Un rabbino discute col papa.
E ciò che li divide è sempre Gesù.
Il rabbino è Jacob Neusner, lo
stesso al quale Benedetto XVI dedica molte pagine del suo ultimo
libro. A giudizio di entrambi, le dispute tra ebraismo e
cristianesimo devono non occultare ma portare alla luce le
rispettive pretese di verità. |
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ROMA, 11 giugno 2007 – Nel libro "Gesù di
Nazaret" scritto da Joseph Ratzinger prima e dopo la sua elezione a papa,
c'è un autore vivente citato e discusso molto più di altri. Nel capitolo
quarto dedicato al Discorso della Montagna, Ratzinger si sofferma su di
lui per almeno quindici pagine.
Questo autore è un ebreo osservante e rabbino, Jacob Neusner. Vive negli
Stati Uniti e insegna storia e teologia dell'ebraismo al Bard College,
Annandale-on-Hudson, di New York. Nel 1993 pubblicò un libro che colpì
moltissimo l'allora cardinale Ratzinger: "A Rabbi Talks with Jesus", edito
in Italia da Piemme nel 1996 con il titolo "Disputa immaginaria tra un
rabbino e Gesù".
In "Gesù di Nazaret" il papa spiega perché questo libro lo impressionò
così positivamente. In esso "l'autore prende posto in mezzo alla schiera
dei discepoli sulla 'montagna' della Galilea. Ascolta Gesù [...] e parla
con Gesù stesso. È toccato dalla grandezza e dalla purezza delle sue
parole e tuttavia inquietato da quella finale inconciliabilità che trova
nel nocciolo del Discorso della Montagna. Accompagna poi Gesù nel suo
cammino verso Gerusalemme [...] e sempre riprende a parlare con lui. Ma
alla fine decide di non seguire Gesù. Rimane fedele a quello che egli
chiama l'Israele eterno".
Il nodo cruciale che trattiene il rabbino dal credere in Gesù è il suo
rivelarsi come Dio: che è poi lo stesso scandalo che portò Gesù alla
morte. A giudizio di Ratzinger, sta proprio qui il valore del libro di
Neusner. Il colloquio immaginario tra il rabbino ebreo e Gesù "lascia
trasparire tutta la durezza delle differenze, ma avviene in un clima di
grande amore: il rabbino accetta l'alterità del messaggio di Gesù e si
congeda con un distacco che non conosce odio e, pur nel rigore della
verità, tiene sempre presente la forza conciliatrice dell'amore".
Per Benedetto XVI è questa la via del vero dialogo tra ebrei e cristiani.
Non occultare le rispettive pretese di verità, ma portarle alla luce nella
comprensione e nel rispetto reciproci.
Ed è questo anche il pensiero di Neusner:
"Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un
mezzo per politiche di conciliazione sociale, non è stato più un'indagine
religiosa sulle convinzioni dell'altro. [...] Col libro "Gesù di Nazaret"
le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo ora in grado
di incontrarci gli uni gli altri in un promettente esercizio di ragione e
di critica".
Neusner ha commentato il libro del papa in un articolo uscito il 29 maggio
sul quotidiano israeliano "The Jerusalem Post".
Il suo è il primo importante commento a "Gesù di Nazaret" da parte di un
autorevole esponente religioso non cristiano. Anzi, da parte di un
appartenente alla fede ebraica. Eccolo in una nostra traduzione:
Il mio ragionare col papa
di Jacob Neusner
Nel Medio Evo i rabbini
erano costretti a impegnarsi, davanti a re e cardinali, in dispute con i
sacerdoti su quale fosse la vera religione, l'ebraismo o il cristianesimo.
Il risultato era predeterminato: i cristiani vincevano perché avevano la
spada.
Poi negli anni dopo la seconda guerra mondiale le dispute hanno lasciato
il posto alla convinzione che le due religioni dicano la stessa cosa; e le
differenze tra esse sono state declassate a questioni secondarie.
Ora invece è iniziato un nuovo tipo di controversia, nel quale è la verità
delle due religioni a essere al centro del dibattito. Ciò segna un ritorno
alle antiche dispute, con la loro intensa serietà circa la verità
religiosa e la loro volontà di porre le questioni di fondo e di impegnarsi
nelle risposte.
Il mio libro, "A Rabbi Talks with Jesus" [edito in Italia da Piemme nel
1996 con il titolo: "Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù", oggi
esaurito], è stato uno di questi recenti esercizi di disputa, e ora, nel
2007, il papa nel suo nuovo libro "Gesù di Nazaret" ha raccolto la sfida
punto per punto. Si può immaginare il mio stupore quanto mi dissero che
una risposta cristiana al mio libro "A Rabbi Talks with Jesus" era
contenuta nel capitolo quarto del libro "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI.
Dunque abbiamo dei papi impegnati nel dialogo teologico ebraico-cristiano?
In antico e nei secoli medievali le dispute concernenti proposizioni di
verità religiosa definivano la finalità del dialogo tra le religioni, in
particolare l'ebraismo e il cristianesimo. L'ebraismo affrontò la
questione con vigore, accumulando rigorosi ragionamenti costruiti sui
fatti della Scrittura comune a entrambe le parti impegnate nel confronto.
Narrazioni immaginarie, come "Kuzari" di Giuda Halevi, misero in scena un
dialogo tra ebraismo, cristianesimo e islam, un dialogo presieduto da un
re che cercava la vera religione per il suo regno. L'ebraismo vinse la
disputa davanti al re dei Khazari, almeno nella versione di Giuda Halevi.
Ma il cristianesimo non meno risolutamente cercò dei sostenitori nel
dibattito, confidando di vincere la disputa. Simili controversie
attestavano la comune fede di entrambe le parti nell'integrità della
ragione e negli eventi delle Scritture condivise.
Queste dispute furono abbandonate quando le religioni persero la loro
fiducia nella capacità della ragione di stabilire la verità teologica. Da
lì in poi, ad esempio in "Nathan il saggio" di Lessing, le religioni
furono concepite per affermare una verità comune a tutti, e le differenze
tra le religioni furono accantonate come marginali e non importanti. Si
disse che un presidente americano abbia affermato: "Non importa in che
cosa tu creda, l'importante è che tu sia un buon cittadino". Così le
controversie tra le religioni persero la loro urgenza. L'eredità
dell'Illuminismo con la sua indifferenza alla pretesa di verità delle
religioni promosse la tolleranza religiosa e il rispetto reciproco al
posto del confronto tra le religioni e alla rivendicazione di conoscere
Dio. Le religioni emersero come ostacoli al buon ordine della società.
Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un
mezzo per politiche di conciliazione sociale, non è stato più un'indagine
religiosa sulle convinzioni dell'altro. Il negoziato ha preso il posto del
dibattito, e si è pensato che la pretesa di verità della propria religione
violasse le regole di buona condotta.
Invece, in "A Rabbi Talks with Jesus" ho preso sul serio l'affermazione di
Gesù secondo cui in lui la Torah trova compimento in lui e ho messo a
confronto questa affermazione con gli insegnamenti di altri rabbini, in
una sorta di colloquio tra maestri della Torah. Spiego in una maniera
lucida e niente affatto apologetica perché, se fossi vissuto nella Terra
di Israele del primo secolo e fossi stato presente al Discorso della
Montagna, non mi sarei unito al gruppo dei discepoli di Gesù. Avrei detto
no – anche se in maniera cortese –, sicuro di avere dalla mia parte solide
ragioni e fatti.
Se avessi ascoltato ciò che egli disse nel Discorso della Montagna, per
valide e sostanziali ragioni io non sarei divenuto uno dei suoi discepoli.
Ciò è difficile da immaginare, dal momento che è arduo pensare a parole
più profondamente radicate nella nostra civiltà e nelle sue più profonde
affermazioni degli insegnamenti del Discorso della Montagna e di altri
pronunciamenti di Gesù. Ma è anche arduo immaginare di ascoltare queste
parole per la prima volta, come qualcosa di sorprendente e di esigente,
non come semplici luoghi comuni. Questo è precisamente ciò che io propongo
di fare nelle mie conversazioni con Gesù: ascoltare e argomentare.
Ascoltare insegnamenti religiosi come fosse la prima volta e rispondere ad
essi con sorpresa e meraviglia – questo è il frutto del dibattito
religioso nei giorni nostri.
Ho scritto il mio libro per gettare qualche luce sul motivo per cui,
mentre i cristiani credono in Gesù Cristo e nella buona novella del suo
dominio nel regno dei Cieli, gli ebrei credono nella Torah di Mosè e
formano sulla terra e nelle loro carni un regno di Dio fatto di sacerdoti
e di popolo santo. Questo credo richiede ai fedeli ebrei di dissentire
dagli insegnamenti di Gesù, sulla base che questi insegnamenti
contraddicono la Torah in punti importanti. Quando Gesù s'allontana dalla
rivelazione fatta da Dio a Mosè sul Monte Sinai che è la Torah, egli
sbaglia, mentre Mosè è nel giusto. Nello stabilire il fondamento di questo
dissenso niente affatto apologetico, intendo incoraggiare il dialogo tra i
credenti, cristiani ed ebrei.
Per molto tempo gli ebrei hanno lodato Gesù come un rabbino, un ebreo
veramente come noi; ma per la fede cristiana in Gesù Cristo questa
affermazione è assolutamente irrilevante. Da parte loro i cristiani hanno
lodato l'ebraismo come la religione da cui è venuto Gesù, ma per noi
questo è difficilmente un vero complimento. Abbiamo spesso evitato di
portare allo scoperto i punti di sostanziale differenza tra noi, non solo
in risposta alla persona e alle affermazioni di Gesù, ma specialmente a
proposito dei suoi insegnamenti.
Egli pretese di riformare e portare a compimento: "Vi è stato detto... ma
io vi dico..." E invece noi teniamo fermo, e io l'ho sostenuto nel mio
libro, che la Torah è stata ed è perfetta e non è bisognosa di ulteriori
compimenti, e che l'ebraismo costruito sopra la Torah e i Profeti e gli
Scritti, le parti originariamente orali della Torah messe per iscritto
nella Mishna, il Talmud, il Midrash – questo ebraismo è stato e rimane il
disegno di Dio per l'umanità.
In base a questo criterio ho proposto di stabilire un dissenso ebraico
rispetto ad alcuni importanti insegnamenti di Gesù. È un atto di rispetto
per i cristiani e di onore per la loro fede. Poiché noi possiamo discutere
solo se ci prendiamo reciprocamente sul serio. Possiamo entrare in dialogo
solo se onoriamo sia noi stessi che l'altro. Nella mia immaginaria disputa
tratto Gesù con rispetto, ma voglio anche discutere con lui sulle cose che
dice.
Che cosa è in gioco qui? Se riesco a creare una vivida rappresentazione
della disputa, i cristiani vedranno le scelte che Gesù ha fatto e sapranno
ravvivare la loro fede in Gesù Cristo – ma anche in rapporto all'ebraismo.
Voglio mettere in evidenza le scelte diverse che l'ebraismo e il
cristianesimo vedono confrontarsi nelle Scritture che hanno in comune. I
cristiani capiranno meglio il cristianesimo se saranno consapevoli delle
scelte che esso pone loro davanti; e lo stesso vale per gli ebrei,
rispetto all'ebraismo.
Voglio spiegare ai cristiani perché io credo nell'ebraismo; e questo
dovrebbe aiutare i cristiani a identificare quali sono le convinzioni
profonde che invece li portano in chiesa ogni domenica.
Gli ebrei rafforzeranno il loro affidamento alla Torah di Mosè – ma anche
il loro rispetto per il cristianesimo. Voglio che gli ebrei capiscano
perchè l'ebraismo richiede assenso: "il Misericordioso cerca i cuori", "la
Torah è stata data solo per purificare il cuore dell'uomo". Sia gli ebrei
che i cristiani dovrebbero trovare in "A Rabbi Talks with Jesus" le
ragioni da sostenere, poiché sia gli uni che gli altri scopriranno lì i
punti essenziali sui quali si fonda la differenza tra l'ebraismo e il
cristianesimo.
Che cosa mi rende così sicuro di questo esito? Io credo che, quando
ciascuna parte comprende nello stesso modo le questioni che la dividono
dall'altra ed entrambe affermano con solide ragioni le loro rispettive
verità, allora tutti possono amare e lodare il Signore in pace – sapendo
che realmente essi servono l'unico e lo stesso Dio – nelle rispettive
differenze. Il mio è un libro religioso sulla differenza religiosa: un
ragionare su Dio.
Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali colleghi chiedere
di presentare il mio libro, suggerii il rabbino capo Jonathan Sacks e il
cardinale Joseph Ratzinger. Il rabbino Sacks mi aveva da tempo
impressionato per i suoi acuti e ben argomentati scritti teologici, da
valido apologista contemporaneo dell'ebraismo. Quanto al cardinale
Ratzinger avevo ammirato i suoi saggi sul Gesù della storia e gli avevo
scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo scambiati
scritti e libri. La sua volontà di discutere sulla questione della verità,
e non solo sulle politiche della dottrina, mi aveva colpito come
coraggiosa e costruttiva.
Ora però Sua Santità ha compiuto un passo ulteriore e ha risposto alla mia
critica con un esercizio creativo di esegesi e teologia. Col suo "Gesù di
Nazaret" le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo ora
in grado di incontrarci gli uni gli altri in un promettente esercizio di
ragione e di critica. Le parole del Sinai ci conducono assieme verso il
rinnovamento di una tradizione lunga duemila anni di dibattito religioso
al servizio della verità di Dio.
Una volta uno mi definì la persona più amante della disputa che avesse mai
conosciuto. Ora ho trovato chi mi tiene testa. Benedetto XVI è un altro
cercatore della verità.
Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti.
di Sandro
Magister
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