Il giogo cinese.
Intervista con il vescovo di Hong Kong, Giuseppe Zen Ze-kiun
di Luigi Geninazzi
D. – Eccellenza, c'è chi ammira la Cina per il suo impetuoso sviluppo
economico e chi la ritiene una minaccia per il mondo. Dal suo punto
d'osservazione come la giudica?
R. – “Al di là di tante analisi, s'impone una constatazione: in Cina
continua ad esistere un giogo molto pesante. Il partito comunista vuole
controllare tutto, non solo le strutture ma anche la mente e il cuore dei
cittadini. Oggi i metodi sono un po' cambiati ma la realtà di fondo è
rimasta la stessa. Nessuno osa dire davvero quello che pensa. Prenda il
caso di Hong Kong: il governo di Pechino ne garantisce formalmente
l'autonomia e siamo ancora liberi di fare sentire la nostra voce. Ma
giorno dopo giorno sta estendendo il suo controllo in modo molto netto e
deciso. Non vorrei però sembrarle troppo pessimista. Da questo giogo ci si
può anche liberare”.
D. – A chi si riferisce?
R. – “Alla Chiesa, evidentemente! La mia convinzione, che cerco di
esprimere in modo sommesso perché potrebbe provocare la dura reazione di
Pechino, è che i cattolici stanno vincendo. Con pazienza e tenacia stanno
conquistando significativi spazi di libertà. Il governo comunista
controlla le strutture, non più i cuori e le menti dei fedeli. Dopo tanti
anni di separazione forzata in Cina la Chiesa cattolica di fatto è ormai
una sola, tutti vogliono stare uniti al papa”.
D. – Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea rimangono però ancora distinte.
Che cosa manca alla piena riconciliazione?
R. – “L'ostacolo è, come sempre, il controllo esercitato dal partito . Mi
spiego. La Chiesa ufficiale cinese fa capo a due grandi strutture, la
conferenza episcopale e l'Associazione patriottica dei cattolici, che in
realtà è la longa manus del partito comunista per controllare la
Chiesa. La conferenza episcopale da due anni è senza presidente; dopo la
morte del titolare non riescono a trovarne uno che sia ‘affidabile’. Il
capo dell'Associazione patriottica, il vescovo di Pechino Michele Fu, è
malato e soprattutto è molto screditato agli occhi dei fedeli. Insomma, le
due strutture ufficiali sono senza vertice. Chi comanda è il signor Liu
Bai Nie, il segretario esecutivo dell'Associazione patriottica. Ma è un
padrone che rischia di rimanere senza seguito”.
D. – Che cosa è successo?
R. – “Molti vescovi, nominati dal governo di Pechino, non avevano pace nel
loro cuore e desideravano essere riconosciuti dalla Santa Sede. A partire
dagli anni Ottanta Giovanni Paolo II, con grande generosità, ha accolto
tali richieste. Attualmente l'85 per cento dell'episcopato della Chiesa
ufficiale cinese ha ottenuto la legittimazione dal Vaticano. Ormai i
vescovi che non sono approvati da Roma si sentono emarginati, sono
rifiutati dal clero e dai fedeli. La cosa nuova è che, mentre in passato
erano i vescovi già nominati dal governo a chiedere l'approvazione
pontificia, adesso sono i candidati all'episcopato della Chiesa ufficiale
che si preoccupano d'avere la nomina della Santa Sede. È una situazione
interessante ma non priva di rischi, in quanto non sempre il candidato
scelto dal governo è il nome ideale per il Vaticano”.
D. – La Santa Sede ha ribadito recentemente la disponibilità ad allacciare
rapporti diplomatici con la Cina comunista, rompendo con Taiwan e
trasferendo il nunzio da Taipei a Pechino. Siamo vicini ad uno storico
accordo?
R. – “La Chiesa universale è attenta ai milioni di fedeli della Cina
comunista ed è pronta a compiere un passo molto doloroso. Ma dobbiamo
spiegare bene ai fedeli di Taiwan che [il trasferimento della nunziatura]
non è un tradimento ma una necessità imposta dalle cose. Insomma, non è
una decisione da sbandierare a cuor leggero. E poi, cosa ci viene dato in
cambio? Il governo di Pechino è pronto a concedere la libertà religiosa?
Questo è il punto”.
D. – Qual è la sua impressione?
R. – “Io noto che, mentre il Vaticano spinge per un accordo, i comunisti
cinesi non hanno alcuna fretta. Prima vogliono sistemare alcuni problemi,
ad esempio le nomine episcopali in molte diocesi che sono vacanti. Ed ho
l'impressione che l'Associazione patriottica tenterà di piazzare i suoi
uomini per contrastare le nomine che ha dovuto subire negli ultimi tempi,
come quella del vescovo ausiliare di Shanghai. Non vedo un'intesa dietro
l'angolo, ci vuole ancora tempo”.
D. – È vero che papa Karol Wojtyla le chiese aiuto per realizzare un suo
grande desiderio, quello di visitare la Cina?
R. – “Era l'inizio del 1997, conversammo a lungo ed il Santo Padre non
faceva altro che ripetere: Voglio andare in Cina! Ma io risposi: Non posso
fare nulla! Si parlò di un possibile viaggio a Hong Kong per la
conclusione del sinodo asiatico. Ma il governo di Pechino disse subito di
no”.
D. – La Cina ha sempre più peso e prestigio sulla scena internazionale, è
entrata nella WTO e ospiterà le Olimpiadi nel 2008. Tutto questo può
influenzare positivamente i rapporti con il Vaticano?
R. – “Non c'è una risposta univoca. La Cina non dev'essere isolata,
d'accordo. Ma dobbiamo valutare attentamente gli effetti delle aperture
internazionali. Ad esempio, quando Pechino organizzò i Giochi asiatici non
ci fu una ventata di libertà. Anzi, ci furono vescovi e preti incarcerati.
E ancora oggi le repressioni continuano contro i cattolici e i
dissidenti”.
D. – Eccellenza, lei è sceso in piazza un mese fa insieme con i
dimostranti che vogliono la piena democrazia per Hong Kong. Non teme
l'accusa di coinvolgere la Chiesa in questioni strettamente politiche?
R. – “Mi ascolti bene: la Chiesa cattolica di Hong Kong ha preso parte
alle manifestazioni di due anni fa contro il famoso articolo 23, il
progetto di misure anti-sovversive che limitavano fortemente la libertà
dei cittadini e delle associazioni e che alla fine fu ritirato. Adesso c'è
in gioco la questione del suffragio universale. Secondo la legge
fondamentale [che fa da costituzione per Hong Kong] esso poteva essere
introdotto in modo graduale entro il 2008. Ma le autorità hanno bloccato
tutto, proponendo un pacchetto di riforme che non ha alcun nesso con il
suffragio universale. Io ho voluto semplicemente porre una domanda e l'ho
fatto pubblicamente: Quando potremo arrivare a questo obiettivo? Ci avete
detto: Non ora. Va bene, accettiamo, ma vogliamo sapere quando. È un
diritto dei cittadini, un diritto che la Chiesa non può non difendere”.
Fonte:
Avvenire, 5 gennaio 2006
***
Lo stesso giorno, il 5
gennaio, in cui è uscita l’intervista del vescovo di Hong Kong ad
“Avvenire”, la Kung Foundation e l’agenzia Asia News hanno dato notizia
della sparizione del vescovo non ufficiale di Yongnian, monsignor Han
Dingxian, detenuto dal 1999.
Con lui i vescovi cinesi di cui non si hanno più notizie sono oggi tre,
tutti della regione di Hebei e appartenenti alla Chiesa non ufficiale. Gli
altri due sono Giacomo Su Zhimin, della diocesi di Baoding, arrestato nel
1996, e Francesco An Shuxin, ausiliare della stessa diocesi, arrestato nel
1997.
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