LO
STRANO CRISTIANESIMO DEL CARD. MARTINI, PRODI E CO.
27.04.2006
Una guerra aperta al Papa…
Da sempre la stampa italiana e internazionale accredita al cardinal
Martini un’ immagine progressista, illuminata e tollerante. No Martini, no
party. Anche nella sua ultima intervista all’Espresso egli ostenta inviti
al dialogo, ad astenersi dal giudizio e si oppone a condanne e anatemi. E
tuttavia l’unico che (dai tempi del Concilio) ha sottoposto dei laici a un
tribunale dell’Inquisizione è proprio lui.
Il Giornale di Montanelli – che per primo dette notizia del fatto – titolò
in prima pagina: “A Milano è tornata l’ Inquisizione”. Accadde nel 1987,
quando la diocesi di Milano, guidata da Martini, sottopose a processo
canonico il sottoscritto ed altri due giornalisti. Il caso – su cui i
commentatori, a cominciare da Indro Montanelli, versarono fiumi
d’inchiostro – riguardava noi che eravamo laici, non degli ecclesiastici,
né dei teologi e dunque era particolarmente assurdo, anche perché noi non
eravamo imputati per aver messo in discussione dei dogmi della fede
cattolica (alla quale, anzi, aderivamo totalmente), ma solo per aver
espresso liberamente le nostre idee critiche sugli intellettuali cattolici
che si erano accodati al conformismo progressista.
Era paradossale, perché si poteva mettere in discussione l’Immacolata
Concezione, ma non Scoppola, padre Sorge, Prodi, Alberigo, Dossetti o
Lazzati. In quegli anni nei libri dei teologi, che magari insegnavano nei
seminari e nelle università ecclesiastiche, si metteva in discussione
tutto (dalla resurrezione di Gesù, alla storicità dei vangeli, dai dogmi
su Maria, al primato di Pietro), ma a finire sotto la scure
dell’Inquisizione (milanese) fummo noi che, stando dalla parte del Papa,
osavamo mettere in discussione il “magistero parallelo” degli
intellettuali: sia quello di certi teologi che quello degli intellettuali
progressisti. Come finì? Finì che la Curia di Milano impose un’abiura,
come ai tempi del caso Galileo: non poté ottenerla dal sottoscritto, ma la
ottenne dal giornale per il quale scrivevo che, essendo un settimanale
cattolico, non poteva dire no al cardinale di Milano. Dovette subire, con
tanti saluti alla libertà di coscienza e alla tolleranza.
La vicenda mi è tornata in mente in questi giorni proprio per la clamorosa
intervista di Martini all’Espresso. Che rappresenta un segnale
politico-ecclesiale molto esplicito. Innanzitutto per la scelta – come ha
detto monsignor Maggiolini - di affidare riflessioni così delicate a “un
settimanale non soverchiamente pio” come l’Espresso. Poi per avere deciso
la forma del “dialogo filosofico” con un senatore neo eletto dei Ds, il
professor Ignazio Marino, che è in predicato di fare il ministro della
Sanità nel governo Prodi e che il cardinale ha definito “credente”, dando
una notizia sorprendente perché dai suoi argomenti non si sarebbe evinto.
Ma l’intervista ha un peso anche nella Chiesa. Il vaticanista
dell’Espresso, Sandro Magister, ha sottolineato che è stata fatta (e
lanciata con clamore) proprio “negli stessi giorni in cui i media di tutto
il mondo illustravano e commentavano il primo anno da papa di Benedetto
XVI ”. Osserva Magister: “Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, il
cardinale Martini è stato universalmente considerato come il più
autorevole esponente dell’opposizione ‘progressista’. E il medesimo
giudizio continua a circolare, su di lui, anche in rapporto al papa
attuale”.
Magister sottolinea tutti i passaggi in cui Martini si oppone o si
differenzia dall’insegnamento del Papa e della Chiesa. E conclude
ricordando che il Papa lo scorso 6 aprile aveva avuto per lui parole molto
belle, in pubblico, in piazza San Pietro: “due settimane dopo il cardinale
Martini” nota Magister “ha risposto con il primo grande atto di
opposizione a questo pontificato, ai livelli alti della Chiesa”.
Questo è l’aspetto più grave. Perché Martini è il simbolo a cui guarda
quel mondo cattoprogressista che sta anche dietro a Romano Prodi. Certo,
ci sono nell’intervista martiniana passaggi particolarmente pesanti. Come
quello in cui il prelato chiede alla Chiesa “il superamento di quel
rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale” (e addirittura
attribuisce questo rifiuto non alla Chiesa, ma – vagamente – a “non pochi
ambienti”, come se la Chiesa fosse un centro culturale). Ma il problema
maggiore è che Martini sembra ridurre tutti questi gravi argomenti morali
(fecondazione, aborto, contraccezione, eutanasia), su cui la Chiesa ha un
magistero preciso e che impegna i fedeli, a livello dell’opinabile, dove
non esistono autorità, ma ciascuno, cattolico o no, può avere la sua idea
e fare come crede. Ciò ricorda più la prassi dei protestanti che la Chiesa
Cattolica. Nell’intervista ovviamente ci sono anche spunti interessanti,
che potrebbero pure essere accolti, ma colpisce il sostanziale
soggettivismo. E’ questo, credo, che induce un osservatore attento come
Magister, a ritenere il pronunciamento di Martini come “il primo grande
atto di opposizione a questo pontificato, ai livelli alti della Chiesa”.
Del resto non sorprende chi ricorda l’ostilità di questo mondo
cattoprogressista verso Giovanni Paolo II. Particolarmente dura fu negli
anni in cui la stampa laica e di sinistra accusava papa Wojtyla di essere
un integralista, un polacco anticomunista, un reazionario, un
fondamentalista.
In un libretto uscito dal Mulino nel 2003, “A colloquio con Dossetti e
Lazzati”, dove Leopoldo Elia e Pietro Scoppola pubblicano le loro
conversazioni del novembre 1984 con i due vecchi intellettuali cattolici,
l’ostilità per Papa Wojtyla tracima da ogni parte (perfino con la critica
di Dossetti al rinnovo del Concordato). Ma c’è anche la liquidazione
snobistica del cardinale Ratzinger.
Dossetti ha alcuni passaggi un pochino megalomani (“la mia esperienza
assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso… io agivo come
partigiano”). Ma soprattutto in Lazzati emerge la virulenta ostilità verso
certi movimenti cattolici che sembra addirittura odiare. Dice poi Lazzati:
“I rapporti fra Cei e papa non sono certo i migliori… il papa non si rende
conto della situazione italiana, chiuso com’è nel modello della sua
esperienza polacca… non per niente appoggia movimenti come Comunione e
liberazione e l’Opus Dei”. E ancora: “Il Concilio si sta svuotando”.
Dossetti aggiunge che è “un’infedeltà gravissima di ordine sostanziale a
tutti i livelli”. Poi a proposito dell’Opus Dei Dossetti ha parole molto
pesanti.
Sono gli stessi apologeti di Lazzati a rilevare che “il suo giudizio sul
pontificato di Wojtyla è senza sconti”. Lo scrivono Malpensa e Parola nel
volumone “Lazzati” (Il Mulino) dove danno anche una ricostruzione faziosa
e completamente sbagliata dal “caso Lazzati” (quello del mio processo
ecclesiastico) addirittura coinvolgendo “un cardinale amico” e l’on.
Andreotti (che non c’entrarono per niente) nella pubblicazione dei nostri
articoli.
L’ “autonomia” dalla Chiesa di Roma di questo “magistero parallelo”
(Martini e compagni) ricorda l’autonomia rivendicata da Romano Prodi,
degno erede politico di questi ambienti, nel recente referendum sulla
fecondazione assistita. Definendosi “cattolico adulto” Prodi liquidò le
indicazioni morali molto vincolanti della Chiesa sul voto nel referendum e
declassò automaticamente il popolo cristiano a “minorenni”. Del resto il
suo programma sui temi della vita, sui Pacs e via dicendo è quello che è.
E poi c’è la forte polemica che ha investito Prodi quando George Bush pose
il veto al finanziamento di alcuni organismi internazionali accusandoli di
appoggiare le politiche demografiche ed abortive, soprattutto nel terzo
mondo, e “la Commissione europea”, presieduta da Prodi, ha scritto Lucetta
Scaraffia “ha deciso di colmare con i propri fondi… stanziando 32 milioni
di euro”, scelta fatta “senza obiezioni pubbliche del presidente”. Non so
come se la sarà cavata Prodi con la sua coscienza (perché il Codice di
diritto canonico è molto pesante in questa materia). Ma avrà certamente
trovato un modo da “cattolico adulto”.
Del resto lo stesso caso della “seduta spiritica” sul “caso Moro”, a
volerla considerare seriamente (la Chiesa condanna molto duramente lo
spiritismo), dimostra anch’essa una certa disinvoltura dottrinale,
soprattutto da parte di un docente universitario cattolico, che è stato
proposto nelle parrocchie come cattolico esemplare. Ma forse questo è il
“cattolicesimo adulto”. E lo deve essere anche quello di Giuseppe
Alberigo, simbolo del mondo cattolico progressista che fu assistente di
Dossetti al Concilio. Il professore, che per decenni, con il suo centro
bolognese, ha diffuso un’immagine ideologica e di parte del Concilio
(recentemente criticata anche dal cardinal Ruini), in una stupefacente
intervista alla “Repubblica”, se n' è uscito fra l’altro con questo
racconto che, nelle sue intenzioni, dovrebbe spiegare come e perché il
Concilio “ruppe con l’immobilismo degli anni Cinquanta”. Eccolo: “in
quegli anni talvolta veniva a casa un padre benedettino, pio e assai
famoso. Si fermava anche a dormire. Una sera, sul finire del 1953, al
momento delle preghiere chiamò me e mia moglie Angelina: ‘E ora preghiamo
per la morte del Pontefice’. Con mia moglie ci guardammo stupefatti: Papa
Pio XII stava benissimo. Lui, quieto, replicò al nostro disagio: ‘Ora il
Santo Padre è un peso per la Chiesa. Preghiamo perché il Signore se lo
prenda presto’ ”. E questo era il religioso “pio e famoso”. Il popolo
cattolico stava, allora come oggi, con il papa, ma il “magistero
parallelo” lo pretende al suo seguito. Come Pannella.
Di Antonio Socci
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