Corriere del Ticino, 15 aprile
2000.
Il 17 marzo
scorso più o meno cinquecento persone prigioniere di una chiesa con
porte e finestre inchiodate per impedire ogni via fuga, finivano i
loro giorni fra le fiamme in quello che fu erroneamente definito un
suicidio collettivo di massa e oggi appare essere con ogni evidenza
un assassinio senza precedenti. A quasi un mese di distanza le braci
sono spente, ma i fumi del rogo di Kanungu, un villaggio 217 miglia
a sud-oves della capitale ugandese Kampala, è come se non si fossero
ancora diradati tanta è l'incertezza che grava su quei fatti. La
scoperta nei giorni successivi all'incendio di alcune fosse comuni
colme di cadaveri disseminate qua e là per l'Uganda ha fatto salire
ad oltre mille il numero delle vittime legate al movimento
"Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio". E mentre è
impossibile sapere se i leader della setta - il sedicente "vescovo"
Joseph Kibwetere, l'ex prostituta Keredonia Mwerinde e l'ex prete
Dominic Kataribabo - siano morti nella loro follia o vivi e vegeti a
godersi un triste malloppo, come sospettano gli inquirenti, nel
Paese africano i fantasmi dei loro seguaci reclamano una giustizia
che non potrà mai arrivare. Le inchieste incespicano in difficoltà
logistiche immani e i due milioni di scellini (1.300 dollari) che le
autorità ugandesi promettono a chiunque aiuterà a ritrovare i capi
del gruppo mostrano anche i limiti economici per pretendere
un'indagine seria. In un'aria gravida di perché senza risposte
abbiamo cercato di ricostruire il quadro della tragedia ugandese con
lo studioso svizzero di religiosità alternativa Jean-François Mayer,
forse il massimo esperto dell'Ordine del Tempio Solare ed
attualmente impegnato in una serie di corsi all'Università di
Friburgo sui movimenti apocalittici nell'Occidente.
Signor Mayer, in
quale scenario religioso va inquadrata la tragedia di Kanungu?
«Bisogna essere anzitutto coscienti
che c'è una fioritura di movimenti religiosi in numerosi paesi
africani da diversi decenni. Ce ne sono diverse migliaia in Kenya,
Nigeria, Africa del Sud. Si tratta in particolare di chiese
indipendenti africane, o chiese afro-cristiane. Ma ci sono anche
movimenti importati dall'Occidente. Gruppi e sette attivi da noi lo
sono anche in Africa»
E in Uganda?
«In Uganda la metà della
popolazione è cattolica romana. Perciò qui si sono sviluppati dei
movimenti ai margini del cattolicesimo. Non si tratta sempre di
gruppi apocalittici. In questo caso - parlo basandomi su
informazioni che ho appena ricevute dall'Uganda - il Movimento per
la Restaurazione dei Dieci Comandamenti era un gruppo percepito
dalla popolazione locale come cattolico, o dissidente dal
cattolicesimo».
Cosa significa "ai
margini del cattolicesimo"?
«Può significare sia i gruppi
separati dalla Chiesa di Roma, sia formatisi - come succede pure in
Occidente - attorno ad apparizioni non riconosciute».
Ciò che è successo
a Kanungu non è quindi un fenomeno tipicamente africano...
«Esatto. Ciò che è successo in Uganda
mostra dei legami con il mondo diffusissimo delle apparizioni (in
questo caso non riconosciute e condannate dalla Chiesa). Ciò che qui
colpisce è il fatto che numerose rivelazioni mariane più o meno
riconosciute dalla Chiesa nel XIX e nel XX secolo integrino elementi
apocalittici. Va però subito detto che la maggior parte dei gruppi che
possiedono dottrine apocalittiche non sono pericolosi, né commettono
crimini. Qui invece c'è un gruppo in cui l'Apocalisse si è trasformata
in crimine».
Quali sono le
certezze e quali i dubbi sulla tragedia ugandese?
«Devo subito precisare che non sono
mai stato in Uganda, perciò mi baso su conoscenze di seconda mano:
la lettura di articoli della stampa e i contatti con un giornalista
del posto che segue la vicenda dagli inizi. Ciò detto ci sono
pochissime certezze. Si è praticamente certi che, tra i capi, padre
Dominic Kataribabo è morto nel primo rogo. Mentre non esistono
certezze né sulla morte né sulla sopravvivenza di Joseph Kibwetere e
Keredonia Mwrerinde. Bisogna prendere con le pinze le informazioni
di stampa secondo le quali li sarebbero stati visti in vari luoghi
in questi giorni. È un fenomeno tipico avvenuto anche dopo i fatti
del Tempio Solare: Luc Jouret fu visto in tutta Europa mentre poi si
stabilì con certezza che era fra le vittime di Salvan. Ma ciò che è
particolarmente inquietante in questo caso è la scoperta di fosse
comuni dopo il rogo iniziale di Kanungu. Stando a chi sta indagando
laggiù sembrerebbe che gli assassini delle fosse comuni siano
avvenuti contemporaneamente al rogo. Ciò che presuppone problemi
logistici enormi. Pensate a cosa significhi uccidere materialmente
centinaia di persone nello stesso momento strangolandole! Non si sa
nulla sul modo in cui tutto questo è avvenuto. Le persone sapevano
che sarebbero partite per il Cielo? Come è stato possibile ucciderle
senza che nessuno cercasse di fuggire? È un fatto che sembra
indicare che le uccisioni avvenissero individualmente e non in
presenza d'altri. Va inoltre osservato che il gruppo attirava una
maggioranza di donne e che nelle fosse comuni la maggior parte dei
cadaveri è di bambini, poi delle donne (probabilmente le loro madri)
e infine una minoranza di uomini. Sono stati strangolati, forse
alcuni avvelenati. Non si conoscono affatto nè le ragioni nè la
dinamica dei fatti».
Cosa pensa dei due
possibili moventi fin qui avanzati per la tragedia: un massacro voluto
dai capi per fuggire coi soldi, o un massacro voluto dal governo
camuffato da sciagura religiosa?
«Parto dalla seconda ipotesi:
quella del massacro governativo. Non è attendibile. Me lo confermano
gli stessi ugandesi, secondo i quali ipotizzarlo significa accordare
una capacità organizzativa che il governo ugandese non ha. Sono
ipotesi complottiste. E non si vede quale interesse avrebbe avuto il
governo di eliminare centinaia di donne e di bambini».
E che dire
dell'ipotesi dell'omicidio di massa per ragioni finanziarie?
«Si tratta di una teoria che
corrisponde ad uno stereotipo. È la spiegazione più semplice: perché
hanno ucciso tante persone? Per derubarle. Dirlo significa
sottovalutare altri fattori. Si possono elaborare anche ipotesi di
dissensi interni alla setta, ipotesi relative al potere, ipotesi di
follia pura. Anche se in quest'ultimo caso bisogna immaginare che la
follia sia stata condivisa con altre persone, dato che solo due o
tre persone difficilmente possono uccidere così tanta gente. È vero
che nel caso dell'Ordine del tempio Solare una decina di persone
(non prive d'intelligenza) erano state convinte al passo del
suicidio collettivo portando con loro nella morte decine d'altre
persone. L'idea che i dirigenti abbiano convinto un gruppetto di
fedeli anche nel caso ugandese non è certo da scartare. Ma va detto
chiaro e forte: per ora tutte le teorie che sono state elaborate
sono congetturali. Occorrerebbe una serissima inchiesta con
possibilità tecniche difficili da avere sul posto evitando
interpretazioni stereotipate».
Ma è quasi
impossibile dato che molti corpi sono irriconoscibili dopo il rogo.
«È vero. Anche dopo i fatti di
Cheiry e Salvan, e in un Paese più attrezzato come il nostro, ci
sono volute le lastre dentarie e in alcuni casi le analisi del DNA
per stabilire con certezza la morte di alcune persone. Tutto questo
in Uganda appare quasi impossibile. Ci sono problemi tecnici che
lasciano intendere che una buona parte dei corpi non saranno mai
identificati».
Intervista di
Carlo Silini |