Il Decreto del Vescovo di Wollongong 

afferma che William Kamm conosciuto come "Little Pebble" (piccolo ciottolo) e il suo movimento sono fuori dalla Chiesa Cattolica

Wollongong, 16 Giugno 2002

Il Vescovo di Wollongong ha pubblicato un Decreto su William Kamm conosciuto come "Little Pebble" nel quale si dichiara che Kamm e tutti coloro che lo sostengono devono cessare di diffondere false dichiarazioni sulla loro legittima appartenenza alla Chiesa Cattolica.

Il Movimento di Kamm, l'Ordine di St Charbel, è stato oggetto di critiche e accusato di coinvolgimento nella tragedia di Kanungu a causa della simpatia per le sue dottrine (legate ad apparizioni della Vergine Maria), da parte dei leaders del movimento per la Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio.

Pebble, infatti, è nominato espressamente, insieme a Padre Pio e ad altri, nel libro pubblicato dal Movimento di Kanungu come uno dei tanti veggenti di questo tempo ai quali la Madonna trasmetterebbe i suoi messaggi nell'approssimarsi della fine.

Kamm ha negato ufficialmente qualsiasi coinvolgimento con la setta ugandese protagonista del più tragico omicidio di massa nella storia delle tragedie causate da sette religiose di tipo apocalittico.

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Kanungu: 17 marzo 2000

Il più grande massacro dei tempi moderni da parte di una setta

Corriere del Ticino, 15 aprile 2000.

Il 17 marzo scorso più o meno cinquecento persone prigioniere di una chiesa con porte e finestre inchiodate per impedire ogni via fuga, finivano i loro giorni fra le fiamme in quello che fu erroneamente definito un suicidio collettivo di massa e oggi appare essere con ogni evidenza un assassinio senza precedenti. A quasi un mese di distanza le braci sono spente, ma i fumi del rogo di Kanungu, un villaggio 217 miglia a sud-oves della capitale ugandese Kampala, è come se non si fossero ancora diradati tanta è l'incertezza che grava su quei fatti. La scoperta nei giorni successivi all'incendio di alcune fosse comuni colme di cadaveri disseminate qua e là per l'Uganda ha fatto salire ad oltre mille il numero delle vittime legate al movimento "Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio". E mentre è impossibile sapere se i leader della setta - il sedicente "vescovo" Joseph Kibwetere, l'ex prostituta Keredonia Mwerinde e l'ex prete Dominic Kataribabo - siano morti nella loro follia o vivi e vegeti a godersi un triste malloppo, come sospettano gli inquirenti, nel Paese africano i fantasmi dei loro seguaci reclamano una giustizia che non potrà mai arrivare. Le inchieste incespicano in difficoltà logistiche immani e i due milioni di scellini (1.300 dollari) che le autorità ugandesi promettono a chiunque aiuterà a ritrovare i capi del gruppo mostrano anche i limiti economici per pretendere un'indagine seria. In un'aria gravida di perché senza risposte abbiamo cercato di ricostruire il quadro della tragedia ugandese con lo studioso svizzero di religiosità alternativa Jean-François Mayer, forse il massimo esperto dell'Ordine del Tempio Solare ed attualmente impegnato in una serie di corsi all'Università di Friburgo sui movimenti apocalittici nell'Occidente.

Signor Mayer, in quale scenario religioso va inquadrata la tragedia di Kanungu?

«Bisogna essere anzitutto coscienti che c'è una fioritura di movimenti religiosi in numerosi paesi africani da diversi decenni. Ce ne sono diverse migliaia in Kenya, Nigeria, Africa del Sud. Si tratta in particolare di chiese indipendenti africane, o chiese afro-cristiane. Ma ci sono anche movimenti importati dall'Occidente. Gruppi e sette attivi da noi lo sono anche in Africa»

E in Uganda?

«In Uganda la metà della popolazione è cattolica romana. Perciò qui si sono sviluppati dei movimenti ai margini del cattolicesimo. Non si tratta sempre di gruppi apocalittici. In questo caso - parlo basandomi su informazioni che ho appena ricevute dall'Uganda - il Movimento per la Restaurazione dei Dieci Comandamenti era un gruppo percepito dalla popolazione locale come cattolico, o dissidente dal cattolicesimo».

Cosa significa "ai margini del cattolicesimo"?

«Può significare sia i gruppi separati dalla Chiesa di Roma, sia formatisi - come succede pure in Occidente - attorno ad apparizioni non riconosciute». 

Ciò che è successo a Kanungu non è quindi un fenomeno tipicamente africano...

«Esatto. Ciò che è successo in Uganda mostra dei legami con il mondo diffusissimo delle apparizioni (in questo caso non riconosciute e condannate dalla Chiesa). Ciò che qui colpisce è il fatto che numerose rivelazioni mariane più o meno riconosciute dalla Chiesa nel XIX e nel XX secolo integrino elementi apocalittici. Va però subito detto che la maggior parte dei gruppi che possiedono dottrine apocalittiche non sono pericolosi, né commettono crimini. Qui invece c'è un gruppo in cui l'Apocalisse si è trasformata in crimine». 

Quali sono le certezze e quali i dubbi sulla tragedia ugandese?

«Devo subito precisare che non sono mai stato in Uganda, perciò mi baso su conoscenze di seconda mano: la lettura di articoli della stampa e i contatti con un giornalista del posto che segue la vicenda dagli inizi. Ciò detto ci sono pochissime certezze. Si è praticamente certi che, tra i capi, padre Dominic Kataribabo è morto nel primo rogo. Mentre non esistono certezze né sulla morte né sulla sopravvivenza di Joseph Kibwetere e Keredonia Mwrerinde. Bisogna prendere con le pinze le informazioni di stampa secondo le quali li sarebbero stati visti in vari luoghi in questi giorni. È un fenomeno tipico avvenuto anche dopo i fatti del Tempio Solare: Luc Jouret fu visto in tutta Europa mentre poi si stabilì con certezza che era fra le vittime di Salvan. Ma ciò che è particolarmente inquietante in questo caso è la scoperta di fosse comuni dopo il rogo iniziale di Kanungu. Stando a chi sta indagando laggiù sembrerebbe che gli assassini delle fosse comuni siano avvenuti contemporaneamente al rogo. Ciò che presuppone problemi logistici enormi. Pensate a cosa significhi uccidere materialmente centinaia di persone nello stesso momento strangolandole! Non si sa nulla sul modo in cui tutto questo è avvenuto. Le persone sapevano che sarebbero partite per il Cielo? Come è stato possibile ucciderle senza che nessuno cercasse di fuggire? È un fatto che sembra indicare che le uccisioni avvenissero individualmente e non in presenza d'altri. Va inoltre osservato che il gruppo attirava una maggioranza di donne e che nelle fosse comuni la maggior parte dei cadaveri è di bambini, poi delle donne (probabilmente le loro madri) e infine una minoranza di uomini. Sono stati strangolati, forse alcuni avvelenati. Non si conoscono affatto nè le ragioni nè la dinamica dei fatti».

Cosa pensa dei due possibili moventi fin qui avanzati per la tragedia: un massacro voluto dai capi per fuggire coi soldi, o un massacro voluto dal governo camuffato da sciagura religiosa?

«Parto dalla seconda ipotesi: quella del massacro governativo. Non è attendibile. Me lo confermano gli stessi ugandesi, secondo i quali ipotizzarlo significa accordare una capacità organizzativa che il governo ugandese non ha. Sono ipotesi complottiste. E non si vede quale interesse avrebbe avuto il governo di eliminare centinaia di donne e di bambini».

E che dire dell'ipotesi dell'omicidio di massa per ragioni finanziarie?

«Si tratta di una teoria che corrisponde ad uno stereotipo. È la spiegazione più semplice: perché hanno ucciso tante persone? Per derubarle. Dirlo significa sottovalutare altri fattori. Si possono elaborare anche ipotesi di dissensi interni alla setta, ipotesi relative al potere, ipotesi di follia pura. Anche se in quest'ultimo caso bisogna immaginare che la follia sia stata condivisa con altre persone, dato che solo due o tre persone difficilmente possono uccidere così tanta gente. È vero che nel caso dell'Ordine del tempio Solare una decina di persone (non prive d'intelligenza) erano state convinte al passo del suicidio collettivo portando con loro nella morte decine d'altre persone. L'idea che i dirigenti abbiano convinto un gruppetto di fedeli anche nel caso ugandese non è certo da scartare. Ma va detto chiaro e forte: per ora tutte le teorie che sono state elaborate sono congetturali. Occorrerebbe una serissima inchiesta con possibilità tecniche difficili da avere sul posto evitando interpretazioni stereotipate».

Ma è quasi impossibile dato che molti corpi sono irriconoscibili dopo il rogo.

«È vero. Anche dopo i fatti di Cheiry e Salvan, e in un Paese più attrezzato come il nostro, ci sono volute le lastre dentarie e in alcuni casi le analisi del DNA per stabilire con certezza la morte di alcune persone. Tutto questo in Uganda appare quasi impossibile. Ci sono problemi tecnici che lasciano intendere che una buona parte dei corpi non saranno mai identificati».

   Intervista di Carlo Silini

Rubrica "Maghi, cartomanti e sette"

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