UN VENTENNE DI FRONTE
ALLA MORTE
E
QUELLA COSA DELL’ALTRO MONDO CHE SONO…I CRISTIANI
“Le scrivo perché anche oggi entrando
a scuola abbiamo respirato un’aria di morte”. Comincia così la lettera che
mi ha scritto Marco, 19 anni, di Firenze. “Stanotte una ragazza che
frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La
sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi
(…) la macchina si è schiantata contro un albero. La nostra scuola era già
stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che
frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del
terzo piano.
Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi
seguenti... Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei
professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o
psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti”. Marco è uno studente
che frequenta l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua è solo una cronaca
consueta, descrive ciò che accade quando la morte visita le nostre
giornate e specialmente un luogo di giovinezza come una scuola. Capita che
– dopo lo choc di qualche giorno – gli adulti si affrettino a richiudere
quella finestra spalancata sull’immenso, sul mistero dell’esistenza, per
fingere che la vita sia solo il consueto teatrino in cui ci trasciniamo
tristemente a recitare una parte assegnata. Ma i giovani non distolgono
facilmente lo sguardo dal Mistero.
Infatti è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito e commosso.
Marco è un avventuriero, assetato di verità e di una felicità che non
svanisce in un istante, dunque continua: “Il Signore sta parlando alla mia
generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la
sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri
ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti
stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la
nostra fede di Cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non
può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine
del mondo è ‘essere’ e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre
solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può
darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi
solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori
si stanno separando, solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che
per noi Cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di
ricominciare una nuova evangelizzazione?”.
Mi ha colpito leggere queste parole nella lettera di un diciannovenne, di
un ragazzo normalissimo, ma che non si fa addomesticare dall’industria del
rincoglionimento. Evidentemente Marco ha visto e sperimentato qualcosa di
così bello e così grande che non si dissolve davanti al soffio di sorella
morte. Questa parola, “evangelizzazione”, indica infatti un volto e un
nome, Gesù, che stupisce e commuove, che sui giovani specialmente esercita
un fascino più potente perfino della desolazione della morte. E parla al
loro cuore assetato di vita, di felicità, di amore.
Marco continua: “Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per
annunciare Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario
partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via,
dalla nostra parrocchia. E’ necessario far conoscere alla mia generazione
che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma
che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste
persone stanno aspettando solo noi. Per grazia divina, i miei genitori
sono entrati a far parte del Cammino-Neocatecumenale più di trent’anni fa
e questo ha permesso che crescessimo nella fede. Personalmente questo
Cammino mi ha permesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei
meriti, ma per come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuole
solamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostra parrocchia
ci siamo ritrovati davanti a tante morti umanamente assurde, ma
paradossalmente le famiglie implicate in queste morti hanno risposto con
l’Amore… ”.
E a questo punto Marco inizia un resoconto sconvolgente di vita
quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hanno attenzione solo alle
misure delle ospiti del Grande Fratello esistono uomini e donne con una
certezza e un amore più forti della morte.
“Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore al
cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari e non ha
conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tutte queste assurdità,
ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorriso che portava con sé
arrivando al catechismo, anche dopo aver fatto la terapia. Dalla sua
morte, il nostro gruppo di catechismo ha ricevuto la grazia di restare
unito fino ad oggi ed è un vero miracolo, pensando a dove possono essere
adesso tanti miei amici. Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno
dei suoi fratellini era così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il
suo corpo al cimitero si è messo a gridare ingenuamente di volerlo
raggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpì tutti i
presenti, perché non si era detto Addio a nessuno, si era salutato un
fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoi genitori e per la
bellezza e la gioia di quel funerale molte persone si sono interrogate
profondamente e forse lo fanno ancora oggi. Quello che colpisce sempre le
persone è che i funerali nella mia parrocchia sembrano matrimoni: i canti
sono tutti gioiosi e la bara è posta sopra il fonte battesimale, che si
trova a terra, perché simboleggia il passaggio dalle acque della morte
alla vita nuova. Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo di
motorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di sua madre che
ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato in Paradiso. Sul
sagrato, un suo amico mi disse che non era meravigliato della risposta di
questa madre alla morte del figlio. Mi disse: ‘Loro sono religiosi’.
Queste morti sono state per me una dura prova perché mi hanno diviso da
tanti affetti, mi hanno messo davanti al fatto che non siamo eterni, che
possiamo e dobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vinta
da Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, ma vorrei
che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, a tutti i miei
coetanei che forse non sanno dare un senso alla loro vita; io però sono
uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedo quindi aiuto alla Madre
Chiesa, in cui confido perché ho sperimentato che è davvero madre, che mi
dona il perdono e che davvero da essa passa la mia salvezza”.
Marco mi scrive il suo accorato appello alle parrocchie della sua città
(come rispondono sacerdoti e vescovi?), le invita ad aprirsi ai movimenti
“perché so che è difficile vivere da Cristiani senza una piccola comunità
che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cui sperimenti il
perdono, in cui c’è Cristo… Esorto tutte le parrocchie fiorentine ad
aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perché i giovani sono per
strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senza Amore. La loro vita non
ha un senso e noi che siamo il sale del mondo abbiamo il dovere di
annunciare loro che Cristo li ama e che possono cominciare a sorridere,
possono smettere di fingere, possono piangere senza paura di essere
giudicati ‘deboli’, possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di
Cristo. Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loro
amici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è solo Cristo
che ci unisce all’altro”.
Non è una cosa dell’altro mondo? Don Giussani diceva che il cristianesimo
“è letteralmente una cosa dell’altro mondo in questo mondo”. In effetti il
Paradiso inizia già qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla
fine prende il sopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e
illumina le ultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro.
Antonio Socci
Da “Libero” 21 gennaio 2009
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