Il martedì 4 agosto 1716, festa di San
Domenico, verso le sei del mattino un ragazzo di nome Natalino Scarpa Di
Giovanni detto il Muto, dall'età di circa 14 anni e mezzo, mentre si
recava alla chiesa parrocchiale di Ognissanti, passando davanti al
tempietto dei Santi Vito e Modesto, che conservava anche un antico dipinto
raffigurante la Madonna del Carmine, vide una donna sconosciuta, bassa di
statura, piuttosto anziana, in piedi dal lato destro della chiesetta. La
"Signora" vestiva un abito azzurro, trapunto di stelle rosse, che le
arrivava fino ai piedi e aveva il capo coperto da un velo bianco che le
giungeva sotto le braccia; il volto era pallido, le gote bianche,
l'aspetto schietto senza ornamenti di sorta, lo sguardo preoccupato.
E con la mano destra, quasi a rassicurarlo e a confermarlo della realtà della visione, gli toccò il polso sinistro, trattenendolo con affetto per qualche istante. La dettagliata descrizione, riferita direttamente dal ragazzo, dimostra quanto fosse rimasta impressa nel giovinetto quell'immagine: "assomigliava - ricorda ancora Natalino - alla mamma del mio maestro (il sacerdote Antonio de Ambrosi), specie nello sguardo; ma non era certamente lei, poiché di statura bassa e vestita diversamente". Natalino era solo e stava recandosi alla chiesa di Ognissanti per accompagnare il rito dell'amministrazione della Comunione a tre infermi: nessun altro tranne lui può aver visto quella donna. La guerra contro i Turchi
Era il periodo della guerra contro i Turchi, che proprio in quei giorni
sembravano aver la meglio sulla flotta veneziana e sugli alleati in
Ungheria.
Nel dicembre del 1714 il gran visir ottomano convocò il bailo di Costantinopoli Andrea Memmo per informarlo che, a causa di alcuni recenti incidenti nel Montenegro e dell'intercettazione di una nave turca nell'Adriatico, il suo signore aveva deciso di dichiarare la guerra. La Morea fu riconquistata nel giro di pochi mesi. Divenne ben presto chiaro che la posta in palio era, nelle intenzioni dei Turchi, molto più alta: l'attacco a Venezia stessa. Il pericolo era
grande. Il Senato ordinò che rimanessero sempre aperti tutti i santuari
mariani della Repubblica ed esortava il popolo alla supplica.
La battaglia di Petervaradino si svolse il 5 agosto del 1716, il giorno dopo che una Donna sconosciuta era apparsa ad un ragazzino di quattordici anni a Pellestrina ed aveva detto di far dire delle Messe per le anime dei morti, "se volemo aver vittoria". La coincidenza è impressionante! E la fortezza di Petervaradino costituiva una vera e propria chiave di volta per la riconquista di Belgrado e il recupero all'area di influenza occidentale di questa parte dei Balcani. Attualmente Petrovaradino è un sobborgo della grande citta di Novi Sad in Serbia ed esiste ancora la fortezza che è stata oggetto della contesa vinta da Eugenio di Savoia. Petervaradino La notizia della
sconfitta di Petervaradino spinse il comandante turco dell'esercita di
Corfù a rischiare il tutto per tutto. Infatti, nella notte del 18 agosto i
Turchi sferrarono l'attacco decisivo. Schulenburg corse ai ripari
mobilitando tutte le forze. Ma dopo sei ore la lotta era ancora incerta e
nessuno riusciva ad avere il sopravvento. Allora Sculenburg ebbe il colpo
di genio: decise una sortita di sorpresa e con 800 picchieri uscì da una
piccola postierla ed attaccò alle spalle un'ala dell'esercito turco. I
Turchi si videro presi alle spalle e, temendo di essere presi prigionieri,
si diedero ad una fuga precipitosa. La notte successiva un aiuto imprevisto venne letteralmente dal cielo per i Veneziani: un terribile temporale devastò il campo turco e molte navi, rotti gli ormeggi, andarono a fracassarsi le une sulle altre. All'alba i Turchi rimasti decisero di togliere il campo e di abbandonare quell'isola "dove regnavano, dissero, dèi ostili". La notizia si diffonde Natalino tentò di liberarsi subito di quello strano e travolgente segreto, cercando di comunicarlo a don Angelo Busetto, il cappellano che camminava parecchi passi avanti in quella mattina di agosto, anche lui diretto alla chiesa parrocchiale; ma, raggiuntolo di corsa, non riuscì a parlargli. Qualcosa glielo impediva, come un soffio di vento che gli chiudeva la bocca, mentre avvertiva una sorta di intirizzimento con lievi punzecchiature sulla guancia e sulla mandibola - così narra direttamente Natalino, deponendo al Processo. Giunto alla chiesa parrocchiale raccontò tutto al pievano don Paolo Zennaro, che rimase stupito della dettagliata narrazione e, dapprima esitante sul valore dell'evento, tanto da porre più domande al ragazzo e da fargli ripetere più volte il racconto, per rasserenare lo stesso giovane fece infine cenno di aver compreso e raccomandò a Natalino che riferisse pure a quella donna - chiunque ella fosse - che aveva assolto al suo compito. Tornato a casa il ragazzo raccontò l'avvenimento a sua madre per prima, e poi ad altre donne che l'interrogavano e volevano sapere del prodigio. Natalino, infine, preferì non raccontare più niente a nessuno: s'era stancato - confessa egli stesso - di dover ripetere la stessa cosa a tante persone curiose. Si recò allora a scuola pensando che tutto sarebbe finalmente finito. Natalino, soddisfatto della missione compiuta, si accingeva ora a svolgere le sue mansioni nell'accompagnare il rito della distribuzione della Comunione agli infermi, pensando che lungo il tragitto, che l'avrebbe condotto nuovamente accanto alla chiesetta di S. Vito, avrebbe potuto confermare alla donna - se ancora era la - che aveva assolto al suo mandato. Arrivato nei pressi della chiesetta non vide la donna che gli aveva parlato poco prima ma, ancora una volta, sentì un soffio di vento sulla guancia e sull'orecchio. Venne intanto a sapere che una donna, tale Maritta Furlana, aveva già cominciato a raccogliere offerte per assolvere all'invito celeste di far celebrare delle messe per le anime del Purgatorio, come aveva chiesto la misteriosa Signora. Un compagno di scuola propose a Natalino di andare insieme ad aiutare quella donna volonterosa. Riuscirono a raccogliere un bel gruzzolo, e, senza nemmeno contarli, portarono i soldi al Pievano: erano 17 lire e mezza, assicurò don Paolo nella sua testimonianza.
Nel frattempo due donne - una portava il nome di Laura - avvicinatesi alla porta ancora chiusa del tempietto, sul cui sagrato era avvenuta la visione, esclamarono che attraverso la toppa della serratura avevano intravisto l'antica immagine della Madonna del Carmine muovere gli occhi. Natalino, che era lì accanto, non riuscì
a vedere il prodigio asserito da quelle donne, ma con lui c'erano molte
persone che avevano sentito del fenomeno, e in molti si avvicinarono
all'uscio per tentare di vedere. Per tutto il giorno - in quell'assolato 4
agosto - fu un via vai di curiosi e di pellegrini che venivano a vedere il
luogo della straordinaria manifestazione celeste, il luogo
dell'apparizione e l'immagine della Madonna custodita nella chiesetta. che
intanto era stata aperta alla gran folla dei fedeli. Proprio sul
movimento, sull'apertura e chiusura degli occhi, si dovettero registrare
parecchie testimonianze. In particolare se ne conservano altre di quel
giorno stesso. E narrò anche come quell'avvenimento
straordinario cambiò in meglio la sua vita.
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