MEGLIO CREDERE IN DIO
CHE IN “DICO”... |
C’è un aspetto tutto interno al mondo
cattolico nella polemica che si è scatenata sui “Dico”. Un gruppo di
cattolici progressisti hanno lanciato un appello ai vescovi perché si
auto-imbavaglino e non pubblichino la Nota annunciata da Ruini, che
impegnerebbe i parlamentari cattolici a un voto in difese della famiglia.
Costoro scrivono: “L’annunciato intervento della presidenza della Cei, che
imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui
‘diritti delle convivenze’, è di inaudita gravità. Con un atto di questa
natura l’Italia ricadrebbe nella deprecata condizione di conflitto tra la
condizione di credente e quella di cittadino”.
A parte l’assurdità dell’argomento – il cristiano infatti è e deve
essere sempre“nel mondo, ma non del mondo” – è strana questa richiesta di
autocensura. Chi ama la libertà non può pretendere che qualcuno si
imbavagli. Inoltre la Chiesa in materia si è già pronunciata. La
Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal cardinal
Ratzinger, in data 3 giugno 2003, emanò il documento
CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI DI RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI TRA
PERSONE OMOSESSUALI, approvato e fatto pubblicare da Giovanni
Paolo II. In esso si leggeva:
“Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale
delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare,
nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di
progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener
presenti le seguenti indicazioni etiche.
Nel caso in cui si proponga per la prima volta all'Assemblea legislativa
un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni
omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di
esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il
progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un
testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è
un atto gravemente immorale.”
Quindi, come si vede, il pronunciamento della Chiesa, impegnativo per i
politici, c’è già. Allora di cosa discutiamo? Infine un’ultima
considerazione: da anni attaccano Pio XII per i suoi presunti silenzi
contro le persecuzioni antisemite (silenzi che non ci furono, Pio XII fece
salvare migliaia di ebrei), se ne dovrebbe evincere che la Chiesa non deve
mai tacere quando vede messi in discussioni valori fondamentali e non
negoziabili. Perché allora intimano alla Chiesa di tacere contro un
progetto del potere che mina uno dei valori morali essenziali della
tradizione cristiana e della civiltà? Rosy Bindi ha affermato: “Io amo
pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio”. E Pietro Scoppola si
è associato. Attenzione, con questo criterio allora veramente la Chiesa
non avrebbe dovuto parlare contro i totalitarismi che hanno devastato il
Novecento. Forse è il caso di fare un bagno di umiltà e ascoltare il Papa.
I CATTOLICI DI DIO E QUELLI DELLE POLTRONE
di Antonio Socci
Il ministro Rosy Bindi, già vicepresidente dell’Azione Cattolica, oggi
chiamata “Rosy nel pugno”, per difendere i suoi Dico ha sparato così
contro Benedetto XVI e il cardinale Ruini: “Io amo pensare alla Chiesa che
si occupa delle cose di Dio”. Padre Livio Fanzaga, dai microfoni di Radio
Maria, ha risposto: “noi ameremmo che i politici non si occupassero solo
delle proprie poltrone”.
Ormai siamo alla resa dei conti dentro al mondo cattolico. Da una parte i
cattolici del popolo come Savino Pezzotta che conosce le difficoltà delle
famiglie a tirare avanti e far crescere i figli (anche per colpa delle
politiche del governo). Pezzotta ieri ha sparato a zero – da Avvenire –
sui Dico e in difesa della libertà di parola della Chiesa. Dall’altra
parte ci sono i cattolici del potere, culturalmente subalterni alla
Sinistra, come Oscar Luigi Scalfaro che ieri – sulla Repubblica – si è
lanciato anche lui all’attacco del Papa e del cardinal Ruini.
Il peggior presidente della nostra storia repubblicana vuole insegnare a
Benedetto XVI a fare il papa e a Ruini a fare il presidente della Cei.
Scalfaro evoca Giovanni XXIII per contrapporlo al pontefice vivente e
intima alla Cei di non fare “una imposizione” (si riferisce alla “nota”
sui Dico che è stata annunciata da Ruini), ma di comportarsi come papa
Roncalli con l’enciclica “Mater et Magistra”.
Scalfaro – come al solito superficiale – neanche l’ha letta quella
enciclica giovannea. Altrimenti avrebbe trovato lì esattamente le stesse
posizioni della Chiesa di oggi. Anzi, sembra quasi il “manifesto” a cui si
attengono Benedetto XVI e Ruini. Con buona pace dei professori Alberigo,
Melloni e compagni che si dichiarano “roncalliani” e hanno appena lanciato
un appello perché la Chiesa si auto-imbavagli sui Dico.
Innanzitutto Giovanni XXIII afferma che “la Chiesa è portatrice e
banditrice di una concezione sempre attuale della convivenza” e “il sommo
Pontefice ribadisce il diritto e il dovere della Chiesa di portare il suo
insostituibile contributo alla felice soluzione degli urgenti, gravissimi
problemi sociali che angustiano la famiglia umana”. Quindi c’è la denuncia
del “processo di disintegrazione della famiglia”. Papa Giovanni – con Pio
XII – “rivendica alla Chiesa la inoppugnabile competenza di giudicare se
le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con l’ordine
immutabile che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo del
diritto naturale e della rivelazione… e coglie l’occasione per dare
ulteriori principi direttivi morali” sui “valori fondamentali della vita
sociale” fra cui c’è “la famiglia”.
A proposito della quale, il papa afferma: “dobbiamo proclamare
solennemente che la vita umana va trasmessa attraverso la famiglia,
fondata sul matrimonio uno e indissolubile, elevato, per i cristiani, alla
dignità di sacramento”. Non manca un altro “a fondo” di Roncalli che oggi,
i sedicenti “roncalliani”, definerebbero integralista: “La vita umana è
sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di
Dio. Violando le sue leggi, si offende la sua divina maestà, si degrada se
stessi e l’umanità e si svigorisce altresì la stessa comunità di cui si è
membri”. E, con toni “ruiniani”, aggiunge: “l’ordine morale non si regge
che in Dio: scisso da Dio si disintegra. L’uomo infatti non è solo un
organismo materiale, ma è anche spirito dotato di pensiero e di libertà.
Esige quindi un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni valore
materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita
individuale ed associata”.
Papa Giovanni spiega pure “l’uomo staccato da Dio diventa disumano con se
stesso e con i suoi simili, perché l’ordinato rapporto di convivenza
presuppone l’ordinato rapporto della coscienza personale con Dio, fonte di
verità, di giustizia e di amore”.
Sembrano parole di Ratzinger e Ruini, ma è papa Giovanni: “resta sempre
che l’aspetto più sinistramente tipico dell’epoca moderna sta nell’assurdo
tentativo di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo
prescindendo da Dio, unico fondamento sul quale soltanto può reggere”.
Come se non bastasse, sempre nella “Mater et Magistra”, Giovanni XXIII
ribadisce che “tra comunismo e cristianesimo l’opposizione è radicale,
e non è da ammettersi in alcun modo che i cattolici aderiscano al
socialismo moderato”.
Diranno - Scalfaro, la Bindi, Alberigo e compagni – che tuttavia questi
pronunciamenti non sono come “l’annunciato intervento della Cei” che – a
loro dire – “imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare” i Dico. In
realtà non c’è proprio nessuna imposizione, ma solo il giudizio della
Chiesa che è impegnativo per chi vuole dirsi – davanti agli elettori -
cattolico. D’altronde lo stesso Giovanni XXIII – che Scalfaro, Alberigo e
compagni additano ad esempio – fece un intervento sulla politica ben più
pesante di quello annunciato da Ruini. Gli storici hanno rimosso questo
fatto. La disinformazione ha fatto il resto, come appariva chiero ieri
sulla Stampa dove Lietta Tornabuoni evocava la “scomunica verso i
comunisti” del 1949 e aggiungeva: “ben presto la scomunica venne
dimenticata”. Le cose non andarono affatto così perché, dieci anni dopo,
proprio papa Giovanni aggravò e di molto quella scomunica.
Ecco i fatti. Con un “Decretum contra communismum”, approvato da Pio XII,
il S. Uffizio, nel luglio 1949, dichiarava che non era lecito a un
cattolico “iscriversi al partito comunista o sostenerlo”. Con un giudizio
particolarmente attuale il S. Uffizio affermava: “i capi comunisti,
sebbene a volte sostengano a parole di non essere contrari alla Religione,
di fatto sia nella dottrina sia nelle azioni si dimostrano ostili a Dio,
alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo”.
Dunque ai cattolici che li sostengono fu negato l’accesso ai sacramenti:
“i cristiani che professano la dottrina comunista
materialista e anticristiana, e soprattutto coloro che la difendono e la
propagano, incorrono ipso facto nella scomunica riservata alla Sede
Apostolica, in quanto apostati della fede cattolica”.
Dieci anni più tardi – nell’aprile 1959, era papa Giovanni XXIII – lo
stesso S.Uffizio aggravò questo pronunciamento: “Non è lecito ai cittadini
cattolici dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o
candidati che, pur non professando princìpi contrari alla dottrina
cattolica o anzi assumendo il nome cristiano, tuttavia nei fatti si
associano ai comunisti e con il proprio comportamento li aiutano”.
In data 2 aprile Giovanni XXIII approvò tale pronunciamento e ne dispose
la pubblicazione. Siccome non risulta che questi pronunciamenti siano
stati rinnegati, sarebbe interessante sapere se non rientrino in questa
fattispecie anche coloro che hanno votato partiti oggi alleati di partiti
comunisti (fra i quali spiccano diversi vescovi). Lo stesso progetto del
“Partito democratico” – con cui la sinistra dc si suiciderebbe
definitivamente, sciogliendosi nell’ex Pci - uscirebbe a pezzi da un tale
giudizio dottrinale. Se si rispettano queste direttive di papa Giovanni i
cattolici non possono che contrapporsi ai partiti comunisti e pure ai
partiti che vi si alleano. In ogni caso è evidente che l’ “anatema” di
papa Giovanni fu ben più forte e solenne della “Nota” annunciata da Ruini.
Peraltro oggi la Chiesa, nel contestare i Dico, non fa che richiamare
l’articolo 29 della Costituzione (che riconosce “i diritti famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio”) e così mette in scacco non solo
la Sinistra, ma tutti quei cattolici dossettiani (e pure Scalfaro) che
negli anni passati – in polemica col centrodestra – hanno sacralizzato la
Costituzione, dichiarandola perfetta e immodificabile. Mentre oggi la
cestinano.
Da “Libero” 16 febbraio 2007
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