbedienza aveva il Signore operato un tal miracolo.

Un monaco conosce in visione i meriti del Padre

Il nostro Santo dunque, anche lontano, accorreva in aiuto dei suoi, che se lo vedevano accosto quando pericoli urgevano o sovrastavano rovine. Non è quindi meraviglia che l'avessero in altissima venerazione e l'amassero assai. Il Signore d'altra parte si compiaceva con misteriose visioni raffermarli nei filiali sentimenti d'amore. Un monaco sognò una volta di esser menato, attraverso un pericolosissimo ponte gettato sur una vorticosa fiumana, in una pianura popolata di monaci biancovestiti, dove sorgeva un gran palazzo in cui su bellissimi letti riposavano beati. Molti ne conobbe del suo Ordine; tra gli altri Oddone, un monaco morto da poco, che si disse salvo solo pei meriti del Padre buono l'Abate dei Pulsanesi. — Non posso però gustar la beatitudine — soggiunse — per alcuni mancamenti. — Quali? — chiese il dormente. E quegli rispose : — Un giorno con una scheggia che scappò da un albero che scheggiavo, ferii una guancia al Padre santo, e non curai di chiedergliene perdono. Altra volta mi rifiutai di recarmi, come ordinava, al bosco. Quando mi perdonerà, riposerò. — Il dormente, appena sveglio, narrò al Padre quanto aveva visto e lo pregò pel morto fratello. Questi apparve al Santo per la tanto attesa assoluzione, che egli di buon grado accordò.

Libera dal purgatorio un monaco suo

Quando il monastero di S.Barnaba mirabilmente fioriva in bontà e monache sante diffondevano il buon odor di Cristo, dal nostro Padre vi fu mandato come rettore un sacerdote che pareva tutto di Dio. Pareva, ma non era. Perché, montato in superbia, cominciò a staccarsi dall'obbedienza del suo Abate e a pensare alla fondazione d'un monastero indipendente, tentando di aderire con le sue monache all'antipapa Anacleto. Ma non ebbe il tempo di consumar la sua apostasia e di formulare non so quali accuse contro il Santo, perché fu colto da morte e gettato nelle fiamme del purgatorio. Il caro Padre, cui tutto fu rivelato, mosso a pietà del figlio infedele, pregò istantaneamente per la sua liberazione, e non indarno: che dopo un anno e nove mesi il monaco gli apparve e gli disse che solo per le sue preghiere il Signore s'era contentato di quella breve espiazione.

La mirabile visione d'un altro monaco

Non meno mirabile è la visione ch'ebbe un altro monaco, il quale sceso in una fossa in cui si conservava il grano, fu rapito in estasi durante la quale molte e strane cose gli accaddero. Gli parve di esser morto e preso per mano da un angelo. Ma con raccapriccio si vide a lato un nero demonio, che tentava trascinarlo con sé nelle tenebre eterne. Tra i due angeli s'inizia una fiera tenzone : — Questi è mio, perché è monaco! — grida l'angelo. — No, è mio! — risponde il diavolo; — non ha l'abito di monaco. — (Il monaco nel discendere nella fossa s'era spogliato e restato col solo scapolare). Si va al trono di Dio. Il nero cherubino accusa, l'Angelo scusa con forza. Ma il Giudice tace; le cose si mettono male per il poveretto, che per aiuto ricorre a tutti i Santi: neanche questi si commuovono. Ma al grido del monaco : — Dolce Padre mio, soccorri il monaco tuo! — ecco apparire il santo Abate, che, in un drammatico alterco col demonio, difende il figlio e, appellandosi a S.Benedetto, padre di tutti i Monaci, lo scagiona delle maligne accuse e lo salva dalle unghie della mala bestia. Tanto potente presso Dio doveva ai figli apparire il Padre amato. Potente, in vita: più potente, salito in gloria.

La morte del Santo

Perché, dopo avere spesa tutta la vita nel servizio di Dio e per la salute delle anime, il caro Padre, nella primavera del 1130, in età di circa sessant'anni, nel monastero di S.Giacomo in Foggia, fu colto da febbre. Forse la prima volta. Era sana e robusta la sua fibra, irrobustita e ringagliardita dall'esercizio della penitenza e del digiuno, che anzi che indebolire, eccita le energie e da al corpo e all'anima la freschezza della vergine e vigorosa gioventù. Si mise a letto febbricitante: giaciglio, più che letto, intorno a cui gli angeli buoni scesero lievi a consolargli il trapasso. Con i buoni scesero gli angeli maligni, cui sogghignando volse ancora una volta la parola del suo disprezzo: — Che cercate qui, artefici d'iniquità? V'è in me qualcosa che sia vostro? Che mi state attorno come cani famelici? Via di qua! — La diabolica visione svanì e il dolce Padre, benedicendo i cari figli, e cantando l'ultima preghiera di amore, reclinò il capo e rese lo spirito. Era il 20 giugno. Papa, il Pontefice Innocenzo II, Re della monarchia sicula, Ruggero il Normanno.

Il pianto e la consolazione dei figli

Grande fu il pianto dei figli attorno al letto del caro Padre, ma consolato di dolcissima speranza; della speranza che il Padre loro, morto, si sarebbe illustrato con la gloria di quei miracoli, che in vita l'avevano reso così venerando. Di questo pregavano un giorno con insistenza, forse un po' vana, due monaci non dei più fervorosi. E a uno d'essi appare il Santo, che l'illumina intorno al pregio dell'umiltà e della mortificazione e, con antiveggenza profetica, afferma che la sua glorificazione sarebbe stata differita a tempo opportuno. Differita forse ai nostri giorni, in cui par giunta la pienezza dei tempi per la suprema manifestazione della sua gloria e santità.

Del monaco che voleva togliergli la tunica

Intanto i figli non si davan pace: troppo doleva loro staccarsi dal Padre santo che di sì caldo, tenero amore li aveva amati e custoditi e difesi nell'orto sacro della Religione. Non potendo avere a portata di mano le sacre Spoglie, ne desideravano almeno la tunica, che avrebbero tenuta come reliquia. Uno dei più anziani si appressò alla sacra Salma, trepido e lacrimoso. Ma con terrore vide volgersi di scatto il volto amato e udì la nota voce, ma severa: — Che fai? Non mi toccare! — Quegli, tremando, scappò.

Non vuoi che le sue Spoglie siano rimosse da S.Giacomo

I monaci del Protomonastero di Pulsano intanto erano assai dolenti che le sacre Spoglie, del Padre non riposassero dov'egli aveva gettato le fondamenta della sua Congregazione. Ove meglio che sotto lo sguardo della Vergine pura potevano esse riposare per sempre, quasi a proteggere i figli novelli, che, cresciuti nella casa madre dell'Ordine, si sarebbero sparsi per tutte le terre d'Italia a recare la sua fragranza di virtù? Perciò divisarono di là trasportare le sacre Ossa. Preparano infatti una lettiga, sotto la più chiara serenità di cielo. Ma non appena toccano il cadavere, ecco oscurarsi l'aria e venir giù acqua e grandine grossa. A questo segno compresero che il caro Padre non voleva esser rimosso da S.Giacomo; ove restò sepolto, finché nel 1177 dalle mani del Pontefice Alessandro III, diretto a Venezia per il celebre abboccamento col Barbarossa, furono riposte sotto l'altar maggiore di S.Maria di Pulsano rifatto dal discepolo Abate S.Gioele.

Le vicende della Congregazione Pulsanese

Che fu, dopo la morte del Padre, della sua Congregazione? Crebbe e prosperò sotto la sua protezione e vigilanza, che si degnò manifestare col prodigio. Nel governo dei monasteri già diffusi in quasi tutta Italia gli era successo il discepolo diletto il B.Giordano, al quale Ruggero ingiunse immediatamente di venire a prestare il debito omaggio. Il Re in quei giorni era scomunicato, perché seguace dell'antipapa Anacleto e il neoeletto non voleva in nessun modo fargli atto d'ossequio. I messi premevano e minacciavano le vendette del Re. Che fare? I monaci costernati pregavano il novello Abate di piegare il capo ed evitare alla Congregazione sì fiera tempesta. Il B.Giordano ricorse al Padre santo e con molte preghiere lo supplicò di luce e di conforto. Ed ecco dal sepolcro la nota, cara voce: — Guardati dall'andarci; ho già parlato io col Re. Mandagli invece Frate Gioele. — Così fu fatto, e grande fu la meraviglia del buon monaco quando si vide accolto dal Re con segni di estrema benevolenza. Il Padre aveva troppo efficacemente perorato presso il Re la causa dei figli, come continuò a perorarla in seguito.

Libera un'anima dalle mani di Satana

Sabino, affezionato a lui e già molto suo intimo, era agli estremi. I monaci intorno al letticciuolo ne attendevano lacrimosi la morte, quand'egli fu rapito in estasi. Rinvenuto, narrò che gli pareva di esser morto e di essere acciuffato da due orridi ceffi di diavoli che lo trascinavano all'inferno. Appare il Padre santo, che con un fiero cipiglio tenta strappar loro la preda. Questi gli s'avventano come cani: il Santo con piglio risoluto si fa loro contro: ond' essi, data giù l'arroganza, tentano di dimostrare, sfogliando un loro libraccio, che il monaco merita la pena eterna. Il Padre, alla rivelazione di alcuni mancamenti da lui commessi, resta perplesso; quand'ecco sopraggiungere la Vergine Santa, che, accortasi del servo di Dio, scaccia i demoni, libera il malcapitato e dispare. Il Padre intanto avverte il frate che ammonisca due suoi compagni di pentirsi di alcuni loro peccati, se non vogliono finir male. Dei due uno confessò umilmente la colpa e perseverò nel bene, l'altro negò e finì male. Di così fervida, paterna tenerezza continuò il dolce Padre a curare gl'interessi della sua Congregazione.

I progressi della Congregazione Pulsanese

La Congregazione intanto si estese, come abbiamo accennato, per tutta Italia, sicché nella bolla di Alessandro III dell'anno 1177 si fa menzione di ben 20 tra chiese e monasteri abitati dai monaci pulsanesi, molti dei quali nel meridionale d'Italia, uno presso Roma, altri in Diocesi di Piacenza, come il monastero di S.Salvatore di Quartazzola e in Toscana, come quello di S.Michele in Orticaria o degli Scalzi presso Pisa, da cui dipendevano le chiese di S.Giacomo de Podio pure in quel di Pisa e di S.Croce del Corvo in diocesi di Luni, dove l'animo stanco dell'Alighieri nel 1313 si fermò, cercando «pace pace pace », se è autentica la lettera da Frate Illaro diretta a Uguccione della Faggiola. Senonchè l'asprezza della vita, più che cenobitica, del tutto eremitica e le mutate condizioni dell'anima sociale non troppo propizie alla severità della concezione pulsanese, dovettero affrettare la decadenza della Congregazione, che nel secolo XV era presso che estinta.

Le sacre Spoglie del nostro Santo

Se la Congregazione decadde, non si estinse il fervore di amore e di devozione acceso intorno alla memoria benedetta del nostro Padre dolcissimo, che la patria sua ben presto cominciò a venerare, lieta di possederne il sacro braccio in una chiesa intitolata al suo nome nel borgo detto Sasso Caveoso, restaurata nel 1403 e soppressa il 1512. Né a Matera si limitò questo fervore di culto. Sappiamo che nel 1177 il Pontefice Alessandro III ne fece trasportare le sacre Spoglie dal monastero di S.Giacomo di Foggia alla Chiesa di Santa Maria di Pulsano, sotto il cui altare le depose insieme col capo di S.Giovanni Buono discepolo del nostro. Antichi Martirologi lo annoverano tra i Santi, venerandi Codici liturgici dei secoli XII e XIII conservati nella Biblioteca Vaticana contengono inni, antifone e orazioni a lui dedicate, e le chiese di Pulsano e di Matera ne recitavano l'ufficio, come appare dai libri corali conservati nella cattedrale di questa città.

La traslazione delle sacre Ossa

Ma alla devozione della sua patria ciò non bastava. Occorrevano alla pietà dei materani tutte le sacre Spoglie del Padre buono, ch'essi ebbero, per un fortunato insieme di circostanze, il 28 ottobre del 1830, e deposero a gran pompa su un altare della Cattedrale. In tale fausta ricorrenza, il dolce Padre si compiacque con grazie e favori singolarissimi manifestare ai figli la sua protezione paterna.

La pioggia dell'addio

Dall'aprile non pioveva. La terra del Gargano e del Tavoliere delle Puglie si fendeva dall'arsura, tremenda dovunque, lì desolata e desolante. Gli uomini disperatamente assetati s'erano inutilmente inginocchiati a tutti i Santi. Il ricolto era compromesso: lo spettro della fame era alle porte. La mattina del 27 ottobre del 1830 le sacre Spoglie del Romito di Pulsano, dopo 700 anni, rividero la luce del cielo. Rivedere il ciclo ostinatamente chiaro e fargli sentire la potenza del suo comando fu tutt'uno. Che d' un tratto grossi nuvoloni si stesero sul Gargano e l'acqua venne giù abbondante. Solo però nel territorio di Manfredonia. S.Giovanni, che v' era entrato impetrando la lungamente attesa pioggia, ne usciva col medesimo miracolo: il miracolo dell'addio.

Il rattratto guarito

Aveva quattordici anni il povero, bravo Raffaele ed era tanto intelligente! Nato sano e florido dai coniugi D.Giuseppe Pentasuglia e D.Concetta Bonsanti, un brutto giorno fu colto da una grave infermità, che gl'inaridì e storse le gambe e una mano, le cui dita rimasero distese e senza movimento. Una pietà, tanto più commovente quanto più grave era il lume di pensiero che s'adunava nei suoi grandi occhi tristi. La mattina del 28 fu svegliato dal tripudio dei suoi e subito una luce di speranza gl'illuminò l'anima: — S.Giovanni mi guarirà! — Si fece portare in chiesa, collocare sul presbitero e attese. Dio sa il tremore del suo piccolo cuore. Dopo mezzodì vide uscir dalla porta grande della Cattedrale la lunga fila scintillante dei Canonici — eran tanti allora! — e li seguì con l'occhio velato di lacrime. Più tardi udì il grido di gioia di tutto il popolo che s'avvicinava. Piangendo, tese la mano, l'unica libera, all'Urna santa, che scintillò nel vano della grande porta. Che avvenne allora nel piccolo cuore dolente? D'un tratto Raffaele si sentì invaso da un calore strano, come di sangue caldo rifluente nelle sue gambe, nel suo braccio rattratto e ripiegato. Lacrime e lacrime scorrevano sul suo povero viso. Non voleva, non poteva credere che S.Giovanni avesse volto gli occhi a lui, proprio a lui. E pure, sì! Man mano che l'Urna si avvicina il calore del sangue rifluente nel suo corpicciolo stremato aumenta in modo strano. Quando il Corpo santo gli è a due passi nel presbitero, Raffaele con un grido altissimo snoda le gambe, stende il braccio: poi balza e cammina, e con le dita tornate vive tocca l'Urna santa. Tornò a casa un pò zoppicante, ma con le sue gambe. Di lì a non molto anche la debolezza sparve e il piccolo potè camminare e crescere e giungere al sacerdozio.

Brucia le grucce!

Il figlio del contadino Eustachio Fabrizio, in seguito a varie malattie, era rimasto miseramente storpio e a stento si trascinava con le grucce. Il 31 ottobre, dopo la solenne processione in cui le sacre Spoglie del Santo erano passate trionfalmente per la città, il povero fanciullo si trascinò in chiesa, fiducioso. Aveva sentito parlare della grazia accordata a Raffaele Martemucci!: — Chi sa — pensava, piangendo — S.Giovanni non voglia fare anche a me la grazia! — Entra in chiesa, come può: l'attraversa quanto è lunga, faticosamente; sale i gradini che mettono al presbitero, dove giunto, si sente d'un tratto sano e gagliardo. Getta le grucce e corre verso l'Urna, tra il pianto di gioia del popolo che l'osserva. Baciate le sacre Spoglie, il Fabrizio corre a casa e di lontano grida al babbo: — Getta al fuoco queste gruccee!  Non ne ho più bisogno! —  Il povero padre pallido di commozione non crede ai suoi occhi. Tasta, palpa, fa camminare il suo fanciullo. — È sano! — singhiozza. — Grazie, S.Giovanni! — Così dicendo, sente la solita trafittura alla coscia, che non gli permette più di lavorare: ed è cosi giovane e forte ed ha da sfamare la grossa famiglia! Si volge al Santo concittadino e con fede ardente dice : — S.Giovanni buono, fammi la grazia, che ti prometto una messa al tuo altare. — Sciolto il voto, guarì.

Cammina

Aveva tre anni. Tre anni, si badi; era quindi incapace di suggestione! Cresceva stenta e dalla cintola in giù era un troncone o, peggio, due gambucce ciondolanti senza vita. Si chiamava Anna ed era figlia di Emanuele Sacco e di Lucia Gaudiano. La quale non si sapeva rassegnare alla sventura della sua piccina. Disperata, quand'ode che S.Giovanni raddrizza gli storpi, corre alla chiesa, si pianta avanti all'Urna e scarmigliata, urlante, presenta al Santo la bimba, che dal visino patito piange e sorride.  — San Giovanni mio, o morta o sana la mia piccina! — Così stette a lungo a urlare e ad agitare sotto l'Urna quella povera cosa semiviva. La quale però a poco a poco, lentamente rivive... si svincola dalle braccia di mamma e coi suoi passettini di piccola comincia a correre nella chiesa. I primi passi! fatti sotto lo sguardo benevolo del dolcissimo Padre di Matera.

La gamba rattratta

Menna, figliuola decenne di Pasquale Di Cuia e Chiara Agostino, non aveva più l'uso d'una gamba rattrattale per non so quale malore. Ma aveva fede gagliarda. Il 31 ottobre si trascina in chiesa e inginocchiata avanti all'Urna santa, chiede a gran voce la grazia. L'ottiene prontamente; che improvviso si leva e cammina. Torna a casa, correndo, gioiosa.

Prossima a morte, risana.

Maria Giuseppa Staffieri, consorte di Vincenzo Cinnella, è dai medici dichiarata in pericolo di vita per difficoltà di parto. Ella non vuol morire e ricorre a S.Giovanni; si stringe al cuore con fede la sua immagine e, quando meno gli assistenti se l'attendono, partorisce felicemente.

Rià l'uso della mano e della gamba

Un bimbo della signora D.Vita de Miccolis non ha più l'uso di due dita della mano e di tutta la gamba che trascina sconciamente. A guardarlo, la povera signora si sente stringere il cuore, così bello com'è, così intelligente e buono! Con fede semplice e schietta — quella che smuove le montagne — ella ricorre a S.Giovanni. Il quale sorride al fanciullo — ne aveva accarezzati e vestiti da monachetti, tanti, in vita! — e lo risana.

Per la figlia di S.Chiara

Grande e popoloso era nel 1830 il monastero di S.Chiara, fondato nel 1698, come ospizio di buone donne, da Mons.Del Ryos, sottoposto alla regola di S.Chiara dalla buona Madre Chiara Serafina Taratufolo, morta in odore di santità il 1741. La regolare osservanza vi fioriva e vi si spandeva il buon odore di Cristo: onde al nostro Santo doveva esser caro, come care gli furono le case di preghiera da lui fondate per le sue figliuole Pulsanesi. Lo dimostrò così. Suor Chiara Maria, Religiosa professa, da vario tempo era tormentata da spasimi epatici così violenti che la facevano urlare dì e notte, con grande struggimento della religiosa comunità, che non sapeva più a che santo votarsi, per cessare questa pena. Un giorno la Superiora dice all'inferma: — Coraggio, sorella: c'è venuto in città il Santo concittadino, Padre di monaci e di monache sante. Ricorriamo a lui, ch'egli ci consolerà. — E le presenta una reliquia del caro Santo. L'inferma tende bramosa le scarne mani e stringe la reliquia e se la pone sul petto, confidenzialmente. Di colpo i dolori cessano e la poverina si leva sana, come non avesse sofferto mai nulla.

Guarito della pleurite

Affetto da pleurite, Nicola Domenico Cifarelli era stato spacciato dai medici. Non però dalla fede dei famigliari che, avuta per grazia un pò di quella bambagia in cui erano state avvolte le sante Ossa, gliela legarono al collo. Il poverino risponde con fede viva e con calde preghiere alla fiducia dei suoi. Il Santo, sempre misericordioso, si commosse in cospetto a tant'ardore di umile fede e, in brev'ora, guarì l'infermo.

Il tisico risanato

Eustachio Stella dimagriva a vista d'occhio per una tosse ostinata e una strana inappetenza che lo rifiniva. Visitato dai medici, fu dichiarato tisico. Ognun si figuri la sua desolazione. Udì un giorno magnificare la potenza taumaturgica di S.Giovanni, che solo al tocco della bambagia stata accosto alle sue Ossa, risana qualunque infermità. — Se agli altri, perché non a me ? — pensa il povero tubercolotico. E si fa dare un po' di quella bambagia e se l'applica al povero petto stecchito e rantoloso. Che, d' un tratto, acquistò vigoria, tale strana, improvvisa vigoria che l'infermo in breve fu tutt'altro. Guarì e visse sano e robusto.

Liberato dai ladri

L'architetto Nicola Scorpino di Padula di Lucania era in Matera per affari professionali, quando vi furono solennemente portate le reliquie del Nostro. Uomo di cultura e di fede, ebbe a caro venerare un tanto Santo, che ne lo compensò prontamente. La notte precedente alla sua partenza di qui, in sogno, gli parve d'essere in viaggio e assalito dai briganti. Desto, riferisce il sogno agli amici, che lo rincorano con vane parole. Egli però si volse a S.Giovanni e gli disse con un'ingenua baldanza solo scusata dalla fede vivace: — Se sei quel gran Santo che ti dicono, pensa tu a liberarmi da qualunque cattivo incontro! — Parte. Ai confini tra Matera e Gravina, dietro Picciano, eccoti sbucar di tra le macchie folte tre brutti ceffi di ladri. Il poverino, solo, forse disarmato, n'è sconvolto. Tuttavia mentalmente formula una viva preghiera a S.Giovanni. I ladri gli s'accostano e gli fanno : — Sei tu il giudice di polizia? — L'architetto risponde con voce malferma: — No, non sono io. — E... hai addosso molti soldi? Fuori subito! — L'ingegnere, che qualcosa doveva averla, più morto che vivo balbetta: — Non ho proprio nulla ! — Una risposta molto adatta per aizzare l'ingordigia dei briganti. I quali invece se ne contentano, gli volgono le spalle e vanno via. Per tutta la vita l'ingegnere Scorpino fu divoto di S.Giovanni al quale attribuì lo strano contegno dei ladri e la vita.

Uno scambio di nome e di virtù

Angela Lucia Bongioco consorte di Antonio Vincenzo Nicoletti aveva dato felicemente alla luce il primo dei suoi gemelli; non così il secondo, che per poco non la condusse a morte. Mentr'ella spasimava, l'ostetrica, buona empirica forse, ma di molta fede, le suggerì una preghiera a S.Giovanni. La poveretta grida:  — S.Giovanni mio, se mi liberi da quest'ambascia, fo' voto che al secondo bimbo darò il tuo nome! — Non aveva finito di formulare il voto che partorì felicemente. Ma cosa strana! mentre il primo dei bimbi non aveva né dava pace ai suoi, né dì né notte, l'altro, il votato a S.Giovanni, era la mansuetudine in persona. Al fonte battesimale, per errore, al primo non già al secondo impongono il nome di Giovanni. I famigliari se ne accorgono dopo, con disappunto. Un disappunto ch'aveva la sua buona ragione; perché in capo a un mese il secondo muore e rimane il primo, chiamato indebitamente Giovanni. Senonchè al nostro Santo l'errore non dispiacque, perché al sopravvissuto conferì la mansuetudine del morto gemello. Abbiamo dal Volpe riportati questi che, se non tutti miracoli — riconoscerli tali spetta alla Chiesa — certo presentano i caratteri di grazie e di singolari favori ed esprimono la paterna tenerezza che il Santo di Matera ha per la sua cara città. La quale, dettolo suo Patrono secondario, l'onora con due feste annuali, che cadono l'una il 20 giugno, l'altra la prima domenica di settembre, e, mercé l'opera diligente e devota della numerosa Confraternita biancovestita, si ripromette d'intensificare il culto di amore, che pel suo gran figlio deve la città nostra professare.

Nel primo centenario della traslazione

Queste grazie singolari accesero nel cuor del popolo più vivace la fiamma della devozione: onde non è meraviglia che nel I° centenario della traslazione delle sacre reliquie, se ne volesse da tutti celebrata la memoria. Volle il Signore che sedesse, come tuttora siede, su questa cattedra Arcivescovile un dotto e fervido e buon fratello  spirituale del nostro Santo, il benedettino Cavense Mons. D.Anselmo Pecci, che, con giovanile entusiasmo e fervore di genialità, preparò e rese al dolce Santo nostro nella seconda metà dell'ottobre del 1930, onoranze indimenticabili, cui presero parte Sua Eminenza il Cardinale Ascalesi Arcivescovo di Napoli e 12 tra Vescovi, Arcivescovi e Abati Ordinari Benedettini. Fu in quell'occasione che alla vecchia di legno fu sostituita la bellissima urna artistica di argento donato dal popolo, venne costruito un nuovo altare e fatta una nuova statua entro cui furono devotamente ricollocate le sacre Ossa.

La fraganza miracolosa

Degno di ricordo è il rinnovarsi del prodigio già osservato dai primi fortunati esumatori delle sacre Spoglie nella chiesa di S.Maria di Pulsano e poi da quelli che a Matera le deposero nell'urna il prodigio della mirabile fragranza alitante dalle Ossa sante. Il 27 febbraio del 1931 fu avvertita ancora una volta, quando le si dovettero togliere dall'interno dell'antica statua e rimetterle nella nuova. Nessuno di noi pensava allo strano fenomeno attestato già dal Volpe e ricordato nella Vita pubblicata qualche mese avanti, quando d'un tratto, nell'estrarre i batuffoli di bambagia avvolgente le sacre Ossa, un sottile odore si diffuse nella stanza. Fu un grido di sgomento e di riverenza.

S.Giovanni ancora una volta avvertiva e convinceva i figli di sua mirabile taumaturgica santità.

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