L'apparizione rifiutata

di Maurizio Blondet - 17/07/2010

Don Francesco, un giovane prete che ho incontrato ad Ascoli, mi ha raccontato questa strana storia.

Nel 1948, tra l’aprile e maggio, la Vergine apparve nella spaccatura di un dirupo presso il paesino di cui lui è parroco, Gimigliano. Apparve ad una contadinella di 13 anni, Anita Federici, nell’aspetto dell’Addolorata, con la spada nel petto, accompagnata da quattro angeli-bambini.

Fu un evento grandioso, ampiamente riportato dai giornali dell’epoca (soprattutto il Messaggero), anche perchè attrasse decine di migliaia di pellegrini da tutta Italia e dall’Europa, fu accompagnato dal fenomeno del Sole già constatato a Fatima (e lo attestano i rapporti dei carabinieri dell’epoca), ma specialmente da un fenomeno inaudito: a vedere la Madonna non fu solo la ragazzina (con cui l’Apparizione parlava in dialetto), ma migliaia dei presenti, contadini e operai, medici e commercianti, carabinieri e militari, suore e frati. La videro credenti e miscredenti, gente dagli 8 ai 70 anni. La curia raccolse 564 testimonianze giurate, che rendono la stupefazione, la commozione e lo sbalordimento dei testimoni di così diversa qualità.

Esistono anche le relazioni degli interrogatori che la bambina subì.

In uno, il 5 maggio, condotto dal brigadiere dei carabinieri Diana alla presenza di due parroci, don Caioni e don De Angelis, ad Anita viene domandato:

«Perchè non chiedi alla Madonna qualche miracolo, così crediamo meglio a quello che dici?».

Anita risponde:

«Domenica scorsa (era il 2 maggio) ho detto alla Signora: ‘La gente vuol vedere qualcosa’. La Madonna battè il piede destro sulla terra che tremò tutta e disse piangendo: ‘I miracoli, i miracoli!’. E tutta risentita e afflitta: ‘Le vostre offese sono tante in me!’ Nel frattempo mi toccò il petto con tutt’e due le mani che poi ritirò battendole forte sul suo petto, tanto che m’impaurii e mi alzai in piedi. Come era triste questa volta la Madonna! Altre volte quando mi salutava sorrideva, questa volta invece era molto triste e piangeva».

La prima visione l’aveva avuta il 18 aprile, disse, «la sera, quando non c’era nessuno: chi era a votare chi alla benedizione». Si ritenne allora che l’apparizione segnalasse il grave pericolo corso dall’Italia con quelle elezioni, che rischiavano di dare il potere ai comunisti.

L’apparizione dava messaggi come:

«Si commettono troppi peccati, ogni giorno. Pregate per la conversione dei peccatori, pregate per la conversione della Russia. Pregate per il Papa, per il clero. Pregate l’angelo custode».

O anche: «Preghiera, sacrificio, vittima!», «preghiera, riparazione, sacrificio».

Il 7 maggio, con le lacrime agli occhi:

«Il mio nome è troppo offeso. Sono troppi i peccatori nel mondo. Dì ai bambini che preghino molto per i peccatori (e calcando la voce) che non facciano più peccati, che non bestemmino più il mio nome! Mio figlio non ne può più!».

Più volte chiese «riparazione e silenzio». Maria diede alla ragazzina «tre segreti», ordinandole di non rivelarli se non 15 anni dopo.

La Vergine promise che lì sarebbe sorto un grande santuario. Si raccolse denaro, esiste un disegno di un architetto per un santuario più grande e fastoso di Fatima. Ma qualcosa non andò.

Un’apparizione, che la Vergine aveva promesso ad Anita per il 19 settembre, e che aveva radunato una folla immensa, non avvenne; Anita era nervosa, disse poi che la Madonna le aveva fatto sapere che non sarebbe apparsa mai più «se il suo messaggio non fosse stato accolto».

Fu una giornata terribile.

Un cappuccino, Emidio d’Ascoli, sbottò a gridare nel megafono alla folla: «Non c’è nulla di soprannaturale. Anita non ha visto mai la Madonna. Andate a casa, figlioli».

Eppure centinaia avevano visto. Un’uscita dettata dalla delusione, dall’amarezza, e dal comportamento della folla. Sul settimanale della curia vescovile, un sacerdote racconta:

«L’impressione che riportai fu veramente pessima: il popolo era scomposto: pochi biascicavano qualche Ave Maria, ci fu chi proferì imprecazioni e malanni contro le autorità e contro quelli che, vicino alla grotta, impedivano la visuale. Chi rideva, chi fischiava, chi batteva le mani come se stesse assistendo ad una partita di calcio o più propriamente di pugilato. Tra la folla poi si distingueva particolarmente una voce infernale che imprecava e malediceva. Qualche buffone maleducato con frasi sciocche e insulse suscitava l’ilarità di parecchi fra i più sciocchi».

Il discorso fu chiuso da un’autorità ecclesiastica ostile. Al posto del grandioso santuario, con vari sforzi e con l’opposizione del vescovo, alcuni che avevano «visto» riuscirono a far costruire una modestissima cappella votiva. Vi fu messa una statua della Vergine, scolpita da tal Firopanti, commerciante in stoffe e artista dilettante, uno che aveva avuto la visione.

Nella cappella si mantenne per anni un culto spontaneo dei «veggenti» di massa, anche con episodi discutibili. Ma la cappelletta fu chiusa, almeno in certe ore, e il culto a poco a poco si spense.

La veggente Anita, che aveva meditato per qualche tempo di entrare in convento (spintavi dai sacerdoti, secondo i quali chi aveva avuto certe visitazioni privilegiate avrebbe dovuto ritirarsi nella vita contemplativa), nel 1962, 14 anni dopo i fatti, si sposò con un insegnante che l’aveva contattata dopo aver letto un articolo della Domenica del Corriere sui fatti di Gemigliano. La donna seguì il marito nel nord Italia.

Fu la pietra tombali sugli strani fatti. O almeno così si credette. Passarono 38 anni.

Nel 1986, una casalinga ascolana di nome Rosina Messi, gravemente malata di flebite e ulcera varicosa tanto da non poter camminare, desiderava andare in pellegrinaggio presso Salerno, a Oliveto Citra, dove avvvenivano apparizioni della Vergine, con presunte guarigioni. Ma, con marito e cinque figli, non c’erano i soldi per il viaggio.

Una notte di luglio, in sogno, vide la Madonna in veste bianca, il volto dolcissimo, che le diceva:

«Perchè vuoi andare tanto lontano, dal momento che io sono a Gimigliano, dove non mi hanno voluta?».

Rosina non aveva mai sentito parlare non solo delle apparizioni, ma neppure di Gimigliano; non sapeva nemmeno che esistesse un paese con quel nome. Cercò informazioni, anche dal vescovo, che la congedò freddamente; chiese l’aiuto di un vecchio sacerdote che la Madonna le aveva indicato in un altro sogno, e che non ebbe il coraggio di accompagnarla dal vescovo.

I sogni si susseguirono: in uno, la Madonna le rivelò di essersi mostrata, prima che a lei, a un’altra donna di Ascoli che frequentava la cappellina deserta di Gimigliano.

Il 3 agosto, domenica, Rosina, all’insaputa di suo marito, chiese al figlio maggiore di portarla in macchina fino alla contrada Curti; da qui proseguì, a piedi e recitando il Rosario, fino a Gimigliano. Assistè alla Messa nella chiesa parrocchiale e, all’uscita, parlò coi fedeli delle sue visioni. Raccontò anche di aver saputo che una delle donne lì presenti aveva avuto l’apparizione, ed aveva taciuto.

Una delle donne infatti, quarantenne, si precipitò in sacrestia e davanti al parroco testimoniò in lacrime che il 2 settembre dell’anno prima, 1985, aveva scorto nella cappellina abbandonata l’immagine della Addolorata sopra l’altare, mentre lentamente ascendeva; ma non aveva detto nulla per non aver guai.

La signora Rosina dal canto suo andò nella cappella, raccolse del terriccio e se ne strofinò le gambe malate. Lei dice di essere guarita, il suo medico che è solo migliorata; fatto sta che cammina da allora.

Il culto e la devozione popolari sono risorte. Il fatto è che da allora Rosina Massi ed altre presunte veggenti, nel silenzio assente dell’autorità ecclesiastica, nella cappella accolgono le folle rinnovate – che giungono a piedi da grandi distanze, recitando il Rosario – con riti di loro invenzione: raccontano i loro sogni, visioni e viaggi celesti, vengono baciati sulle mani dai presenti, esse stesse baciano l’immagine della Madonna, carezzano a nome della Madonna le teste dei fedeli, donano fiori e petali che consigliano di mangiare o bere in infuso per ottenere guarigioni (una «cura» che già consigliò Anita nel ‘48, su indicazione, disse, della Madonna).

A volte, fra gruppi di «veggenti», sono scoppiate liti e gelosie. Orazioni guidate, veglie di preghiera, marce di cinque ore su scoscese salite portando pesanti croci, rituali a volte stravaganti, una manifestazione di fede popolare spontanea e «selvaggia» che presenta ovvii pericoli.

I fedeli «rivelano gravi carenze dottrinali e sacramentali», ha scritto don Attilio Galli, un prete che ha studiato il caso; «Non dico che sia un’espressione cosciente di un’opposizione al cattolicesimo sacerdotale o più esattamente clericale, ma l’insoddisfazione dei fedeli per alcune interpretazioni ufficiali».

Nonostante ciò, don Galli è stato convinto fino alla sua recente morte che ci sia più che qualcosa di autentico in queste «liturgie religiose celebrate da laici per semplici laici»: si sarebbero verificate conversioni clamorose, guarigioni, locuzioni interiori e chiaroveggenze attestate da sacerdoti.

Don Galli vi vedeva l’alba di una «religione dell’interiorità» opposta alla «religione dell’autorità» gerarchica; una chiesa carismatica dove i fedeli sono attivi e non passivi recettori di servizi religiosi.

Il vecchio prete giunse ad accusare «l’ignoranza, la disattenzione e l’ostacolo posto da molti consacrati al piano divino della Mamma celeste... forse l’invito alla preghiera per la santificazione del clero non è stato abbastanza raccolto». E a chi obiettava per questa sua mancanza di rispetto verso le gerarchie, ricordava che nel vecchio Diritto Canonico un capitolo si chiamava «De peccato taciturnitatis», ossia «i peccati dei fedeli che stanno zitti davanti a errori o mancanze dei loro superiori».

Non è difficile scorgere i rischi di devianza ereticale di una chiesa «carismatica» affidata al «popolo credente» – anche se ciò era proprio degli inizi della Chiesa, con tutti i relativi eccessi e carenze dottrinali delle cene e del parlar le lingue.

Don Francesco, che si batte per riaprire il caso Gimigliano e spera sia istituita una vera commissione ecclesiastica «finchè la veggente Anita e molti testimoni sono ancora vivi», pensa che la Chiesa d’oggi non sappia più accettare e guidare con mano sapiente questi fenomeni sovrannaturali, con tutto il conseguente vulcano di devozione popolare che producono.

Cita un mariologo da lui interrogato: «Se Lourdes e Fatima fossero avvenute oggi, probabilmente la Chiesa ufficiale non le avrebbe approvate».

Naturalmente, nascono molte obiezioni a questa posizione. La più ovvia è quella del «mancato successo», per così dire, dell’Apparizione. E’ facile dire: «Se la Madonna appare, trova la strada per farsi riconoscere». Ma questa, temo, è una visione troppo deterministica, e magica, della onnipotenza divina. La libertà umana, la terribile libertà che Dio ci ha dato perchè vuole che lo amiamo liberamente, può sempre rifiutare, o diventare infedele, alla grazia di una visione, di un così speciale privilegio.

Il giovane ricco del Vangelo sapeva che Gesù era il Cristo, ma non volle seguirne il richiamo nella povertà, «e andò via triste»; chissà quanti videro Gesù, lo ascoltarono, ne constatarono i miracoli, e non cambiarono vita. Persino la venuta di Cristo avrebbe potuto «fallire», se non fosse stato per pochi discepoli coraggiosi abbastanza da testimoniare, decisi anche a dare la vita?

Fa paura pensarlo. Ma forse è così. Nessun miracolo o apparizione obbliga a ben agire chi ne è privilegiato, non ne determina il destino.

«Se non vi pentite e non convertite i vostri cuori cadrete tutti in un baratro», disse la Vergine apparsa a Kibeho in Ruanda nell’agosto 1982, e le giovani veggenti videro immagini spaventose, corpi decapitati, cadaveri abbandonati insepolti, persone che si uccidevano tra loro, fiumi di sangue e incendi. Ciò non trattenne il massacro reciproco di tutsi e hutu un decennio dopo; centinaia di tutsi che s’erano asserragliati nella stessa chiesa dell’apparizione furono bruciati vivi; e poi, nella piazza del santuario stesso, ottomila hutu furono massacrati. Molti preti parteciparono alle stragi.

Nemmeno il comportamento dei veggenti dopo la visione può assicurarci della verità o della falsità del fenomeno; sempre perchè i veggenti restano liberi di non rispondere, di sviare.

Massimino, uno dei due bambini di La Salette, finì come distillatore di grappa (che chiamò «Acquavite Notre Dame») ed ebbe guai con la polizia. La veggente di Gimigliano, Anita Federici, sposandosi, ha deluso molti. Ma ha sofferto molto nel matrimonio in mano ad un uomo violento (le sofferenze le erano state profetizzate dalla Vergine Addolorata), ed ha condotto una vita di fedeltà profonda al messaggio dell’apparizione.

Del resto, persino la ragazzina che nel 1933 vide la Madonna a Banneux in Belgio (apparizione riconosciuta dalla Chiesa nel 1949), fu sposata per pressione delle sue sorelle contro la sua volontà, e da ultimo visse da divorziata – non per sua colpa, e non si risposò.

Anita Federici vive ancora, santamente, ed è estremamente riservata sulla sua vita e sui suoi dolori. Dei tre segreti, che doveva rivelare solo 15 anni dopo, don Francesco che l’ha intervistata è riuscito a farle dire solo questo: che nel 1963 li ha comunicati per iscritto all’autorità ecclesiastica più alta, a cui erano riservati. Non pare abbia avuto risposta, nè segno di ricevuta.

Era il 1963, il Concilio era cominciato da qualche mese, e regnava Paolo VI. Don Francesco ha avuto l’impressione che i segreti riguardassero l’apostasia nella Chiesa.

Il fatto che a Gimigliano la Vergine sia stata vista da centinaia e forse migliaia di persone non è, come ritenevo, privo di precedenti.

Vittorio Messori mi dice che decine di fedeli videro la Madonna mentre erano riuniti in preghiera nella chiesa di Pont Main in Bretagna, il 17 gennaio 1871: erano le giornate di Sedan, le truppe prussiane avanzavano inarrestabili ed erano a pochi chilometri dal paese. Per tre ore la Vergine ascoltò in silenzio attento il Rosario che i fedeli angosciati recitavano, e gli inni che cantavano. Alla fine apparve sotto la sua figura un gran cartiglio con la scritta: «Se pregate, figli miei, Dio vi esaudirà prestissimo, mio Figlio si lascia commuovere». Il mattino, i prussiani decidono di fermare l’avanzata.

Capisco che tutto questo è terreno fertile ad illusioni, fanatismi, ed anche – nel nostro tempo – a devianze verso forme selvagge di religiosità; posso capire che qualcuno possa dubitare che la visione di Gemigliano sia, magari, satanica in quanto la religiosità che vi si mostra è estranea alla Chiesa.

Ma a me commuove e addolora l’idea che la Vergine sia ancora lì, «dove non mi hanno voluta», decenni dopo, lei sì fedele.

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