27.07.2006
L’ABBRONZATURA, IL LIFTING E LA “BELLA
RAGAZZA” DI NAZARETH…
Guardatevi attorno: tutto è un grido verso quel 15 agosto…
Sembra ieri che abbiamo vinto il campionato del mondo di calcio e già le
belle bandiere tricolori messe a sventolare sulle finestre, sulle
terrazze, nei bar o nei bagni al mare si sono scolorite. Erano così
scintillanti. Ora sono inguardabili. Ne vedi alcune sfilacciate e
strappate dal vento, altre consunte dal sole, altre ancora sporcate dalla
pioggia. E’ incredibile come facciano presto, le bandiere, a sciuparsi.
Tutte le bandiere. Non fai in tempo a crepare per loro che sono già
diventate un cencio indecente. Da vessilli garruli e trionfanti in poco
tempo diventano stracci tristi e smorti. E’ la parabola inevitabile delle
cose. E anche dei sogni.
Eppure c’è una speranza. Splenderà proprio a Ferragosto e molti non se ne
accorgeranno. E’ vero che le bandiere si consumano, i vestiti si
sgualciscono, il giornale di ieri è già ingiallito e illeggibile, i campi
di grano appena ieri pieni di spighe dorate, sembrano già steppe
autunnali. I boschi cominciano a ingiallire e anche i fiori appassiscono.
“Se son rose sfioriranno” dice una fulminante battuta di Montanelli. Una
polvere impalpabile si posa incessantemente su tutte le cose. Guardi casa
tua, ti sembra solida e robusta e invece ha bisogno di continua
manutenzione, perché tutto invecchia e si guasta, si corrompe. Tutto tende
al disordine, tutto decade e s’incasina, dice un fondamentale principio
della fisica. Tutto si consuma.
Di solito evitiamo distrattamente di pensarci. Ma la prima cosa a
decadere, consumarsi, guastarsi è il nostro stesso corpo. Osservare gli
esseri umani sulla spiaggia, in questi giorni d’estate, è impressionante.
Il vigore e la formosa armonia dei corpi giovani, orgogliosamente esibiti,
fanno pensare alla scultura gotica, quella che rende leggero il marmo
delle cattedrali e dà quasi la sensazione che lo proietti nel cielo
vincendo la forza di gravità. Ma nel giro di qualche anno la forza di
gravità si prenderà la sua rivincita: tutto cala, cade, si affloscia, si
sforma, si usura. La terra chiama la terra verso di sé. Polvere sei e
polvere tornerai. E allora cominciano i poderosi e continui lavori di
manutenzione: tingere quei capelli imbiancati, tirar su quei glutei
cadenti, stirare quelle rughe, consumare quel grasso in eccesso,
cancellare quelle borse sotto gli occhi. Lavori interminabili, continui,
costosi, instancabili come per tirar su ogni giorno un muro che la notte
crolla. E poi la visita dall’oculista perché non si legge più bene senza
occhiali e i capelli che cadono. E quei doloretti alle spalle.
Si tenta di fermare in ogni modo (vanamente) l’invecchiamento. Si vorrebbe
fermare l’attimo come il Faust di Goethe, ma svaniscono perfino gli imperi
millenari, figuriamoci i singoli. “Tutto al mondo passa e quasi orma non
lascia”, avverte Leopardi. Gli attimi della vita quotidiana sembrano non
passare mai, ma sono gli anni che corrono imperterriti. Implacabili. In un
batter d’occhio. E un sottile strato di polvere copre tutte le cose.
Quella noia impalpabile che alla fine ammoscia perfino gli amori più
ardenti e gli ideali più infiammati. E’ il peso della natura decaduta. La
forza di gravità.
D’altra parte perfino i giovani investono giornate e sforzi sovrumani
nell’immane quanto vana opera di manutenzione: a “scolpirsi” in palestra,
a profumarsi e abbronzarsi. Poveretti, è come costruire i castelli sulla
sabbia, come scrivere un nome amato sul bagnasciuga, questo illusorio
fuggire dall’offesa del tempo. In fin dei conti è della carnalità del
nostro essere che abbiamo terrore. Tutto ci ricorda il suo continuo
corrompersi. Sudare è segno del degrado biologico a cui siamo sottoposti,
l’odore stesso del corpo deve essere bandito, la nostra società è
asettica: è proibito sudare, i corpi devono emanare solo profumo, nulla
che sia segno di putrefazione.
L’epoca apparentemente più “materialista” ed edonista, la nostra, in
realtà ha orrore della carne. Siamo tutti gnostici senza saperlo. Lo
dimostrano l’enorme crescita delle nostre spese per cosmetici e l’orrore
che abbiamo per il corpo malato, per la carne sofferente. Lo sconvolgente
crocifisso di Grunewald, il più drammatico di tutta la storia dell’arte,
fu concepito dal pittore tedesco del Quattrocento per i malati di lebbra e
di Fuoco di S. Antonio che affollavano quella cappella disperatamente per
pregare, ritrovando sulle carne devastata del Dio-Uomo, le proprie stesse
piaghe, il proprio strazio.
Alla fine gli unici trionfalmente “materialisti” restano i cristiani. “E’
una Carne che salva la carne”, diceva un padre della Chiesa come s.
Ambrogio. Nei “Fratelli Karamazov” – ottima lettura per l’estate -
Dostoevskij racconta la storia di un parricidio che è più di un
parricidio. Il vecchio Fedor Pavlovic Karamazov, padre dei tre fratelli,
esprime infatti al massimo la terrestre carnalità che ci fa orrore: viene
descritto volgare e violento, meschino e cinico, un “misero buffone”. E’
fisicamente calvo, nasone, bocca larga, doppio mento. Provoca ripulsa
fisica nei tre figli. Ma mentre Ivan e Dimitrij lo disprezzano
apertamente, Alioscia si fa monaco e pensa di evitare l’odio della carne
scegliendo lo spirito e scegliendo un “padre spirituale” come il santo
starets Zosima. Però il monaco gli dà la lezione più importante morendo:
il suo corpo infatti comincia subito a emanare cattivo odore. Alesa prima
ne è scioccato, sconvolto, poi comprende che anche quel santo è fatto di
carne come suo padre: esce dalla stanza, scoppia in un pianto dirotto e
gettandosi a terra abbraccia tutto il creato. Comprende che la fede in
Cristo non è una fuga nello spirituale, ma è la certezza sull’unico Dio
che ha preso la carne umana e il suo dolore vincendo la forza di gravità
della natura decaduta, che ha manifestato con i miracoli il suo dominio
sul creato, sulla malattia e perfino sulla putrefazione della carne con la
resurrezione.
Alioscia comprende che il destino dell’uomo non è la decomposizione buia e
disperata del corpo e non è neanche solo la “salvezza dell’anima”, ma è la
resurrezione della carne, la glorificazione di tutto il nostro essere e la
“divinizzazione”. E capisce che questa forza è entrata nella storia e
questa nuova storia è già cominciata. Con la prima creatura che vive già
questa glorificazione della carne, questa eterna giovinezza, questa
bellezza che non si corrompe e non passa: Maria.
Nel paesetto dove mi trovo, sulla costa toscana vicino a Bolgheri, la
chiesina è in mezzo alla pineta, vicino al mare. La parrocchia celebra la
sua festa il 15 agosto: l’Assunta, cioè l’Assunzione di Maria in cielo in
corpo e anima. Così a ferragosto si porta in processione per le vie,
normalmente popolate di gente in costume, alle prese con le guerre dei
corpi, la raffigurazione della “Bella Ragazza” di Nazareth, del suo corpo
che è già in Cielo, glorificato, del suo volto eternamente giovane,
bellissimo. Come il suo cuore. I cristiani sono considerati strani
soggetti. Ma in realtà danno corpo alla segreta speranza di tutti.
© “Libero” 25 luglio 2006 - Antonio Socci
INDIETRO
|